Rapita

118 7 1
                                    

Mi sveglio dondolante e dolorante, intorno a me è buio e sento che sono instabile.
L'aria puzza di fumo e terriccio.
Forse siamo in aperta campagna.
Non riesco a vedere nulla, nemmeno uno spiraglio di luce.
La terra trema appena, sono in un furgone, lo capisco dal rumore del motore e per la strada ci sono molti dossi perché chi guida li prende in pieno e questo mi fa sbalzare da una parte all'altra dell'abitacolo.
Sento che il motore fatica a procedere.
Mi sento stordita e l'ultima cosa che ricordo è: quasi nulla.
Sono stata drogata e messa qui.
Non ho idea di dove mi stiano portando.
Ho la gola secca, ho sete e in questo angusto spazio fa caldo, talmente tanto che i vestiti mi si incollano indosso.
Ho paura.
In fretta mi rannicchio in me stessa e mi appoggio con la schiena alla parete.
Mi gira la testa, deve essere l'effetto di quello che ho inalato.
Non so nemmeno da quanto tempo sono qui e per quanto ho dormito.
Non so cosa succede fuori, se Dan sta bene.
Che ore siano, se sia giorno o notte e se qualcuno si sia già accorto della mia assenza. Potrei aver dormito minuti come ore.
All'improvviso il furgone si ferma con una frenata brusca che mi fa cadere in avanti.
Aspetto, c'è silenzio.
Poi qualcuno apre la porta e nell'abitacolo entra la luce lunare.
È notte.
Questo si richiude la porta alle spalle ma vedo perfettamente che si tratta di Cyrus.
Ora ricordo tutto.
Ha finto di essere un dipendente di nome Steven, poi mi ha rapita.
Ridacchia malefico poi si avvicina a me e non ho modo di scappare.
《Sei sveglia, finalmente》.
《Che cosa mi hai dato?》.
《Oh tranquilla, era un sonnifero ma niente di preoccupante》.
Spiega come se stesse parlando di una partita di calcio.
《Da quanto tempo sono qui, dove mi stai portando?》.
《Calma carina, troppe domande》evita di rispondere.
Tende la mano verso il mio viso, non so cosa aspettarmi.
《Devi calmarti, non voglio farti del male. Voglio solo che il tuo fidanzato capisca che mi sta intralciando...sono sicuro che verrà a cercarti e quando ti troverà, perché lo farà...beh allora ne riparleremo》.
Ha intenzione di fargli del male e sembra molto convinto di quello che dice, ha architettato tutto perfettamente.
《Non toccarlo》ringhio.
Lui ride nuovamente, divertito dalla situazione.
《Altrimenti?
Ora fai la brava e ti prometto che non ti spedirò da lui pezzo per pezzo》.
Questa frase mi spaventa a morte infatti sobbalzo immaginando un pezzo di me in una scatolina recapitata per posta al suo indirizzo, come nei film dell'orrore.
Rabbrividisco.
Senza preavviso mi afferra le mani e le lega con una corda poi mi alza dal pavimento.
《Dove mi porti?》.
Lui non risponde.
Nel furgone entra anche il suo uomo, l'energumeno che prima mi aveva bloccata.
Mi mette una benda sugli occhi, probabilmente per non farmi vedere dove siamo e spero che non decidano di uccidermi e buttarmi in un burrone e stiano facendo questo perché lo trovano più divertente.
《Vi prego lasciatemi andare》piagnucolo.
Le corde stringono sempre di più e sento già la pelle attorno ai polsi andare in fiamme.
Il mio battito e il mio respiro sono irregolari. Ad ogni passo penso sempre al peggio che possano farmi.
Continuiamo a camminare e non vedo nulla solo il buio e le mie orecchie che fischiano, sento nuovamente le mie forze venire meno, sto per avere un mancamento ma cerco di resistere.
Devo almeno cercare di capire dove sono.
La terra è friabile, attorno non si sentono rumori o odori particolari.
L'aria è fredda e umida tant'è che mi fa aderire i vestiti addosso e il vento mi smuove i capelli. Dovremmo essere sicuramente in un campo sperduto, lontano dalla città perché l'unico rumore che sento è quello delle cicale e il fango sotto i piedi.
Passa qualche altro minuto poi ci fermiamo.
Cerco di vedere sotto la benda ma niente.
Ecco, sto per morire.
Sento aprirsi una porta, è pesante.
Continuano poi a trascinarmi.
《Attenta alle scale》dice Cyrus.
Saliamo qualche gradino e l'ansia cresce di passo in passo.
Non so dove stiamo andando, non riesco a vedere nulla poi aprono un'altra porta e con una spinta mi gettano al suo interno, cado su un pavimento freddo.
La porta si richiude.
Mi hanno lasciato qui da sola, legata e bendata.
No, torno a vedere il volto di Cyrus che sorride soddisfatto.
《Eccoci qui》.
Mi guardo intorno, è una specie di cella. Da una parte in un angolo c'è un letto con solo un materasso e poi una finestra sigillata con assi di legno.
Le pareti ingiallite e qualche tubatura cigolante, forse un vecchio edificio abbandonato o un casolare.
Solamente questo.
La stanza è piccola, illuminata da una luce flebile e fioca, puzza di qualcosa si chimico e fa freddo da morire.
Cerco di mantenere la calma anche se è impossibile, sento che da un momento all'altro potrei crollare.
Mi alzo in piedi anche se le gambe cedono.
《Che vuoi fare ora?》.
So che è inutile parlare o chiedere spiegazioni.
《Questa è la tua stanza, goditela e vedi di non fare stronzate》.
Esce dalla porta e la richiude a chiave, la consegna al suo uomo e poi spariscono entrambi.
《Aspetta, come faccio a liberarmi le mani?...ti prego》.
Non so se non abbia sentito o se non voglia rispondere, fatto sta che devo cercare di togliermi questi lacci.
Sento dal piano di sotto la prima porta che hanno aperto richiudersi, e il rimbombo del rumore, devono avermi lasciata sola.
Rimango per qualche minuto aggrappata alle sbarre della cella, non ho la forza di fare niente vorrei solo chiudere gli occhi e svegliarmi nel mio letto, come se tutto questo fosse stato solo un brutto incubo e per un secondo lo immagino ma quando li riapro ritorno alla realtà.
Piango, non riesco a fare altro.
Grido e impreco contro un muro inanimato.
Sento solo me e le mie lacrime cadere sulle guance.
Non arrivo ad avere una crisi isterica solo perché voglio trovare un modo per scappare da qui.
Mi viene un'idea: sposto il sottile materasso ammuffito e impolverato (che mi provoca un attacco di tosse) dalla branda e cerco di tagliare le corde con le viti che fuoriescono dal metallo.
Non è facile, ci metto tutta la forza che ho nel corpo fino a quando non mi ferisco con una di esse, non mi fermo nemmeno quando vedo il sangue dal dito e con determinazione sfrego ancora più forte fino a riuscire a liberarmi dalle corde.
Tiro un sospiro di sollievo anche se è solo l'inizio.
Il taglio non è grave.
Rimetto il materasso al suo posto poi cerco una via di fuga dalla finestra ma non riesco a fare in tempo perché sento i passi pesanti di qualcuno venire in questa direzione così mi faccio credere disinvolta e mi rannicchio nel letto.
È il suo uomo, fa passare un vassoio con il cibo da sotto la cella; sono una prigioniera a tutti gli effetti.
Guardo la chiave che ha appesa al collo.
《Ora che hai trovato il modo di liberarti dalle corde mangia e tieniti in salute, non vogliamo svenimenti o malori qui》.
È la prima frase che gli sento dire, ha la voce scura e profonda, mette inquietudine.
《Come so che non è avvelenato?》.
Lui ride poi prende un pezzo di quello che deve essere del pane raffermo e lo mette in bocca, mastica e ingoia.
Il sogghigno lascia intravedere i denti marci.
《Visto? Il capo non ti vuole morta, vuole solo far spaventare quel coglione del tuo ragazzo per attirarlo qui. Ora mangia》ordina.
Mi lascia nuovamente sola.
Non ho fame e anche se ce l'avessi non ingerirei nemmeno una briciola di quel cibo.
Aspetto di rimanere di nuovo sola per continuare la mia indagine.
Dalla finestra tappata non si vede niente, trapassa solo dell'aria fredda.
Sento qualcosa che mi cammina sulla gamba, abbasso la testa e vedo un ratto.
Urlo e scappo all'indietro agitando la gamba per farlo andare via.
Questo cade e squittendo continua la sua corsa.
Ho sempre avuto la fobia dei ratti.
Ritorno a guardare fuori dalla finestra, per quel poco che riesco a intravedere ovvero solo la notte.
Le mie speranze di fuggire man mano si attenuano. Spero solo che Dan abbia avvertito la polizia e che stiano venendo a cercarmi.
Arrendermi non è da me ma non so cosa potrei fare, questa stanza è vuota, ci sono solo io e niente che potrei usare come arma, amenoche un pezzo di pane ammuffito non diventi un martello.
All'improvviso mi chiedo se riuscirei mai a fare del male ad un uomo, ad uccidere pur di salvarmi e immagino me che punto una pistola verso un uomo o uso qualsiasi tipo di arma su di esso e rabbrividisco.
In questo preciso momento mi rendo conto che potrei esserne capace.
È questione di sopravvivenza.
La stanza è sempre meno illuminata e pur non volendo il sonno sopraggiunge, non posso fare altro che arrendermi al momento, con la piccola speranza che ancora mi rimane che domani mi avranno trovata.....

𝓟𝓮𝓻 𝓼𝓮𝓶𝓹𝓻𝓮 𝓷𝓸𝓲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora