LEV
Juan è già in piedi, avvolto nella sua vestaglia di raso, lo sguardo alla finestra, una mano a scostare la tenda. Non si volta quando entro né quando gli vado vicino.
«Dovresti tornare a letto», gli dico, accarezzando la mano che ha lasciato lungo il corpo. Solo allora le nostre iridi si incastrano.
È come se Juan mi guardasse dentro, tanto da farmi sentire a disagio. Tento di allontanarmi, ma lui mi stringe la mano e me lo impedisce.
«Eravate preoccupato».
«Io...»
«E siete passato al tu, prima».
Vorrei fuggire, legarmi la lingua per non cedere. «Cosa è successo?», mi limito a dire, sperando che la nostra conversazione rimanga sul vago, come se non sentissi un nodo alla gola che vuol trasformarsi in pianto per il sollievo.
«Ho sciolto le redini, non avrei dovuto farlo lungo gli stretti sentieri che scendono alla scogliera. Volete sapere il perché?»
Arretro istintivamente, ma dietro di me c'è solo la parete e non è sufficiente per fermare questa conversazione.
«È stata colpa vostra», mi sussurra lui sulle labbra, «pensavo al modo in cui mi avete trattato, non facevo che risentire le vostre parole. Volete farmi le vostre scuse?»
La lingua diventa pesante, non riesco a distogliere lo sguardo dalla ferita sulla sua fronte, sollevo le dita per accarezzarlo appena. «Non dovevi andare via in quel modo».
«Tu non dovevi parlarmi in quel modo», replica lui, un tremito nella voce.
Le nostre bocche sono vicine, si sfiorano, poi io schiudo la mia e gli permetto di assaporarmi. Sento le ginocchia deboli, il cuore in gola. Sono pronto ad approfondire il bacio, ma le mie labbra trovano il vuoto.
Juan passa un dito sul mio viso, accarezza uno zigomo. «Il tuo amico è tanto più coraggioso di me, ma non ti fa sentire questo».
«Ti prego», sospiro. Vorrei solo che mi prendesse tra le braccia, che accarezzasse il mio corpo, proprio come una settimana prima nella grotta. Sento il cuore battere allo stesso modo, la stessa umidità tra le gambe. Il volto va improvvisamente a fuoco.
«Cosa c'è?» Juan sgrana gli occhi. «Il tuo odore». Affonda il naso nel mio collo, le mani mi stringono i fianchi, poi scivolano sulla schiena, si infilano nei pantaloni fino a sfiorare le mie natiche. Lo vedo mordersi le labbra. Nei suoi occhi vedo riflesso lo stesso desiderio che sconvolge il mio animo. «Il calore... non hai preso le erbe?»
Le erbe. Non ci ho più pensato, perché la preoccupazione ha attanagliato le mie viscere e la mia mente nelle ultime ore. «Le ho dimenticate», ammetto.
Mi prende il volto tra le mani. Ha capito. «Devi mandarmi via adesso, se non mi vuoi». Lascia andare i miei fianchi, ma questa volta sono io a fermarlo. Ho bisogno di lui, e sono stanco di mentire a me stesso.
Ci scambiamo un altro bacio, preludio a quello che accadrà tra poco. Sento ancora il calore invadermi il petto e ogni centimetro del mio corpo, ma questa volta non ho paura.
Un gemito di dolore di Juan mi riscuote.
«Ti fa male?», i miei occhi cadono sulla sua gamba.
«C'è qualcosa che mi fa male, ma non è quello che credi tu». Sulle sue labbra spunta un sorriso malizioso.
«Ti odio», sussurro, ma gli offro il mio corpo, e seguo i suoi movimenti in modo che possa togliermi di dosso i vestiti. Infilo le mani sotto la sua vestaglia, è già nudo e il calore della sua pelle premuta contro la mia mi travolge. I nostri odori si mescolano e sono diversi dall'ultima volta in cui abbiamo fatto questo.
Il mio corpo è invaso dalla stessa debolezza che mi aveva atterrito il giorno in cui Ramon ha tentato di prendermi con la forza, ma adesso le mie membra frementi sono scosse da un'eccitazione che voglio soddisfare. Il mio corpo e la mia mente sono in armonia, non c'è uno strappo tra il corpo e il cuore, ed è questo quello che dovrebbe accadere a ogni omega.
«Ti voglio», mi sussurra Juan nell'orecchio, mentre mi adagia sul suo letto. Accarezza la mia intimità e fa scivolare senza problemi le sue dita dentro di me. Come nella grotta sollevo il bacino per incontrare il suo tocco, poi gli afferro il polso. «Basta».
Juan comprende quello che voglio, è la stesso desiderio che lo divora da tempo e che adesso gli darò il permesso di soddisfare. Apro le gambe per lui, incapace di aspettare ancora, pronto ad accoglierlo. Quando lo sento scivolare dentro di me, capisco il significato delle parole di Kal e di Nali: ogni omega ha un alfa a cui è destinato.
Sollevo le gambe, allungo le mani verso la sua schiena, per guidarlo meglio. Non ci scambiamo battute mordaci questa volta, entrambi troppo presi dall'unione dei nostri corpi e delle nostre anime.
Sento le labbra di Juan sulle mie labbra, raccogliere i miei gemiti, e poi sul volto, fino ad arrivare allo stesso punto che ha morso sette giorni fa nella grotta. Stringo le lenzuola morbide in un pugno, le tende del baldacchino diventano un punto sfumato. Da questo momento non potrò tornare indietro, ma la razionalità e le conseguenze dei nostri gesti non riescono a penetrare la coltre del mio istinto e del mio desiderio.
I denti di Juan sfiorano la pelle dove è più tenera. Un suo gemito risuona nell'aria, poi affonda i denti e la bocca, facendomi urlare di dolore e di piacere. I suoi affondi diventano più rapidi, così come i nostri respiri, fino a quando la tempesta di piacere che abbiamo innescato non esplode del tutto. Siamo uniti per sempre adesso, in un modo o nell'altro.
Juan rimane ancora dentro di me, l'idea di separarmi da lui in questo momento mi fa male, avvolgo ancora le mie gambe attorno al suo bacino e lascio che il nostro istinto ci guidi ancora.
STAI LEGGENDO
La dinastia (boyxboy omegaverse)
Lãng mạnCompleta su Wattpad. 1801, Isola Pacifca. Lev è un omega, il più giovane erede della nobile famiglia Vieln a cui tutti vorrebbero unire i propri destini. La sua vita è sconvolta dall'arrivo del nuovo governatore spagnolo, che ha ordinato la cattura...