Parte 22 - Juan, condanna

1.4K 115 6
                                    

JUAN

Apro gli occhi, le palpebre mi dolgono, come tutto il resto del corpo. Percepisco odore di muffa e umidità. Quando tento di muovere le braccia sento un rumoroso tintinnio, che mi pare assordante, poi un gocciolio. L'acqua cade da una fessura della roccia, proprio sulla mia testa. Non ho dubbi che i miei carcerieri mi abbiano messo qui apposta, sotto il fastidioso schiaffo dell'acqua. Questa fortezza cade a pezzi, fu costruita due secoli prima dagli abitanti del luogo e dagli spagnoli per proteggersi dalle eventuali invasioni dal vicino continente americano o anche dalla lontana Europa. Prima spagnoli e autoctoni andavano d'accordo, poi è arrivato mio zio...

Sono seduto, le braccia aperte attaccate a una catena, i piedi legati anche essi a due palle piombate. Non posso muovermi, i muscoli tirano, le membra sono addormentate.

Se tendo l'orecchio ascolto il ruggire del mare che si infrange contro la scogliera. Poi le urla degli altri prigionieri. Sento il cuore stretto in una morsa. Il volto di Lev e le sue ultime parole mi tormentano. So che mio zio farà di tutto per averlo, anche se porta in grembo mio figlio e sulla pelle il mio marchio.

Da una stretta feritoia entra una striscia di luce, di sole o di luna. Conto i giorni osservando i movimenti del fascio luminoso sulle pareti di pietra e sulle sbarre della feritoia. Sei giorni. Li conto quando sono abbastanza lucido da ignorare il dolore delle frustate.

Le guardie vogliono sapere da me nomi e piani dei miei complici. Inutile dire che non glieli comunicherò. Inoltre, anche se volessi, ho spiegato loro che non conosco i nomi di tutti i ribelli, per me erano solo volti scuri nel buio della caverna o del retro della locanda. È una mezza verità, ma loro non devono saperlo.

I ribelli che vengono portati qui ogni giorno sono tanti, so che non abbiamo possibilità senza i rinforzi dalla Spagna. Possiamo solo resistere fino ad allora. Per Lev e per mio figlio sento di poter resistere a tutto, ma lui? Per lui le mani di mio zio saranno armi più letali degli strumenti di tortura che dilaniano la mia pelle.

Rivolgo uno sguardo alla scodella di legno colma di acqua. Ci sono giorni in cui le guardie non me ne danno neanche una goccia, e altri in cui mi obbligano a bere e a bere, fino a farmi sentire come morto.

Il fascio del sole oggi non c'è. Il cielo deve essere nuvoloso, e questo mi lascia in un limbo sospeso. Non so se si sta avvicinando l'ora di pranzo o l'ora del tramonto. Altre urla. I ribelli non parlano, neanche loro. Preferiremmo tutti morire.

Sto per chiudere gli occhi, il destro si è gonfiato dopo l'ultimo pugno della guardia. Le ho sentite parlare: dicono che la mia condanna come traditore è inevitabile e che neanche i miei nobili natali mi salveranno. Sono sicuro che lo dicano ad alta voce affinché io li senta e abbia paura di loro e di mio zio. Ai condannati per tradimento spetta un marchio sul petto. A sinistra, sopra il cuore, affinché il malcapitato si ricordi che ha tradito la Corona.

L'esecuzione della condanna è pubblica, in modo che il popolo ci pensi due volte prima di emulare il condannato. Un'usanza deplorevole, che mio zio ha importato direttamente dalla "civile" Europa.

Sto per chiudere gli occhi, quando un chiacchiericcio mi riscuote, poi un rumore di passi e infine la porta che si apre.

«Caro nipote», esordisce mio zio con voce tronfia, piena di sprezzo.

Sollevo il mento. È ben vestito, le mani nel panciotto che aderisce sulla sua figura tozza. «Cosa volete?»

Fa alcuni passi in avanti. «Ti porto notizie del tuo compagno, in modo che tu possa affrontare quello che ti aspetta con l'animo in pace».

La dinastia (boyxboy omegaverse) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora