Capitolo 9

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Pioveva di nuovo. Dopo una breve pausa di sereno, che la primavera aveva concesso compassionevolmente, alla fine il tempo rifletteva di nuovo il suo stato d'animo costante. Era quasi cena e, come tutte le sere, stava camminando verso la lunga passerella che conduceva al suo piccolo Eden. La sua luce in fondo al tunnel. Era diventata un'abitudine di cui non poteva fare a meno. Sentiva incessantemente il bisogno di andarla a trovare: come se non credesse alla sua più grande sventura fino a che non la vedeva coi suoi occhi. Eppure, ogni singola volta, lei si trovava lì, immobile in quella teca di vetro che la manteneva in qualche modo in vita. Anche questa volta sperava di trovarla seduta in mezzo ai fiori ad aspettarlo, ma non era così: si trovava ancora nella teca, immobile. La sua Émilie...

Gabriel Agreste si avvicinò di più alla teca, poggiando la mano sul vetro appena appena tiepido. Sentiva il profumo intenso emanato dalle orchidee che aveva piantato qualche giorno prima. Accennò un sorriso quando vide che le crisalidi che stava allevando erano diventate farfalle candide e svolazzavano intorno ad Émilie.

«Ciao tesoro... Mi dispiace essere un attimo in ritardo rispetto al solito... Ho dovuto fare una videochiamata importante con il direttore di un'azienda americana: potrebbe essere una buona occasione per portare la nuova collezione anche lì», disse con voce lenta, quasi monotona. «Eppure non sono convinto. Il tipo sembra abbastanza incostante, perciò non sono sicuro se fidarmi o meno. Sai quanto tengo al fatto che gli affari siano stabili e duraturi nel tempo.» La guardò come se lei potesse rispondergli, con molta speranza negli occhi. Ogni sera tentava una conversazione, desiderando un suo consiglio o un cenno d'approvazione che puntualmente mancava ad arrivare. Sospirò affranto, per l'ennesima volta. La sua espressione si fece ancor più malinconica, le labbra gli tremavano, gli occhi gli si fecero lucidi. Con voce rotta si rivolse a lei:

«Mia dolce Émilie... La tua mancanza diventa sempre più insopportabile... Mi sento perso. Avevamo talmente tanti obiettivi da raggiungere insieme, ma senza te al mio fianco non hanno nessun valore. Perché il mio unico vero obiettivo era stare con te, ovunque avessi intenzione di portarmi. Non sarei certo riuscito a creare un impero della moda come quello attuale senza la tua presenza. Ora che mi ritrovo a doverlo gestire da solo, non ne vedo il senso. Non mi appassiona più come un tempo. Non sono più stato pervaso dalla creatività, come invece accadeva prima di...» Strinse forte i denti per trattenere le sue emozioni. Gabriel Agreste non poteva permettersi di piangere. Non poteva, certo non di fronte a sua moglie. Perciò riprese a parlare. «E poi avevamo un viaggio da compiere, noi due: dovevamo crescere nostro figlio. Il nostro Adrien... Mi ricordo ancora quando abbiamo deciso il suo nome, sai? Tu eri seduta su una poltrona e stavi leggendo un libro. Poi ti sei alzata di scatto, per quanto la pancia potesse permettertelo, e io ti ho raggiunta preoccupato chiedendoti cosa fosse successo. Allora tu mi hai stupito, cogliendomi alla sprovvista, mi dicesti: “lo chiameremo Adrien”. Avevi uno sguardo brillante. Mi innamorai subito del nome e di come suonava tra le tue labbra. Me lo ricordo. Lo ricorderò sempre. Il nostro Adrien. Dovevamo crescerlo insieme, io sono incapace e lo sai...» Ormai Gabriel quasi delirava nei suoi discorsi, talmente il dolore lo stava pervadendo: il rifiuto della condizione attuale degli eventi aumentava ogni secondo di più. «Dovevamo...»

«Gabriel...» disse una voce soave, musicale, quasi eterea.

«Émilie?!» Sì, perché la donna stava camminando in mezzo alle orchidee dai mille colori. Si avvicinava alle farfalle e le osservava teneramente, come se nulla fosse.

«Dolce Gabriel... Anch'io ricordo quel giorno. Avevamo appena salutato i Bourgeois che erano venuti da noi a pranzo. Ci eravamo divertiti a inventare i nomi per i nostri figli dato che pure Audrey era incinta. Dopo un'improponibile Antoinette proposto da André, siamo scoppiati tutti a ridere. È stato davvero un bel pranzo. Poi, dicevo, salutati i nostri amici, mi sono seduta sulla poltrona a leggere. Ho letto il nome di questo protagonista secondario —inutile alla trama devo dire— e l'ho adorato.» Émilie sorrise con tanto calore, come se stesse riprovando le sensazioni di allora. Gabriel era esterrefatto. Questa volta non sapeva come avrebbe fatto a trattenere le sue lacrime. Era troppo, semplicemente troppo. Si sentì pervadere da un'ondata di tristezza e dolore.

Maschere nella Città dell'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora