𝓺𝓾𝓪𝓻𝓪𝓷𝓽𝓪𝓭𝓾𝓮

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La felicità è una fame che costa amore e lacrime.
(F. Pellegrino)

ℒa suoneria del telefono mi costrinse ad aprire gli occhi, bruscamente, svegliandomi di soprassalto.

Con un sospiro mi voltai, trovando Can già in piedi, di fronte il comodino, vicino il letto.

«D'accordo. Ci vediamo lì alle dieci..» confermò, annuendo, fissando dritto di fronte a sé, «Arrivederci...» disse ancora, prima di chiudere la telefonata.

«Ma chi era?» gli chiesi con la voce ancora impastata dal sonno.

«Il signor Thompson...» mi rispose, fissandomi per un breve momento, accennando un sorriso, aggrottai la fronte confusa, «Sul serio? E cosa voleva da te?» gli chiesi, mentre mi mettevo a sedere, «Vuole incontrarmi in mattinata, per parlare...» mi rispose lui, visibilmente confuso, mentre si passava una mano sul viso.

Cosa poteva mai volere il signor Thompson da Can?

«Mi dispiace di averti svegliata...» mi disse poi, facendo il giro del letto, «Non fa niente..» mormorai, scrollando le spalle, lui sorrise e si sedette al mio fianco, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, fissandomi con un sorriso sulle labbra.

«Come hai dormito?» mi domandò poi, senza mai togliermi gli occhi di dosso, «Molto bene...» confessai, mentre gli cingevo il collo con le braccia, lui sorrise e mi lasciò un bacio sulle labbra.

«Ti ho preparato la colazione..» mi informò poi, mentre con agilità mi prendeva in braccio e si dirigeva verso la porta, «Can ma che fai? Guarda che so ancora come si cammina!» gli dissi, ridendo, «Lo so... ma lasciami fare!» replicò, fissandomi, «Ok! Non parlo più...» risposi alzando le mani.

Raggiungemmo la cucina quasi subito, Can spostò la sedia con il piede e delicatamente mi lasciò andare.

«Grazie..» gli dissi con un sorriso, lui si chinò e mi baciò i capelli, prima di andare a preparare il caffè, «Cosa pensi che voglia dirti il signor Thompson?» gli domandai poi, mentre prendevo un pancake dal piatto.

«Sinceramente non lo so, ma ha detto che deve parlarmi di una cosa molto importante..» mi rispose Can mentre tornava a tavola con due tazze di caffè, «Una cosa importante? Non capisco, solitamente è tuo padre che si occupa di queste cose.  Dovrebbe incontrare lui..» replicai.

Ero davvero confusa, era successo qualcosa che non sapevamo?

«E' quello che gli ho detto anche io ma lui ha insistito di voler parlare con me» affermò Can, alzando le mani, annuì semplicemente restando in silenzio.

«Verresti all'appuntamento con me?» mi chiese ad un tratto, fissandomi, con un leggero sorriso sul viso, «Vuoi che venga lì con te?» gli chiesi, confusa, «Perché no? Non sei solo la mia ragazza, lavori nell'azienda da anni, sei una persona fidata!» mi rispose, lo fissai in silenzio, con un sorriso sulle labbra.

«Cosa c'è?» domandò, aggrottando la fronte, «Io... Sono la tua ragazza?» chiesi, quasi in un sussurro, sentirglielo dire era terribilmente bello.

«Non lo sei?» chiese di rimandò, aggrottando di nuovo la fronte, inevitabilmente mi alzai e andai a sedermi sulle sue gambe, cingendogli il collo con le braccia, «Tu vuoi che io sia la tua ragazza?» gli chiesi, fissandolo dritto negli occhi, «Si. Più di ogni altra cosa...» mi rispose, facendomi sorridere.

Unexpected || Can YamanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora