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Afferro la birra e gli sorrido debolmente, cercando di far tornare almeno un pò dell'energia che avevo prima.
Lui continua a ballare, portando la birra alle labbra con gesti lenti, mentre io la bevo velocemente e mi muovo svogliatamente.

Ho perso tutto l'entusiasmo, e questo un pò mi infastidisce perché la mamma era così contenta della svolta che aveva preso la serata.
E anche io ero contenta.
Ciò che è accaduto con Aron mi ha resa la ragazza più felice della terra, non fraintendetemi, ma allo stesso tempo mi ha cambiato l'umore, perché lui se n'è già andato.

Fino a poco fa era alle mie spalle!

"Come ti chiami, moretta?" mi chiede il biondo.
Quel nomignolo... perché devono usarlo tutti?
"Mi chiamo Brooklyn." dico, ma dubito che mi abbia sentito.
"Come?" sporge l'orecchio verso di me.
"Mi chiamo Brooklyn." alzo la voce e scandisco meglio le parole, in modo che lui comprenda.
"Bene, Brooklyn. Io sono Jonah." mi sorride.
A stento riesco a capire cosa sta dicendo, ma il suo tono cordiale mi trasmette serenità.
"Hai un bellissimo nome. Sei di New York?" mi chiede.

Ha detto che ho un bellissimo nome, e il mio cuore si scalda pensando a mio padre. Si scalda pensando che ora sono nella città che lo ha fatto innamorare della mamma, la città di cui si è innamorato, sono nella città che ha ospitato i miei genitori e li ha affascinati, facendoli camminare tra i vicoli e le strade.

"No, non sono di New York. Vengo da Long Beach." gli dico, avvicinandomi un pò a lui.
"Come hai detto?"
"Long Beach!" alzo la voce e lui mi afferra i fianchi, avvicinandomi pericolosamente a sè.
"Avevo capito, Brooklyn da Long Beach." mi sorride maliziosamente, muovendo i fianchi a ritmo di musica.

Io ridacchio imbarazzata e un pò in panico.
Cosa dovrei fare?
Non posso gettarmi tra le sue braccia, tra le braccia di uno sconosciuto, non dopo quanto accaduto lì fuori, non dopo aver baciato Aron!
"Ehm, io... ecco..." dico, cercando di allontanarmi da lui spingendolo con le mani contro il petto.
"Lasciati andare." mi sussurra all'orecchio.

E lo farei pure se nella mia testa non regnasse sovrana l'immagine degli occhi di Aron, se sulle labbra non sentissi ancora il sapore delle sue, se addosso non avessi ancora impresso il suo profumo.

Cerco di girarmi, di voltarmi verso la mamma, cercando in lei un'aiuto, una distrazione per potermi allontanare da lui, per potermi allontanare dalla sua stretta che si fa sempre più forte e dal suo viso che si avvicina sempre di più al mio.

"Per favore, ho detto di no." gli dico.
Lui sembra comprendere, e gli sono grata per questo.
La stretta sui miei fianchi si fa più lenta, ed ora sento solo le sue dita aperte appoggiate sulla mia carne.
"Perdonami, non volevo essere invasivo. Pensavo stessi giocando." mi dice, sorridendomi nuovamente, cercando di farmi calmare.

E fortunatamente mi calma. Ero già pronta ad etichettarlo come un ragazzo che non accetta un no come risposta, e il fatto che lui abbia capito e si sia scusato mi fa capire che non è quel tipo di persona.
Ma nonostante questo deve togliere le sue mani dai miei fianchi.

Gli sorrido imbarazzata, continuando a spostare il peso da un piede all'altro, mentre lui si muove con un passo più energico.
"Io dovrei... ecco-"

Non finisco la frase che il mio cuore si ferma.
Lo capisco. Lo capisco dagli occhi del ragazzo che ho di fronte, dal suo sguardo fisso alle mie spalle.
Lo capisco dalla presenza che sento dietro alla schiena, dalla figura che - nonostante il buio - mi fa ombra e mi sovrasta.
"Cosa succede qui?" chiede con un tono di voce normale, ma entrambi lo sentiamo.
Il biondo - volevo dire, Jonah, sposta lentamente le mani dai miei fianchi e le lascia rilassate al loro posto.
"Io... ecco, io non... non sapevo che tu..." indica Aron, poi indica me.
Aron inarca un sopracciglio.
"No, no, stai fraintendendo. Noi non siamo fidanzati." chiarisco, alternando lo sguardo tra di loro.
Il biondo ci guarda confuso.
"Quindi cosa vuoi da lei?" chiede poi, sfidando Aron.

Prisoner - animedifferentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora