10. Tipico dei Rivera

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Sono in ansia. Javier dovrebbe essere qui a momenti e io sto per avere un attacco di panico. Ecco cosa succede quando non si pianifica niente. Almeno poteva dirmi dove saremmo andati.

Sono circa le 7 di sera e io come una cretina sto facendo avanti e indietro davanti alla porta di casa mentre nell'altra stanza la mia famiglia mangia felicemente senza degnarsi della povera cretina con rumorosi gorgoglìi di stomaco.

Mi si drizzano le orecchie quando sento il rumore di una macchina fermarsi davanti al cancello. «Vado. A dopo» urlo prima di uscire dalla porta.

Con una piccola corretta attraverso il cortile, sapendo di avere gli occhi di papà e di Santiago puntati addosso. Salgo nell'auto di Javier con un balzo, poi declamo un "buonasera" entusiasta.

«Sei di buon umore oggi», ride leggermente inserendo la marcia. Allaccio la cintura e mi sistemo sul sedile. «Abbastanza...» scuoto la testa in imbarazzo.

«Dove andiamo?» domando sperando di aver scelto un outfit adatto alla situazione. Di certo un paio di jeans e una blusa non sono il massimo per un ristorante elegante.

«Mio padre mi ha consigliato un locale molto chic sulla costa». Ecco bene, sembrerò una sciattona. Cerco di non dare a vedere il mio disappunto iniziando a canticchiare la canzone che passa in radio.

Il tragitto in auto finisce decisamente troppo presto, perché in men che non si dica mi ritrovo seduta al tavolo del locale, sotto gli occhi inorriditi di vecchie bacucche imparruccate.

Siamo sicuri che non sia un locale per drag queen?

«Cosa prendi, Hana?» La voce melodica di Javier mi riporta alla realtà, ricordandomi del cameriere ancora in attesa di una mia risposta.

«Prendo delle linguine all'astice e delle ostriche gratinate. Da bere un calice di Chardonnay», sorrido affamata. Sicuramente faremo a metà con il conto, Javier non è uno di noi.

«Sei pure affamata, oltre che molto felice», lo dice come se gli avessi appena calpestato i testicoli con un tacco 15. Non si è nemmeno degnato di spostarmi la sedia come un vero gentiluomo. Dovrebbe vergognarsi.

«Non mangio da questa mattina, quindi evita», ribatto chiudendo il menu con fare seccato.
Il suo sguardo addosso mi fa sentire un po' male, non si merita la mia arroganza.

«Scusa», abbasso la testa puntando lo sguardo sulle mie mani inanellate. Scuoto i capelli arricciati sulle spalle cercando di ridarmi un contegno. «Non hai niente di cui scusarti».

Alzo la testa stupita. Se ci fosse stato qualcun altro su quella sedia mi avrebbe già preso a testate per la mia maleducazione. Anzi, forse avrei davvero bisogno di qualcuno con il pugno duro, che mi rimetta al mio posto.

«Davvero», continua regalandomi un sorriso genuino.
«Sono pessima», appoggio il mento su una mano sconsolata. Con un movimento lento mi afferra la mano stampandoci un bacio sopra.

«Al momento sei l'unica persona con cui vorrei essere qui», occhieggia per il locale.
Lo zucchero inizia a diventare troppo, chico. Rischio il diabete.

«Allora mi devo sentire importante», alzo gli occhi al cielo riuscendo a sorridere. Non pensavo sarebbe andato così il nostro primo appuntamento. Mi immaginavo qualcosa di più esplosivo e meno stucchevole.

«Abbastanza», intreccia le nostre mani sul tavolo. Inizio ad attendere con frenesia la fine della cena. Non sono fatta per sorrisini e romanticherie. Javier non è il ragazzo che credevo.

«Io ho finito, andiamo?» domando scalpitando sotto il tavolo. Voglio tornare a casa.
«Hai fretta?» domanda divertito alzandosi dalla sedia. «Hanno bisogno di me a casa», fingo mentre osservo lo schermo del cellulare.

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