40. Bebecita

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Tornare a casa è come tornare alla realtà. In questi due giorni non ho minimamente pensato a come ci saremmo comportati una volta tornati alla quotidianità, però mi è bastato uno sguardo di complicità per capire tutto.

Non ci saremmo dovuti comportare in nessun modo, saremmo stati solo noi stessi.

Scendere mano nella mano dal bus è la cosa più ansiogena che io abbia fatto in tutta la mia vita. Riesco però a tirare un sospiro di sollievo quando mi accorgo che nessuno sta dando spettacolo.

Come se non fosse successo niente.

«Andiamo a casa?», chiede mamma raggiungendo me e Montez. Ci sorride dolcemente e ci stringe in un veloce abbraccio.

«Vieni con noi?», chiedo al mio fantastico ragazzo notando zia Olivia e zio Ryan che parlano con zio Drew. «Ovvio», mi stringe da dietro strofinando il naso sotto il mio mento.

Ridacchio posando le mani unite sulle sue. Mi sembra di essere tornati quando eravamo bambini, agli abbracci improvvisi, alle risate e alla complicità. Non siamo mai davvero cambiati.

Ci sediamo sui sedili posteriori dell'auto mentre i miei genitori stanno davanti. Siamo così vicini che neanche una micro particella potrebbe passare tra di noi, nonostante i sedili enormi.

«Che vuoi fare? Pizza e film?», propone. Il collo pizzica a causa della sua testa riccioluta sulla mia spalla, ma è così piacevole come sensazione che preferisco non proferire parola al riguardo.

«Mi sembra fantastico», sorrido nonostante sia conscia che non possa vedermi. «Santiago è riuscito ad avere i biglietti per vedere gli Heat contro i Knicks. Ci sei vero?».

«Come se potessi perdermela. Mi trascineresti per le palle alla partita», mentre parla avvicina il viso al mio collo, facendo si che il mio stomaco si stringa in una morsa di aspettativa.

«Non ci provare, 'Tez», la voce di papà mi fa sbuffare. La mamma nel mentre ridacchia, come se fosse davvero divertente il fatto che papà faccia il protettivo.

«'Pa, non rompere», sospiro irritata. Il mio genitore mi rivolge un'occhiataccia dallo specchietto retrovisore, prima di beccarsi una manata sul braccio da parte di mamma.

Io e Montez ci scambiamo un sorrisetto divertito prima di tornare ad amoreggiare. Le nostre mani si intrecciano sulla mia coscia in una morsa micidiale. La pressione dei suoi polpastrelli sulle mie nocche mi fa stringere il cuore.

«Pensavo che potremmo organizzare qualcosa nel weekend», mormora con il viso ad un palmo dal mio. «Ma è solo lunedì», rido stampandogli un bacio a labbra schiuse sul naso.

«E allora? Ti sto dando un sacco di preavviso, dovresti adorarmi», un sorrisetto scaltro gli disegna le labbra.

«Ti amo», sospiro. Per un secondo inizio a credere che anche mia madre abbia sospirato. «Tu dimmi dove vuoi andare e io organizzo».

Dopo aver passato anni ad uscire con gente che mi considera solo per la mia immagine, è così bello essere coccolati. Sapere che l'altra persona tiene davvero a te e ai tuoi desideri, tanto da prendersi della responsabilità (e non parlo solo di questo viaggio).

«Va bene», mi accoccolo sul suo petto socchiudendo gli occhi. Rimaniamo tutti in silenzio fino a casa, semplicemente nessuno sente la necessità di dire qualcosa. Questo momento è perfetto così.

Recuperiamo i nostri zaini, dove abbiamo stipato le poche cose che abbiamo usato durante il fine settimana e scappiamo di sopra.

«Cazzo finamente», la porta della mia camera sbatte nello stesso momento in cui la mia maglietta vola via. Montez mi stringe per la vita caricandomi in braccio.

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