35. Divina Provvidenza

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«Sei una cogliona», sentenzia Valerie come se non lo sapessi. Mi riserva uno sguardo di compatimento da sopra lo schermo del cellulare.

«Cazzo, te lo avevo appena detto», continua a mormorare Lupe mentre gira a vuoto per la stanza. Mi premo il cuscino sulla faccia sperando di soffocarmi.

«È stato meglio così, mettere in chiaro tutto fin dall'inizio», borbotto sotto il cuscino con l'intento di evitare le loro occhiate d'odio.
Il silenzio dilaga, prima che un corpo estraneo salga a cavalcioni su di me.

«Mettere in chiaro tutto?», Lupe afferra il cuscino e inizia a tirarmelo addosso furiosamente. Sembra lei quella ad essere stata bidonata. «Ma ti senti quando parli?».

«Prima o poi ci saremmo fatti male», mormoro sulla difensiva mentre schivo i suoi colpi mortali. «Cazzo ma allora sei cretina forte», ringhia Elvira dal pouf vicino alla scrivania.

«Eh certo, cogliona. Sei stata tu a fargli male, non una catastrofe come immagini. Lo hai calpestato e poi gli hai pure sputato addosso, metaforicamente».

Le mani cadono a peso morto sul materasso permettendo a Lupe di schiaffeggiarmi con il cuscino. «Questo però non cambia le cose, almeno adesso avrà capito perché non volevo andare oltre».

«Non venire a piangere da me quando lo vedrai con un'altra ragazza, ti ho avvertito», Lupe si arrende scendendo dal letto. Recupera il cellulare e si chiude nel bagno sbattendo la porta.

«Hai fatto schifo ieri sulla passerella», mi rimbecca Valerie mostrandomi un video che ha trovato su Instagram. Le lancio un'occhiataccia prima di ficcare la testa sotto le coperte.

Come se non bastasse ieri sera, quando sono tornata a casa, ho scoperto di avere il ciclo. Al momento infatti sto vegetando sotto le coperte in preda ai crampi mestruali.

«Andatevene», mormoro tirandomi la coperta fin sotto il mento. Voglio morire.
«Rimettiti», finalmente lasciano la presa sull'argomento Montez e decidono di tornare a essere comprensive.

«Prendi le pastiglie», mi suggerisce Lupe prima di chiudersi la porta alle spalle lasciandomi da sola. Afferro il cellulare e mi scatto un po' di foto, almeno mi distrarrò per qualche minuto.

Aggiungo un filtro, una canzone triste e la aggiungo alle mie stories. Sono un'incoerente.
Mi premo la borsa dell'acqua calda sulla pancia rannicchiandomi in posizione fetale, cercando di placare i crampi.

Il calore mi trascina in una sensazione di dormiveglia che mi permette di riposare la mente e il corpo. Scatto sul materasso quando sento la porta della mia stanza aprirsi.

Sto ancora peggio di prima e non ho voglia neanche di girarmi. «Torna a dormire». Montez. Posa una bottiglietta di acqua sul mio comodino insieme ad una confezione di antidolorifici.

«Grazie», singhiozzo tenendo lo sguardo fisso davanti a me. I suoi passi nella stanza si fanno sempre più lontani, poi si arrestano quando raggiunge la porta.

«Rimani qui», mormoro sentendo come se qualcuno stesse cercando di strapparmi il cuore dal petto. Lo sento sospirare, ma la porta non si apre. Forse ci sta davvero pensando.

«Sono un cazzo di masochista», mormora probabilmente sperando che non lo senta.
Il materasso si abbassa sotto il peso del suo corpo avvertendomi della sua presenza.

«Prendi l'antidolorifico», mi consiglia mentre mi abbraccia da dietro. Posa il mento sulla mia spalla sospirando, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Sono costretta a mordermi il labbro a sangue per impedirmi di piangere. Nonostante abbia maciullato il suo orgoglio e i suoi sentimenti è rimasto. Qui. Per me.

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