Per la seconda volta in due giorni mi ritrovo davanti ad una porta, con un unico desiderio a comprimermi il cuore: espiare le mie colpe.
Sorrido imbarazzata ad una delle cameriere che passa, con una pila di asciugamani tra le braccia. «Salve signorina Rivera», sorride prima di girare l'angolo e sparire. Aggrotto le sopracciglia confusa, perché sembrano tutti così felici oggi?
Sbatto le nocche un paio di volte sulla porta di legno, aspettando una risposta. Sento le orecchie tapparsi per l'agitazione. Deglutisco a vuoto sentendo il rumore di tacchi dall'altra parte.
«Adelante», velocemente apro la porta ed entro. Lo sguardo di fuoco di mia madre mi si pianta addosso fino a quando non mi siedo.
«Che coraggio», borbotta piazzandosi a braccia conserte, in piedi, dall'altra parte della scrivania.Se chiudessi gli occhi potrei rivivere il mio crollo mentale di ieri, ma credo sia meglio tenere gli occhi aperti e attenti, in caso anche lei volesse prendermi a schiaffi.
«Capisco che...» tentenno torturandomi le mani in grembo. Cosa potrò mai inventarmi per farle cambiare idea? Adularla?
«No, tu non capisci», mi interrompe colpendo il piano della scrivania con le mani.«Non ci si comporta così con una persona come Izar» sbatte le palpebre, come se cercasse di eliminare le emozioni. «... con una persona che ha un problema come il suo».
Non riesce neanche a chiamare la sua malattia con il proprio nome...
«E come volete aiutarla a risolverlo?» domando confusa e con una vena arrogante. «Assecondandola in tutto ciò che fa, finché non si uccide?» incrocio le braccia al petto godendomi l'espressione stupita di mia madre.
«Non ti ho insegnato a parlare così!» esclama adirata puntandomi un dito contro.
Quando riesco finalmente a vederla in faccia, ma per davvero, capisco quello che cerca di nascondere da sempre.«Voi non volete accettare che lei abbia un problema...» mi alzo dalla poltrona come scottata. Improvvisamente questo ufficio inizia a darmi la nausea.
«Per te è rimasta ancora la bambina perfetta che era quando è nata, non riesci a vedere oltre quell'idea», deglutisco sentendomi per un momento meno importante di Izar. Sono sua figlia, ma continua a dare sempre più attenzioni alla sua figlioccia.
«Non ti rivolgere a me con quel tono, chiquilla» mi fissa con quel suo sguardo minaccioso che mi ha sempre dato i brividi.
Eh no, stronza. Adesso è il mio turno di essere incazzata.«Avresti voluto Izar come figlia, non è vero?» domando con tono retorico. È ovvio che avrebbe voluto avere lei come figlia. Chiunque sarebbe meglio di me.
«Izar è perfetta, è educata e non ha mai dato problemi... Fino a ora», borbotto sentendo finalmente tutta la tensione accumulata uscire.
«Mentre Hana cos'ha di positivo? Niente, perché Hana da sempre problemi, è sempre ubriaca e non sa tenersi stretto un ragazzo», inizio a fare su e giù per l'ufficio sventolando le mani al vento. Spero solo di non aver urlato.
Quando finalmente non trovo parole da aggiungere mi fermo, riprendo fiato e solo dopo alzo la testa per vedere se mia madre è ancora qui. Il suo viso è ricoperto di lacrime e mascara.
Cos'ho fatto?
Mi copro la faccia con le mani cercando di nascondermi da quello che provo vedendola in questo stato. Mi affretto a cercare un pacchetto di fazzoletti e glieli porgo, in preda ad una stretta al cuore.
«Hai ragione» borbotta come se niente fosse, dopo essersi calmata. «Avrei voluto Izar come figlia». Provo una stretta al cuore quando pronuncia quelle parole. Come se un'edera velenosa mi stesse avvolgendo lentamente, fino a farmi mancare l'aria.
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Vas A Quedarte
RomanceHana Rivera, un nome: una garanzia. A 17 anni ha tutto quello che un'adolescente normale sogna: una villa con piscina, un conto in banca illimitato e una carriera da modella già spianato davanti a sé. Che vi dicevo? Un sogno. Peccato che per Hana qu...