Il baby shower involontariamente si è trasformato in un party senza alcool. Ovviamente è stata tutta colpa di Mateo e della musica che ha messo.
Gli adulti sono stati cacciati via, mentre noi abbiamo passato tutta la sera in piscina e a rimpinzarci di torta alle fragole, in tema con le lanterne.
Non sono di certo mancate le occhiate di Montez, che ogni volta sembrava volesse sbranarmi con la sola forza delle pupille. Grazie al punch corretto sono riuscita a passare la serata senza farmi troppe seghe mentali.
Il fotografo ovviamente ha sfruttato la location per farci altre foto e per farsi pagare di più, ma il lavoro è stato ottimo quindi sono stata davvero felice di pagarlo.
Adesso però mi pento di aver bevuto tutto quel punch: ho passato la mattinata con la testa sul banco per il mal di testa e adesso non riesco neanche fare i compiti.
Per di più Lupe mi sta tartassando di messaggi, ricordandomi che il party dopo la partita sarà a tema Halloween e che ha trovato dei costumi davvero sexy per entrambe.
Scuoto la testa silenziando il cellulare: se continuo così il mal di testa peggiorerà e la musica di stasera me la farà scoppiare.
Mi sdraio sulla caterva di cuscini sul mio letto e sospiro socchiudendo gli occhi. Il silenzio innaturale mi costringe ad aprire gli occhi. Non sono abituata al silenzio.
Abbasso lo sguardo sul mio cellulare capovolto. Allungo una mano per togliere la cover e lascio che polaroid cadano sul letto sparpagliandosi.
Le osservo assorta. Io e Lupe.
Io, Lupe e Valerie.
La nostra squad.
Io e mamma.Io e Montez.
Accarezzo delicatamente la superficie dell'ultima foto, ripensando alla nostra ultima conversazione. Ho riaperto una ferita che avevamo giurato di dimenticare.
Solo noi sappiamo cosa sia successo quella notte di due anni fa, nel ghetto di Buenos Aires. Solo noi sappiamo cosa abbiamo provato. Il dolore lancinante, la paura, la solitudine.
Se solo mi osservo le mani rivedo il sangue che le macchiava. Mi premo il pugno sulle labbra trattenendo le lacrime.
Mi stringo al petto la foto chiudendo gli occhi. Fare finta di odiarlo è più facile che mostrare a tutti quanto io abbia sofferto.
La voglia di piangere e sfogarmi è tanta, ma non voglio sentirmi debole. Non voglio che qualcun entri di soppiatto e mi veda ridotta così.
Inizio a vagare per la camera, cercando qualcosa da fare. Teoricamente dovrei studiare, praticamente non lo farò. Mi siedo alla toeletta osservandomi. Che faccia da vampiro che ho oggi.
Inizio ad aprire i vari cassetti cercando qualcosa che possa distrarmi. Trovo un piccolo raccoglitore sul fondo di un cassetto. Sfoglio le pagine, osservando i vari poster nelle buste di plastica, i biglietti dei concerti a cui sono stata, alcune foto.
Su una delle ultime pagine osservo una foto davvero sfocata, ma riconosco benissimo cosa rappresenti. Ci sono due bambini abbracciati, lei indossa un cappellino da festa, mentre lui ha un sorrisetto impertinente.
Quei bambini siamo io e Montez.Rido isterica: sembra che tutto voglia farmi pensare a lui, mentre io cerco di evitarlo completamente.
Con il cellulare faccio una foto alla pagina e gliela invio, aggiungendo una didascalia.
"Sembra passato un secolo...".Visualizza immediatamente, ma non risponde. Mi sta ripagando con la stessa moneta.
Sospiro sentendomi leggermente offesa.La cameriera si affaccia alla porta, sorridendomi gentilmente. «Sua cugina Lupe sta arrivando», annuisco stranita.
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Vas A Quedarte
RomanceHana Rivera, un nome: una garanzia. A 17 anni ha tutto quello che un'adolescente normale sogna: una villa con piscina, un conto in banca illimitato e una carriera da modella già spianato davanti a sé. Che vi dicevo? Un sogno. Peccato che per Hana qu...