18. Cioccolato e cocco

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Il calore della coperta mi rilassa i muscoli. Non avrei mai pensato di saltare le lezioni nascondendomi dietro le quinte del palco dell'auditorium.

Devo dire che il primo posto a cui ho pensato erano gli spalti dello stadio, ma la brezza fredda che sbatte contro le finestre mi ha fatto cambiare idea molto velocemente.

Mi lascio cadere sul comodo divanetto color porpora mentre aspetto Montez, il quale dovrebbe arrivare da un momento all'altro. Non vedo l'ora di poter gustare il buonissimo tè delle macchinette. Certo, come no.

Ammetto che lo sto un po' sfruttando.

Il sopraccitato compare da dietro la tenda rossa del palco. Automaticamente mi chiedo come faccia a non avere freddo indossando solo una camicia a maniche corte e una giacca di pelle.

Probabilmente sono io che mi sono ammalata.

«Prego» con un mezzo sorriso mi porge il mio tè. Gli reggo anche la sua bevanda mentre si accomoda sul divano e si toglie le dr. Martens.
«Ti sei preso la cioccolata calda» ridacchio passandogli il bicchierino di carta.

«Ne vuoi un po'?» domanda gentilmente mentre si lecca le labbra per rimuovere le tracce di schiuma del primo sorso. Questo non è per niente gentile, anzi è davvero scortese, deliziosamente scortese.

Ma cosa sto pensando?

Ok, devo avere la febbre. Non posso pensare questo di Montez. Cavolo, facevamo il bagnetto insieme quando eravamo piccoli!

«No, grazie» scuoto la testa portandomi alle labbra il mio bicchiere. Il liquido giallognolo e insapore mi bagna la bocca dandomi un po' di sollievo. Farà schifo ma aiuta.

Rimaniamo in silenzio per un po', concentrati sulle nostre bevande. Lentamente inizio a sentirmi meglio. Il malessere si placa lasciando solo un forte senso di stanchezza. Istintivamente allungo le gambe per rilassarmi, non pensando al poco spazio che abbiamo a disposizione sul divanetto.

Sorprendentemente Montez mi lascia appoggiare le gambe sulle sue. Oddio, cosa gli sta succedendo?

Meglio non pensarci.

«Ho visto che stavi parlando con Christine, prima» lascia la frase in sospeso. La domanda è abbastanza ovvia.

«Abbiamo chiarito», prendo un sorso di tè. «La cosa strana è che se ne era quasi dimenticata», obbietto. Poso la tempia sullo schienale del divano osservandolo da dietro le ciglia.

«Come: l'ha dimenticato?» domanda tra il confuso e il divertito. Faccio spallucce strofinandomi un occhio per cercare di rimanere sveglia.

«Poi mi ha detto che dovrei essere fiera di me stessa» continuo rivangando i ricordi della conversazione di poco fa. Non ricevo subito una risposta, ma dalla sua espressione deduco che stia riflettendo.

«Beh in un certo senso ha ragione» obbietta inarcando entrambe le sopracciglia. Con uno sbuffo lascia cadere la testa all'indietro, sul bordo dello schienale. I capelli ricci ricadono all'indietro scompigliandosi.

Le dita pizzicano dalla voglia di passarci le dita in mezzo, ma riesco a placare la mia assurda tentazione stringendo il bicchiere ormai vuoto.

«Mh, non sarei così d'accordo» commento rapidamente. Di cosa dovrei andare fiera precisamente? Di aver flirtato con un criminale? Di aver lasciato Lupe da sola in una strada deserta?

Di aver fatto rischiare la vita a chi voglio bene per poter salvare quell'egoista di Izar?

«Credo dovresti farti meno paranoie e iniziare a pensare che hai salvato tua cugina da un maniaco» socchiude leggermente le palpebre tenendo lo sguardo fisso sul soffitto.

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