11. «Proprio non capisci...»

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«Fai piano», sento sussurrare a pochi centimetri dal mio apparato uditivo. Cerco di convincermi che è tutto un sogno, ma la voce è troppo simile a quella di Lupe per non farmi non dubitare.

Mi viene proiettato negli occhi un flash per pochi secondi, seguito poi da un click. Questo basta a rendermi più sveglia che mai. Sbuffo sonoramente prima di aprire gli occhi.

In pochi secondi le mie sinapsi mi ricordano di dove sono e che cosa ho fatto la sera prima. Montez, nella mia stessa posizione mi guarda stranito. La coperta ancora ci copre e la mia tazza vuota è ancora sul tavolino, insieme ad un pacco di biscotti.

Lo ammetto: sono colpevole.

Come un flash mi torna in mente la cena disastrosa di ieri sera. Dovrò scusarmi con Javier il prima possibile. Va bene essere evasivi ma io ho rasentato un livello di stronzaggine mai rilevato prima sulla Terra.

Mi stropiccio gli occhi con davvero poca grazia, che devo tenere la bocca serrata per evitare che un mega rutto fuoriesca dalla mia bocca.
Sono umana anche io, santo dio.

Finalmente mi accorgo di essere circondata: Lupe e Santiago alla mia destra armati di telefono, mentre Elvira, Valerie e Andreas sono seduti sull'altro divano a godersi la scena.

«Cosa volete?» sbadiglio vistosamente riuscendo a malapena a coprirmi la bocca con una mano. «È l'una e voi non vi siete neanche presentati a scuola», mi informa Val dall'altra parte della stanza.

Cosa?

«Eh mamma non poteva svegliarci?» domando seccata mettendo un piede fuori dalla coperta. Ok no, si sta meglio sotto.
«Mamma e papà hanno dormito in albergo, ieri hanno fatto tardi così si sono fermati lì», spiega Tiago.

Ah...

«Io in verità...» parte all'attacco Lupe come se stesse per confessarmi il suo piano malefico.
«Volevo mostrarti il costume di carnevale che indosseremo». Sbatto le palpebre un paio di volte sconvolta. Ma è pazza? Mancano ancora sei mesi.

Capisco che il carnevale di Barranquilla sia il carnevale più importante dopo quello di Rio, ma cercate di comprendere: per me è come se fosse appena finito quello di quest'anno.

«Ma cosa stai dicendo?» domanda appunto Montez dando voce ai miei pensieri. Lupe in un primo momento sembra andare in catalessi, poi inizia a blaterare cose a caso.

Una domanda: cosa le hanno dato da mangiare stamattina?

«La nonna ce li ha inviati all'hotel», è l'unica cosa che riesco a capire prima che corra fuori dalla stanza. Siamo sicuri che non abbia fumato qualcosa di molto velenoso?

In un paio di secondi ricompare con due buste di plastica che contengono i nostri vestiti. Non riesco a riconoscere gli estremi del vestito per la quantità di piume, lustrini e strass che sono stati applicati sull'abito. Almeno è rosso.

Rimango zitta non sapendo cosa dire. Cosa si dice in queste situazioni?
La parte divertente è che a me questa scena capita ogni anno, ma puntualmente mi dimentico cosa dire, ogni anno!

«Ok...», tentenno decidendo di portare la mia tazza in cucina. In un nano secondo sento di aver fatto la scelta sbagliata: ad uscire con Javier, di non essere rimasta nel letto e di essermi addormentata sul divano.

Mi appoggio al lavello della cucina chiudendo gli occhi. Inspiro ed espiro un paio di volte cercando di togliermi dalla testa l'attrito nello sguardo Santiago.

«Cosa fai, ti senti male?» mi deride Montez palesandosi alle mie spalle. Strizzo gli occhi prima di girarmi, per poterlo fronteggiare a volto scoperto.

«Non hai nient'altro da fare che preoccuparti per me?» domando seccata appoggiandomi al lavello a braccia conserte.
«Fino a prova contraria sei tu che mi hai coperto ieri sera...» ghigna sfacciatamente, pensando anche solo di intimorirmi.

«Mi facevi pena», faccio spallucce disinteressata. Non mi faccio sbeffeggiare da uno come lui. Mi volto per cercare una tazza pulita nella dispensa. Non ho ancora fatto colazione.

Non faccio in tempo a voltarmi di nuovo per appoggiare il tè e i biscotti sul tavolo, che mi ritrovo a meno di un metro da Montez che mi fissa serio.

«Cosa c'è, ti sei offeso?» domando con lo stesso tono di voce che ha usato prima con me. Non mi faccio mettere i piedi in testa da uno stronzetto che ha una considerazione di sé decisamente troppo alta.

Continuo indisturbata preparare la colazione sotto lo sguardo ombroso e decisamente offeso di Tez. Verso l'acqua calda nella tazza dove immergo la bustina con le foglie secche e addento un biscotto. Niente, voto del silenzio.

Lo sfido con lo sguardo mentre ingurgito un sorso di tè. Il suo volto di oscura ancora di più, come se avessi superato il limite.
Arriccia le labbra e si gratta il mento dove al momento sta crescendo un sottile strato di barba.

«Proprio non capisci...», borbotta abbassando lo sguardo per un secondo. Scuote il capo e dopo avermi osservato per un'ultima volta esce dalla stanza senza guardarsi indietro.

Continuo ad osservare la parete a cui era appoggiato cercando di capire cosa intendesse. Cosa non capisco? Cosa sto continuando ad ignorare nonostante sembra che tutti l'abbiamo capito?

Svogliatamente finisco il tè in pochi sorsi e mi ingozzo di biscotti. Dov'è mamma quando serve? Esco dalla cucina trovando tutti sul divano a parlare. Salgo le scale ignorata da tutti. Meglio così.

Mi siedo alla scrivania riuscendo finalmente nell'intento di studiare. Tra le sfilate, gli shooting e la famiglia non ho proprio tempo di mettermi avanti con lo studio. Se non mi bocciano adesso non mi bocceranno mai.

Quando chiudo i libri sono ormai le 6 di sera. Non credo di aver mai studiato così tanto. Mi massaggio le tempie cercando di alleviare il mal di testa. Forse non è stata una grande idea non fare alcuna pausa.

«Siete ancora qui?» borbotto quando scendo il salone di nuovo. Il volume della televisione è impostato al massimo, che devo strizzare gli occhi per una fitta lancinante alle tempie. Intanto loro ovviamente dormono.

Bah...

Ci sono pacchetti di patatine e popcorn sparsi ovunque, bottiglie vuote, tappi di birra e bicchierini da shot sparsi sul tavolo. Se quelli si rompono papà li ammazza.

Dovrebbero farmi santa per quello che sto per fare!

Per prima cosa spengo la tv perché potrebbe davvero esplodermi la testa da un momento all'altro. Un po' di sollievo almeno...

Cerco un sacco dell'immondizia e dopo averlo trovato (già quello mi ha rubato una ventina di minuti) inizio a raccattare tutto, sperando di finire prima che arrivino i miei.

Mentre cammino a piedi scalzi intorno ai divani un dolore lanciante al piede sinistra mi fa urlare come un'indemoniata.

«¡Joder!» cerco di trattenere le lacrime per il dolore. Osservo la pianta del mio piede trovando un tappo di birra piantato proprio sopra uno dei nervi.

Non me ne capita una giusta...

«Che hai fatto?» domanda Valerie ancora un po' intontita dal sonno e dall'alcol.
«Potete non seminare tappi di bottiglia per la stanza, grazie?» Domando inviperita lanciando il tappo nel sacco.

Continuano tutti a guardarmi senza fiatare. Ma sono scemi o cosa? Sbuffo piegandomi per afferrare un paio di bottiglie di birra vuote. «Se mi date una mano forse evitiamo un cazziatone da premio Oscar!» sbotto.

E fu così che Hana Rivera riuscì a farsi ascoltare da un gruppo di adolescenti nullafacenti. Santiago continua però a guardarmi male.

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Buongiornoooo bella gente!!!
Che ve ne pare il capitolo??
Io mi sono divertita tanto a scriverlo.

Aspettatevi un capitolo sul carnevale di Barranquilla perché ho già un sacco di idee in mente. Stanno per arrivare tante cose 🙃🙃

Eh niente... lasciate tante stelline e tanti commenti che vi leggo.

Bacioni,
Love you all💓

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