26. Triangolo amoroso (Pt.2)

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Mi volto verso la cameriera che mi indica un punto in fondo al giardino. Alzo lo sguardo ritrovandomi molto presto a sgranare gli occhi. Nonna Elettra è qui.

Sfrutto il momento per sfuggire alla conversazione con Montez, correndo dalla nonna. «Abuelita», mormoro sinceramente felice contro la sua spalla.

«Es posible che sia la tua cameriera a chiamarmi per informarmi de lo que estás planeando?», mi domanda con il suo solito accento marcato.

«Ero davvero occupata, lo siento. Spero ti sia divertita sul jet», continuo a tenerla stretta a me, come se questo solo contatto potesse permettermi di recuperare tutto il tempo che abbiamo passato lontane.

«Oh mija, que Dios me perdone! Il barista era davvero carino», ride argentina... di nome e di fatto.

«Mi fa molto piacere, davvero. Raggiungi la mamma», indico il divano al centro del giardino, dove siedono i miei genitori.

«Devo andare a controllare la torta, sperando che non sia successo niente», non è vero, è solo un modo per fuggire da Montez e dal suo sguardo penetrante.

«Certo tesoro, non voglio intralciare i tuoi piani», mi lascia un buffetto sulla guancia.
«Chiedi al barista un po' di punch corretto, se ne hai voglia. Però non farne parola con la mamma, non deve saperne niente», le lancio un'occhiolino, prima di entrare in casa.

Mentre cammino lentamente verso la cucina penso a quanto mi senta bene adesso. Nonna Elettra mi ha fatto da mamma fin da quando ero molto piccola. Mi ha cresciuta e mi ha impartito insegnamenti, degni di lei e del suo vissuto.

Non sto di certo denigrando l'affetto ricevuto da nonna Isabel e nonno Adrian, o da nonna Mercedes e nonno Marcus, ma loro sono sempre stati un po' distanti.

Quando io e Santiago siamo nati loro era ancora molto giovani, quindi non so, non hanno mai avuto l'aspetto classico di un nonno o una nonna, ma più che altro di una zia o uno zio.

L'affetto non è mai mancato e neanche i regali, soprattutto i souvenir che ci portavano alla fine di ogni loro viaggio, se proprio devo ammetterlo è sempre stata una cosa più che altro di sensazioni.

Dio, neanche io so come spiegarmi a volte.

Entro in cucina e apro il frigo per poter vedere la torta dal vivo finalmente. Ovviamente conservo i bozzetti con le varie idee, ma vederla fatta e finita è un'emozione fantastica.
Soprattutto il mio stomaco è emozionato.

La superficie è totalmente bianca, come l'avevo richiesta, ma la parte migliore deve ancora arrivare. Non vedo l'ora che le lanterne vengano accese per poter scoprire il sesso del bambino.

Avrei potuto sbirciare il foglietto della ginecologa, ma non l'ho fatto: desiderando di poterlo scoprire insieme a tutta la famiglia.

Chiudo l'anta del frigo, così che la torta non si scaldi. «Che fai? Mangi già la torta?», sussulto sentendo la voce di Izar alle mie spalle.

Socchiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, poi mi volto e le rivolgo un'occhiata critica. «Cosa c'è?», mi domanda sbuffando.

«Hai il coraggio di fare la simpatica? Quindi non ti ricordi quando ti ho salvato il culo, mettendo in pericolo la mia vita e quella di Montez?», esclamo davvero colpita. Non prova neanche un minimo senso di rimorso.

«È roba vecchia quella, Hana. Sto cercando di essere migliore», si lamenta, come se ne avesse il diritto.

«Non è vero che è roba vecchia», puntualizzo piccata. «Non ci hai neanche chiesto se quell'esperienza ci abbia un minimo turbati, proprio come tua madre», le rinfaccio offesa.

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