14.3 Artie

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Arthur attese la mezzanotte come mai aveva fatto prima, impiegando il tempo a sistemare – finalmente – la maledetta scrivania

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Arthur attese la mezzanotte come mai aveva fatto prima, impiegando il tempo a sistemare – finalmente – la maledetta scrivania.

Guardava gli scarabocchi sul tavolo e li trovava tutti terribili e pieni di difetti. L'unico disegno decente che aveva fatto in quel periodo era stato quello di Chandra sulla spiaggia, ormai andato distrutto.

Sul momento, dirottare l'incantesimo di Fuoco sulla carta gli era parso un ottimo modo per cancellare l'unico capo d'accusa a loro carico; adesso, gli pareva soltanto di aver peggiorato la situazione.

Dopo avere più o meno messo in ordine, Arthur si distese sul letto, in attesa: era certo che Chandra sarebbe passata in camera sua per raccontagli tutto, benché non avessero avuto modo di darsi appuntamento, e lui aveva un serio bisogno di parlarle.

Quando le palpebre iniziarono a farsi pesanti, dei passetti veloci oltre la porta ricatturarono l'attenzione del ragazzo.

Arthur scattò seduto e tese l'orecchio: il ticchettio risalì verso l'alto, dove stavano i dormitori della Luna. La camera dell'accolito era stata bellamente ignorata.

Era strano, molto strano.

Arthur chiuse le mani intorno alle labbra, tenendo ben a mente il visetto armonioso della rivale, e bisbigliò: «Va tutto bene?»

La risposta arrivò dopo svariati minuti, tanto che Arthur aveva iniziato a preoccuparsi sul serio. «Sono in camera», recitavano le parole di Chandra.

Interpretando quel messaggio come un invito, Arthur arraffò le scarpe – rigorosamente spaiate su due punti diversi del pavimento –, uscì dalla camera e si diresse verso quella della rivale.

Salì per le scale e, una volta in cima, si rese conto che Chandra non lo stava aspettando sulla soglia come al solito.

Anche quello era strano, parecchio.

Attraversò di fretta il corridoio, con lo sguardo puntato in direzione della porta. Bussò, ma Chandra non aprì. Attese qualche altro secondo in piedi, dietro l'anta, in compagnia di uno spiacevole senso di ansia nel petto.

Perché Chandra ci stava impiegando tanto?

Afferrò la maniglia e controllò se l'avesse lasciata aperta per lui, ma anche quella era chiusa.

C'era qualcosa che non andava, per forza: non era da Chandra invitarlo e poi ignorarlo. Era fin troppo precisa negli appuntamenti per dargli buca.

Poi, degli spifferi – troppo forti per essere naturali – filtrarono dalle guarnizioni della porta. Arthur non ebbe difficoltà a riconoscerne la causa: un incantesimo d'Aria.

Ma fu solo quando l'uscio si aprì, e Chandra fece la propria comparsa, che Arthur capì di aver sbagliato tutto per la seconda volta in quella serata.

«Scusami, non avevo capito.» Arthur alzò le mani e fece un passo indietro. «Me ne vado subito.»

Chandra era già in pigiama e con i capelli sciolti. Sebbene non osasse alzare lo sguardo, era chiaro che aveva pianto fino a pochi istanti prima mentre adesso stava cercando di trattenersi davanti al rivale. Lei non lo aveva invitato in camera sua, come Arthur credeva, e lui era con ogni probabilità di troppo.

Come Aria e TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora