Capitolo 3. Dama

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Lo spegnersi del motore dell'auto mi riportò al mondo reale.

Dopo essere saliti in macchina, ci eravamo scambiati qualche parola, per poi far calare il silenzio assoluto. Un po' di tensione era certamente presente, soprattutto da parte mia, ma non potei farci niente: stavo andando a casa di uno sconosciuto, nonché mio futuro collega, ed era quasi surreale la piega che aveva preso la situazione. Quella sera feci un'eccezione, non avrei comunque avuto alcun rapporto con Greens se non per questioni lavorative, perciò, giusto il tempo di chiamare qualcuno che potesse venirmi a prendere, e ci saremmo rivisti il giorno dopo, ma senza situazioni indesiderate. Solo due semplici colleghi di lavoro dediti al proprio mestiere. In ogni caso, portavo sempre un taser elettrico che poteva sempre essere utile. Non si sa mai.
Rimosse le chiavi della sua Mercedes, per poi scendere dall'auto.

Corse, facendo il giro, verso il sedile del passeggero per poi aprire la portiera per farmi scendere.
«Siamo arrivati a destinazione mia dama.» Mi porse la mano per aiutarmi ad uscire.

Uscii dal veicolo e mi fermai davanti a lui, tirando fuori dalla mia borsetta una caramella alla fragola. Presi la sua mano ed adagiai il mio regalino su di essa, chiudendola poi stretta, come per fargli intendere che se avesse osato perderla, sarebbe stato un uomo morto. «È molto disponibile, ma la dama può farcela da sola,» mi incamminai con passo deciso e disinvolto verso l'abitazione, sentendo un brivido di freddo a contatto con l'aria serale, divenuta improvvisamente più fresca. 
Il moro mi seguì, arrivando davanti all'entrata della sua abitazione. C'erano poche case, e ognuna di esse era l'una diversa dall'altra in fatto di stile. La sua era costruita con una serie di mattoni in terracotta ed era, forse, la più grande tra quelle mi caddero all'occhio. Tirò fuori un mazzo di chiavi da solo lui sapeva dove, ed iniziò a frugare tra le innumerevoli chiavi penzolanti. Finalmente trovò quella giusta, infilandola nella serratura ed aprendo il grande portone. 

L'interno a prima vista sembrava molto semplice: l'ingresso era costituito da un corridoio che portava poi al soggiorno. La particolarità di questa stanza, era che le pareti erano interamente ricoperte in pietra bianca, facendo contrasto con i mobili rustici che possedeva e con l'esterno della casa.
Si tolse la giacca che ricopriva le sue spalle, rivelando il suo fisico costituito da spalle larghe e vita stretta, e la poggiò sul divano. 
«Il telefono è là,» indicò un mobiletto, posizionato vicino alla televisione dallo schermo enorme, «devo sbrigare delle faccende di lavoro, se hai bisogno di me sarò nel mio ufficio.» Disse aspettando un assenso da parte mia che non tardò ad arrivare. Mi rivolse un lungo sguardo per poi avviarsi subito dopo verso una porta che portava al suo ufficio. Anch'essa, era posizionata accanto alla televisione.

Feci lo stesso avvicinandomi al piccolo mobile, sul quale era posato il telefono fisso che, una volta, ricordo di aver visto a casa di Eleonor. Era lo stesso modello, peccato che quello della mia amica aveva fatto una brutta fine. Come era finito nel water io non lo avevo mai  capito, sapevo solo che, mentre stava parlando con me al telefono, si stava dirigendo in bagno ed improvvisamente avevo sentito come un acquazzone propagarsi nella cornetta. Custodivo con gelosia la foto del telefono, assieme anche ad un video di Eleonor che si disperava per trovare un modo per rianimarlo, ma con scarsi risultati.

Digitai il numero di telefono di quella squilibrata della mia amica che, con mia sorpresa, non mi rispose. Il telefono squillava, ma della sua voce nessuna traccia. Dove diavolo era? Continuai a chiamare all'infinito, ma di una risposta non se ne vide nemmeno l'ombra. Pensai in fretta a qualcuno che potesse essere disposto a venirmi  prendere, ma non mi veniva in mente nessuno. Era a dir poco perfetto. Come sarei ritornata a casa adesso? La tentazione di chiamare Sinclair e dirgli di muoversi era molta, ma la paura di ricevere come risposta ansimi ed urla, mi fece rabbrividire e ripensarci.

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