Capitolo 11. Bambola voodoo

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Le sue mani stringevano i mie polsi, ma stavolta non impiegò troppa forza perché non vi fu alcuna resistenza. Non lo chiese nemmeno, se io volessi o meno, poiché era consapevole del fatto che come lo voleva lui, lo volevo anche io. Le sue labbra avanzavano a poco a poco con una lentezza straziante ed io non ebbi più la certezza di cosa stessi facendo: era giusto, era sbagliato, ormai avevo smesso di pensarci. Le nostre bocche, ad un passo l'una dall'altra, stavano fremendo dal volersi toccare, ma erano comunque un pizzico titubanti, anche se i suoi occhi esprimevano tutt'altro che insicurezza. Era sicuro di sè, questo era innegabile. Sin dal primo giorno in cui lo avevo conosciuto non l'avevo mai visto in difficoltà. 
Nella mia testa si stava scatenando il caos, sentivo le campane delle undici e mezzo suonarmi nelle orecchie e che non cessavano di rimbombare. Tutto d'un tratto Elia si fermò. 

Portandosi una mano a palmo aperto sul volto e mormorò tra sè e sè qualcosa che non udii molto bene, sta di fatto che si alzò dal letto liquidandomi con un «sono loro,» ed uscendo dalla stanza. Rimasi immobile per ancora qualche secondo, non riuscendo a metabolizzare la scena. 

Il suono del campanello mi fece realizzare che quelle che tintinnavano nella mia testa non erano le campane, ma Eleonor ed Ellen che si erano letteralmente fiondate sul letto. «Stai bene?» Mi chiedeva preoccupata Ellen.
«Sei viva!» Mi saltò addosso Eleonor, «le hai dato qualcosa per riprendersi?» Continuò voltandosi verso Elia che annuì dicendo che aveva fatto il possibile. Incrociai il suo sguardo, e facendo ciò non potei far a meno di ricordare quello che era successo, o meglio, stava per succedere qualche minuto fa. Mille scenari diversi si fecero spazio nella mia mente, e la maggior parte di essi comprendevano me ed Elia intenti a scambiarci effusioni ben poco caste. Se avessero ritardato di qualche minuto, se si fossero imbattute in un qualche imprevisto che avrebbe bloccato il loro passaggio io ed Elia, in questo esatto momento, ci staremmo baciando.

«Penso che le stia venendo un altro calo di pressione, è tutta rossa!» Si allarmò Ellen andando nel panico ed in risposta la figlia mi lanciò letteralmente un panno pregno d'acqua in faccia, proprio come un giocatore di baseball lancerebbe la sua pallina per mandarla il più lontano possibile. «Sto bene! Non è nulla!» Tentai di tranquillizzare le due, anche se era più che evidente che non stavo bene per quanto riguardava il mio stato mentale. Evitando come la peste di viaggiare con l'immaginazione, mi ricomposi cercando di non portare la mia attenzione sul moro, ma bensì altrove. Non sarei riuscita a guardarlo in quel momento senza assumere il colore di un peperoncino piccante. 

«Sicura di stare bene?» Intervenne Eleonor ed intanto Elia si era avvicinato a noi, appoggiandosi sul muro dinanzi al lato del letto ed affiancandosi alle due. 

«Penso di sì,» tentai di alzarmi, ma ciò che ottenni fu tutto il contrario. Le braccia mi dolevano molto e con esse le gambe, più che sicura che quel male fosse dovuto alla caduta di peso sul pavimento della gioielleria. «Sono ancora un po' indolenzita, ma posso farcela,» provai ad alzarmi ed un giramento non fece altro che alimentare l'equilibrio inesistente. Sarei caduta di nuovo a terra se Elia non fosse nato con dei riflessi prontissimi. «Penso che sia meglio se rimani a letto un altro po',» intervenne Ellen timorosa. Guardai il ragazzo il quale mi teneva tra le sue braccia e che intanto stava facendo lo stesso. Il suo viso era rigido, la sua mascella seguiva era tirata e le labbra erano serrate. «Vieni. Ti aiuto a stenderti,» tenne le mie braccia strette per evitare che cadessi nuovamente, e mi aiutò a coricarmi nuovamente. Quel contatto riuscì a farmi ricordare la stretta che le sue mani avevano assunto sui miei polsi ed il mio cuore non poté fare a meno di aumentare il suo battito. Cosa diavolo mi stava succedendo? 
Ringraziai la piccola famigliola, dando una sbirciata di tanto in tanto al moro, il quale manteneva la sua visuale su qualunque cosa non fossi io. Madre e figlia uscirono dalla stanza ed Elia, invece, rimase ancora per un po' sul ciglio della porta. Sbuffò rumorosamente per poi andarsene.
Chissà a cosa stava pensando.

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