Capitolo 20. Anelli di totano

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Momentaneamente, potevo affermare con assoluta certezza di essere nella merda. Mi alzai di corsa dal letto di Elia, prendendo alla svelta in prestito dal suo armadio una maglietta ed il paio di pantaloni più stretti che avesse. Il mio vestito era ancora bagnato, perciò non se ne parlava di indossarlo. Era una situazione fin troppo delicata quella, e ci sarebbero potute volere ore per poter risolvere il problema. «Sono riusciti ad entrare nei nostri sistemi e ad hackerarli,» mi aveva riferito Mitchell in tono serio e cosciente della gravezza della notizia. Non persi tempo a chiamare un taxi e ad uscire dall'abitazione il più in fretta possibile. Il veicolo color ocra parcheggiò davanti a me e, senza esitare, sfrecciò tra le strade completamente libere di Chicago. Era Domenica mattina, per precisione. 

Intravidi l'alto grattacelo e, appena l'autista si accostò al suo marciapiede, come una lepre determinata a vincere la corsa, saettai all'ascensore che mi condusse al quindicesimo piano. Quasi sfondai la porta per aprirla, e tutti gli sguardi preoccupati dei miei cooperatori si posarono su di me. 

«Ho fatto il più in fretta che potevo,» mi scusai per l'imprevisto e subito mi rivolsi a Mitchell. «Qual è la situazione?» Domandai nervosa all'uomo che, con il corpo rivestito da una tuta Total Grey, si era alzato forse fin troppo velocemente. Era un tipo che si prendeva tutto il tempo del mondo per fare le cose, ed il fatto che fosse scattato in piedi non era per nulla un buon segno. 

«Sono quaranta minuti buoni che Miller sta provando a recuperare la password, ma nulla,» si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi con due dita esasperato, «abbiamo subito un attacco Ransomware e gli stronzetti che sono riusciti ad entrare hanno stabilito un riscatto di centomila dollari.» Appena udii la parola Ransomware, scattai verso la postazione dove era comodamente seduta Loren e staccai i fili del computer dal desktop e la spina dalla presa da muro. 

«Cosa fai?!» Urlarono tutti all'unisono, tentando di recuperare tutte le spine staccate e riattaccarle. Non glielo permisi. 

«Ascoltatemi! In questi casi non possiamo fare nulla,» mi fissarono sconcertati, quasi come se avessi appena tolto loro la paga di quel mese. «L'unica cosa che possiamo fare per contenere l'attacco è disconnettere tutte le macchine che hanno subito questa perdita e chiamare assistenza,» le loro espressioni sembrarono affievolirsi e ritornare normali. 

«Perciò dovremmo...» Prese parola Loren esitante.

«Staccare tutte le prese del piano e chiamare assistenza. Loren, per favore vai con il signor Peterson e la signora Morris e provvedete all'ala A,» la rossa non perse tempo e, assieme ai due quarantenni, corse fuori dalla stanza avviandosi verso l'ala A. 

I miei occhi incontrarono quelli stanchi del biondo.
«Eskild, tu cerca qualcuno che possa aiutarci e fammi sapere quando riesci a trovarlo,» fece un cenno di sì con la testa e, tirando fuori dalla tasca della tuta il suo cellulare, si avviò alla finestra tentando di contattare un centro di assistenza. 

«Signor Mitchell, io mi occuperò dell'ala B,» lo informai girandomi su me stessa per poter uscire, ma venni bloccata dalla sua voce rauca. 
«Vengo con te,» aveva detto in tutta determinazione. Fui tentata di accettare la sua richiesta, ma vedendo i suoi occhi scavati dal sonno e i capelli, solitamente perfettamente laccati, in uno stato di confusione che avrebbe potuto fare da nido ad un canarino, pensai a quanto sarebbe potuto essere stato stressante per lui doversi occupare anche di staccare centinaia di spine di decine e decine di computer. 
«Me ne occuperò io. Mi è già successo di imbattermi in questo tipo di situazione e penso di potermela cavare. Se vuole aiutarmi, signor Mitchell, si riposi per almeno trenta minuti. Vedo il lavoro che sta facendo, e questo è il minimo che posso fare per lei.» Tirai fuori dalla borsetta il mio portafogli e lo aprii, prendendo una banconota da un dollaro. «Ora lei farà una cosa: andrà a prendere un caffè bello caldo e rigenerante e tra trenta minuti ci ritroveremo in questa stanza per discutere sul da farsi. Cosa ne dice?» 

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