Capitolo 8. Egoisti

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Raggiunsi Eskild al Rush Caffè il più in fretta che potei. Il lavoro da fare era molto, e ci avremmo messo tutto il pomeriggio se non mi fossi data una mossa. Arrivai davanti al minibar e trovai il mio compagno seduto ad un tavolino appartato e lo raggiunsi. Mi salutò vivacemente e cominciammo subito a lavorare su quella pila di fogli immensa.

«Alla fine cos'hai detto a tuo padre?» Chiese lui tutto d'un tratto. Dopo il pranzo del lunedì passato ci scambiammo i numeri di cellulare, e da quel giorno finimmo per parlare molto più spesso. Passammo all'argomento conflitti e finii per raccontargli di Elia e di come mio padre odiasse a morte suo padre. «Beh non c'era molto da dire, gli ho riferito l'accaduto e naturalmente non l'ha presa tanto bene, ma fin quando abbiamo avuto la custodia ha detto che per ora si accontenta,» presi un sorso della mia cioccolata calda e continuai a scrivere fin quando questa non cadde sui fogli. Mi alzai di scatto sventolandole con una mano, ed il biondo mi seguì prendendo dei fazzolettini per cercare di rimediare almeno un po' al danno, ma non servì a molto.

«Cazzo! Si stanno sbiadendo le lettere!» Il biondo andò nel panico e si mise ad emettere urletti pari ad un cane che guaiva e la poca gente attorno a noi ci lanciò delle occhiatacce: alcuni erano divertiti, altri infastiditi dal nostro comportamento. Tuttavia non potemmo farci niente, «Chiamate un'ambulanza!» Urlò tragicamente Eskild quasi con le lacrime agli occhi, «Eskild! Sono solo fogli!» Lo presi per le spalle scuotendolo, tentando di farlo ritornare in sè ed appena si calmò prese un bel respiro, «ok, sono calmo, va tutto bene.» Il suo occhio ebbe un tic, «no che non va tutto bene, i miei bambini! I miei bambini non respirano più!» Stanca delle sue lamentele gli diedi uno schiaffo. «Adesso calmati! Sono solo un po' di fogli, finiamo di compilare quelli intatti e poi troverò un modo per rimediare al mio danno,» dissi io provando a farlo ritornare in sè. Se c'è una cosa che avevo imparato su di lui in quel breve periodo di conoscenza, era che quando perdeva il senso della ragione aveva bisogno di rassicurazioni.

«Lasciamoli asciugare, appena torno a casa li ristampo e li ricopio quindi non devi preoccuparti di nulla,» mi parve sollevato così lo presi per il braccio e lo accompagnai ad un altro tavolo. Provò a dirmi che metà del lavoro perso lo avrebbe fatto lui, ma non glielo permisi perché non era giusto far pagare lui per i miei sbagli. Terminammo il tutto verso le sei di sera e dopo che i fogli si asciugarono completamente li misi in borsa. «Allora io vado e stai tranquillo. Domani i documenti saranno tutti ultimati e non odereranno di cioccolata,» mi sorrise riconoscente e ci dividemmo ognuno per la sua strada.

Camminai, camminai, camminai e sbucai nella stradina che mi avrebbe condotta verso casa mia dove scoprii che un bubble tea aveva preso il posto del negozio di antiquariato dove Ellen usava andare quando passava da queste parti e, con le mani piene di buste colorate e decorate da fiocchi e lustrini, veniva a farci visita per sperimentare una nuova ricetta del suo repertorio. Sarebbe stato un problema dirglielo vista la sua passione per cappelli vintage e dischi in vinile firmati da celebrità che solo lei conosceva e andava matta. Colsi al volo l'occasione e digitai il nome di Eskild sulla tastiera del telefono per riferirgli di sbrigarsi a tornare, «tu vieni e basta, è estremamente urgente!» Emise un sospiro di esasperazione e chiuse la chiamata con un «arrivo».

Non ci mise molto vista la rapidità con la quale stava correndo, «e...taglia il traguardo!» Si fermò poggiando i palmi sulle ginocchia senza fiato rimasto, «allora? Cosa succede? A quanto pare sei ancora viva quindi posso ritornarmene a casa, a domani,» lo tirai per una manica e lo trascinai nel negozio dalla locandina piena di lucine. «Fammi capire, mi hai chiamato fin qui perché volevi provare il bubble tea?» Tirai su con la cannuccia la mia bevanda al cioccolato e feci spallucce come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Decidemmo di farci una passeggiata per smaltire la quantità esagerata di cioccolato che avevamo consumato in quella giornata e ci ritrovammo in un parcheggio quasi isolato, sedendoci su un marciapiede con il bicchiere in plastica quasi vuoto.

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