Capitolo 18. Calore

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Verso la sera, le luci si erano spente, e la reggia vittoriana, all'inizio della serata, aveva assunto un'atmosfera romantica per poi tramutarsi in una vera e propria sagra di paese.

Era tutto merito di Ellen se la festa aveva preso una piega così gioiosa e mi fece dimenticare per un po' quel senso di scomodità che mi afflisse dalla "conversazione tranquilla" con Elia. Nonostante il suo entusiasmo che avrebbe potuto sollevare chiunque, io non riuscivo a smettere di pensare a quelle parole.

Non ti conosco

Odiavo sempre di più il fatto che questa parte di me stesse iniziando a provare a qualcosa di cui ero troppo spaventata a definire il nome. Ma soprattutto odiavo lui. Odiavo il suo menefreghismo, il suo modo di fingere tutto andasse bene, tutto. Allo stesso modo volevo tornare a quando mi aveva abbracciata per non so quanto tempo, e ascoltato i miei pianti isterici senza lamentarsi mai di quell'avvenimento.
Ero così in pensiero, che non riuscii ad unirmi a Lea per ballare come due matte sulla pista da ballo, nella quale solitamente rubavamo la scena ai bambini piccoli che cercavano di non essere calpestati dalla nostra altezza. Ricordo ancora quella volta in cui Eleonor aveva trovato questo lavoro da animatrici per un giorno e ovviamente ero stata costretta a partecipare alle sue attività illegali. Illegali perché aveva falsificato le licenze da animatrici e le aveva consegnate all'operatore che, stupidamente, aveva creduto alla loro autenticità. E così finimmo a scatenarci in mezzo alla grande stanza piena di palloncini e stelle filanti che penzolavano dal soffito, e il povero Mattew- il festeggiato- dovette assistere ai suoi personaggi preferiti della Marvel spaventare gli invitati e utilizzare i dolcetti troppo appiccicosi preparati dalle mamme come freccette nel tiro a segno . Queste ultime si infuriarono profondamente e noi, riscoprendo il fatto che i nomi scritti sulla licenza erano del tutto falsi, scappammo alla velocità della luce, portando con noi anche qualche pasticcino uscito bene.

«Allora Single trio, abbiamo intenzione di muovere quel bel culo, oppure vogliamo rimanere a deprimerci al bancone?» Eleonor era colei che aveva affermato che il nomignolo Single trio fosse la cosa più imbarazzante che avesse mai sentito, eppure l'alcool sembrava dimostrare il contrario. Con una bottiglia di vino in mano e con una bambina di cinque anni tutta addobbata dalla testa ai piedi in braccio, si era seduta accanto a me e ad Eskild. «Avrà bevuto?» Chiese il biondo ironico. «Naah.» Rispose lei lasciando che prendessi la bambina per evitare che la facesse cadere, e a lasciarla finalmente libera di ritornare dai suoi coetanei. «Eskild vieni, ti faccio conoscere un'amica. È davvero il tuo tipo, biondino,» tirò il povero ragazzo per un braccio e dai suoi occhi sembrava gridare pietà all'anima sua. Sapevo che il mio povero collega non voleva relazioni, o meglio non era ancora pronto ad averne vista la delusione subita, ma come sempre andava contro la sua volontà e si perdeva a sbavare alle ragazze che più lo attraevano. Come ho già detto, non voleva una relazione seria, ma allo stesso tempo desiderava con tutto se stesso di poterne avere una, tutto a causa di una persona irrispettosa che forse non provava lo stesso. Gli aveva fatto perdere la sua capacità di fidarsi, e ci sarebbe voluto del tempo per coprire le ferite. Sapevo bene cosa si provasse a dover affrontare tale dolore, e mi dispiaceva che Eskild avrebbe dovuto condividere lo stesso.

Ero rimasta praticamente incollata alla mia sedia sin dalla cena ed il mio sedere iniziava a bruciare. Avevo bisogno di alzarmi, non potevo restare lì a fare discorsi filosofici e ricordare esperienze come un'anziana che durante la giornata, sapeva solo parlare del suo passato. A malincuore mi alzai dalla mia cara compagna, e mi diressi verso il minibar al centro della grande stanza. Mi accomodai su uno sgabello e alla faccia del muoversi, direte. Beh, il fatto che io avessi cambiato sedia però era già un buon inizio. Il cattivo umore era un brutto colpo per me, perché mi faceva passare la voglia di fare qualunque cosa, anche la più minuscola ed insignificante. Forse mi stavo evolvendo come un Pokemon o roba simile.

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