Capitolo 16. Patetica

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Rimasi in quella piccola stanza per tutta la mattinata, fin quando non decisi fosse arrivato il momento di smettere di comportarmi da patetica. Patetica.

Era una parola che si addiceva particolarmente ad una persona spaventata di fare una mossa sbagliata.
Patetica perché non era evitandoli i problemi che si affrontavano. Non era ciò che le aveva insegnato la sua adorata madre fino ad ora. A quest'ora starà pensando che stia vivendo tranquillamente la sua vita senza essere afflitta da tutte quelle paranoie, e naturalmente annaffiando il basilico sul suo lavandino. La verità era che quella piccola pianta si era accasciata ai piedi della morte, e non ricevendo le giuste attenzioni, aveva perso ogni colore e forma che la contraddistingueva. Mi ricordava qualcuno.

Presi la mia borsa, i miei vestiti ed uscii il più in fretta possibile da quella stanza. Rimanere lì mi ricordava la nostra discussione, rimasta inconclusa. Scesi le scale. Non avevo voglia di aspettare che l'ascensore si liberasse, e soprattutto avevo bisogno di gestire il mio dopo-sbornia. Aveva detto che io avevo fatto qualcosa d'inaspettato, ma a giudicare dalla sua reazione, non era propriamente nulla di buono. Per quanto mi impegnassi a spremere le meningi, non riuscii comunque a ricordare nulla di spiacevole, anzi, erano tutti dei piacevoli flashback.

E' proprio perché le hai fatto credere di aver sbagliato tutto che lei non riesce ad affrontarti.

Scossi la testa. Non era il momento.

La reception era vuota, ma dovevo assicurarmi che la stanza fosse stata pagata. Era un hotel molto piccolo, ed il solo pensiero di andarmene senza aver pagato l'alloggio mi fece sentire in colpa con me stessa. Suonai insistentemente il campanello sul bancone e dopo un po' arrivò in tutta corsa una ragazza snella, ma dal seno prosperoso. Aveva una mascherina sul viso e si scusò dicendo che stava pulendo i bagni.
«Ecco, sono stata qui per una notte. Con un ragazzo,» alzò lo sguardo. «Alto più o meno così, capelli neri, maglione nero,» mimai con la mano ritta la sua statura.

«Sa il suo nome?» Domandò curiosa. Giusto. Avrei fatto prima a dire il suo nome. Probabilmente pensava non sapessi nemmeno come si chiamasse, e come biasimarla? La mia descrizione era fraintendibilissima, chiunque avrebbe potuto intendere altro.
«Elia Greens,» pronunciare semplicemente il suo nome, mi fece provare una strana sensazione.
«Ah, eccolo. Sì, l'alloggio è stato pagato,» disse lei, piuttosto sorpresa dalla mia risposta dettagliata.
Potei mettermi il cuore in pace, anche se il fatto che avesse pagato per me, mi fece arrabbiare parecchio.

Deve finire qui, dobbiamo finirla, e poi mi pagava la camera. E poi finire cosa? Non c'era assolutamente niente tra di noi. Sospirai sconfitta e salutai la receptionist, scusandomi per averle quasi vomitato addosso la sera prima. Non ne fece un dramma, accettando tranquillamente le scuse e ritornando a lavoro. Si vedeva che era una donna che non aveva tempo da perdere, che nelle discussioni- se c'era qualcosa da dire- andava dritta al punto.

Mi diressi verso l'uscita e con mio profondo dispiacere, dovetti andare incontro all'altro mostro, che perseguitava l'altra parte del mio cervello, anche se piccola.
«Diana,» disse Luke sorpreso quanto me nel trovarmelo davanti. Non potevo crederci, persino lì?
«Mi stai per caso seguendo?» Tentò di dire qualcosa ma non lo lasciai nemmeno iniziare.
«No perché è davvero inquietante e disturbante»

«Ti sto seguendo?» I suoi occhi si rilassarono ed un suo sopracciglio si elevò.
«Ah non lo so, dimmelo tu. Ovunque io vada in questo quartiere sei sempre lì, cazzo»
Si tirò indietro i capelli ricci e biondi, e riprese parola. «Non ti sto seguendo»
«E allora cosa ci fai qui. Argomenta, ti manca la parola, forse?» Trattenne un ghigno. Cosa c'era da ridere?
«La mia ragazza lavora qui»

Spalancai inmpercettibilmente gli occhi. La sua...ragazza?
«Oh,» emisi un verso debole, non sapendo cosa dire.
«Mi dispiace per quello.» Indicai il suo occhio gonfio dalla sera prima. Mi dispiaceva sul serio. Non riuscivo proprio ad accettare la vendetta, principalmente perché è stato una delle persone che ho amato di più.

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