Capitolo 7. Tale padre tale figlio

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«Sbrigati Diana o faremo tardi!» Le Pleasant nere di Eleonor, legate alla caviglia da un listino, picchiettavano sul parquet impazienti producendo un rumore ripetitivo ed in certi versi fastidioso. Presi il primo profumo che avevo davanti, spruzzandone una generosa quantità a causa della fretta, e poi la mia pochette avviandomi verso l'uscita. «Forza non abbiamo tempo!» Eleonor mi afferrò la mano conducendomi verso l'ascensore, piggiando con la sua mano tremante più e più volte sul tasto indicante il piano terra. La presi per le spalle per farmi notare, «Lea devi calmarti, sono solo le dodici, il pranzo è a l'una,» con un braccio sospeso a mezz'aria, controllò il suo orologio da polso e con sguardo leggermente perplesso tirò un sospiro di liberazione.
«Scusami, sono solo un po' agitata,» spostò una mano sul viso in segno di stanchezza e preoccupazione, «solo un po'? Penso che questo ascensore abbia bisogno di un elettricista per quante volte hai premuto quel pulsante, adesso non funziona più,» diedi dimostrazione del fatto che fosse bloccato, sollevandola un po' di morale. «Abbiamo tutto il tempo del mondo, perciò rilassati e possibilmente non rompere niente,» mi regalò un bellissimo sorriso, mormorando un "grazie". Ricambiai il sorriso ed appena la vidi più calma, cominciammo ad incamminarci verso la sua Fiat nera comprata da poco. Impiegammo all' incirca venti minuti ad arrivare, e ne approfittammo anche per prendere un frappuccino e un bel vassoio di pastarelle per il pranzo. Munite di occhiali da sole e canzoni di Celine Dion, arrivammo spensierate a destinazione. Il pranzo si sarebbe svolto a casa del compagno della mamma di Eleonor, e questo suscitò ancora più tensione in lei, così pensai di darle tutto il mio sostegno:

«Cosa siamo noi?» Domandai in tono alto ed esaltato, sembrando il capo di un esercito militare, «...Delle squilibrate?» Esitò prima di dare la sua risposta definitiva.

«Risposta sbagliata! Ricorda cosa disse Abraham Lincoln,» il quiz televisivo che solitamente io ed Eleonor seguivamo il venerdì sera, puntalmente alle otto in punto, raffiorò nella mia mente. Il presentatore aveva domandato al concorrente, un certo Dylan, chi avesse detto questa frase:

«Chiunque voi siate, siate persone per bene», e da quel giorno ci era sempre rimasta in mente. La ripetemmo all'unisono. «Non importa chi sia lui, se è davvero un capo d'azienda, non è detto che sia per forza malvagio, ma se capitasse una situazione del genere ricordati queste parole,» annuì con la testa riprendendosi. «Quindi ti rifaccio la domanda, cosa siamo noi!?» Urlai stavolta entusiasta, «delle squilibrate per bene!» Rispose lei mettendosi a ridere, «ben detto! Tienilo a mente.» Uscimmo dalla macchina varcando l'enorme cancello in ferro e ci ritrovammo davanti ad uno scenario meraviglioso: un immenso prato verde dava colore all'ambiente grigio circostante e cespugli a forma di cupido sparsi qua e là davano un tocco di eleganza semplice. Suonai il campanello aspettando che qualcuno ci aprisse , ma non arrivò risposta. Bussai sulla porta in legno bianco, appoggiandoci l'orecchio per provare a capire se quella villa fosse abitata, cosa molto probabile data l'estrema cura impiegata nel giardino. «Sicura che sia l'indirizzo giusto?» Chiesi io sfiorando il legno liscio. «Beh sì,» verificò un'ultima volta, rileggendo il numero civico che nonostante tutto coincideva.

Lo spalancarsi della porta mi fece cadere in avanti. Di lì a poco pensai che la mia faccia avrebbe fatto una fusione col suolo, ma con mia sorpresa non caddi perché due braccia forti mi presero al volo; a causa di questo gesto il mio viso andò a posizionarsi, o meglio a schiantarsi, sul petto dello sconosciuto. Quell'odore...lo avevo già sentito da qualche parte ma la mia testa non ebbe nemmeno il tempo di riordinare i pensieri a causa della situazione scomoda in cui ci trovavamo.

Subito mi scansai, tenendo lo sguardo basso ed aspettando che qualcuno intervenisse al posto mio. Non non ero nemmeno arrivata, ed ero riuscita a far fare una pessima figura ad Eleonor. Maledizione a me e a tutte le porte esistenti.

«Collega?» Di scatto mi rivolsi allo sconosciuto e non credetti ai miei occhi. Greens Junior mi stava fissando sornione godendosi la mia reazione che consisteva prevalentemente in una me sconvolta che provava ad escogitare un piano di fuga ideato al momento. No, non poteva essere. «P-penso che abbiamo sbagliato indirizzo, ops! Forza Eleonor andiamo!», feci retro front ma venni bloccata dall'uomo dietro di me che prontamente mi afferrò la mano. «Tu sei Eleonor giusto?» Si rivolse alla mia compagna che intanto era rimasta ferma, probabilmente anche lei aveva capito chi fosse il ragazzo davanti a noi, perciò fece solo cenno di sì senza spiccicare parola. «Entrate,» mantenne la presa sul mio polso invitandoci ad entrare.

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