Capitolo 6. Buongiorno collega!

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Lunedì mattina. I giorni di "riposo" erano finiti e, se solo ne avessi avuto il tempo materiale, non mi sarebbe dispiaciuto scappare in un altro continente. Avrei fatto di tutto pur di stargli lontana. Soltanto perché suo padre era di un posto più in alto nella classifica dell'azienda del mio, non voleva dire che lo avrei assecondato e gli sarei andata dietro come un cagnolino al guinzaglio. Glielo avrei fatto vedere, di che pasta ero fatta, che non gli conveniva mettermi alla prova e provare ad imporre il suo controllo su di me. Ma questo era solo un mio soliloquio. Una macchina nera parcheggiò davanti all'edificio nel quale avrei dovuto trascorrere la mia giornata lavorando, e quando vidi il suo guidatore mostrarsi, tutte le mie riflessioni precedenti andarono a farsi fottere. In un completo interamente nero, la sua silhouette venne messa in risalto, facendolo sembrare ancora più attraente. Il nero era proprio il suo colore.

«Buongiorno collega!» Si tolse gli occhiali da sole, per poi incamminarsi verso di me, «ti vedo in gran forma oggi.»

Sospirai frustrata evitando la sua affermazione e dirigendomi verso la porta d'ingresso. Era una di quelle mattine in cui, qualunque cosa mi venisse detta, mi veniva voglia di  ritornarmene a casa e rimettermi a dormire, in questo modo avrei avuto un po' di pace. E poi, i casi della vita, proprio nel momento in cui ero arrivata doveva presentarsi anche lui? L'universo ce l'aveva con me. «Non parli, eh?» Mi si piazzò davanti bloccando l'entrata, sovrastandomi con la sua figura. Mi spostai, tentando di sorpassarlo, ma ogni mio tentativo era vano, perché il suo intento era proprio quello di ostacolarmi.

«Si sposti, per favore,» la mia pazienza aveva un limite, e lui la stava consumando come uno snack pomeridiano. «Altrimenti cosa?» Gli tirai la cravatta facendolo abbassare con un gesto veloce, così che i nostri visi fossero alla stessa altezza. «Altrimenti i suoi poveri piedi verranno calpestati da un tacco 10, la scelta sta a lei,» si fece vicino sfiorando la mia mano, e la fece scivolare sulla cravatta facendomi mollare gradualmente la presa. Non lasciò la mia mano, anzi, la tenne ben stretta alla sua, «Sarei curioso di vedere, potrebbe essere eccitante.» Un tossicchiare mi fece girare di scatto, e notai che una giovane donna dai capelli rossi stava aspettando che noi ci levassimo dai piedi.

«M-mi scusi! Non volevamo bloccare il passaggio,» non riuscii a guardarla in faccia a causa dell'imbarazzo del momento. Al contrario Elia aveva mantenuto la sua espressione compiaciuta. «Non fa nulla, allora...vi lascio alle vostre cose,» mi spostai, trascinando con me Greens, che non sembrava per nulla propenso a farlo. La ragazza ridacchiò per poi avviarsi all'interno. «Non è come sembra!» Mi ignorò sghignazzando nuovamente senza fermarsi. Sospirai spazientita e cominciai ad avviarmi nella costruzione anche io, ma sentii che nella mia scarpa c'era qualcosa che faceva pressione, causandomi un leggero fastidio, forse un sassolino? Mi abbassai per sfilarla e Greens fischiò in segno di apprezzamento, accostandosi a me subito dopo. 

«Si rende conto che non siamo per strada no?» Risistemata la scarpa, fissai il mio sguardo su Greens che nel frattempo mi aveva raggiunta. «E lei non credo si renda conto del fatto che ha delle qualità fisiche molto stimolanti,» i suoi occhi si spostarono sulle mie curve, e poi sulla mia camicetta stretta che metteva in risalto le mie forme. Ma che gli prendeva? «Non mi importa di cosa pensa del mio corpo. Sono qui per lavorare, non per farle uno spogliarello privato,» girai i tacchi e presi l'ascensore il più in fretta possibile, cliccando ripetutamente sul bottoncino luminoso. Quando finalmente le porte si aprirono, mi ci fiondai all'interno e tirai un sospiro di sollievo. Aria.

Una mano si insinuò tra le due ante e le fece riaprire. «Non poteva prendere il prossimo?» strinsi la borsa al petto, come se fosse un'armatura pronta a proteggermi. «E perché? Andiamo nella stessa direzione, tanto vale che saliamo insieme,» decisi di non rispondere, sperando con tutta me stessa che quelle maledette porte si aprissero il prima possibile. 

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