ᑕᗩᑭITOᒪO 51 |ᗩᗪᗪIO OᖇIGIᑎI|

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«Me lo hai promesso madrina Emilia.» Dice Nelu davanti al cancello della mia infanzia. L'abitazione è rimasta intatta stranamente, ma l'erba è alta e arriva a toccarmi i pantaloncini facendomi il solletico sulle sottili gambe. L'odore di patate andate a male mi perfora le narici e noto in un angolo del giardino un mucchio delle medesime in decomposizione. Evidentemente qualcuno ha fatto il raccolto, ma non si è disturbato di portarlo nella cantina sotterranea. Lei non gli risponde mentre ci spinge all'interno con la bambina in braccio. Non ci considera neanche mentre Daria spunta fuori da casa, dopo l'avviso del cane legato davanti al cancello.

«Ma guarda un po'. Sapevo che ti sarebbe mancata tua madre e saresti tornato da me. Sono tua madre dopotutto.» Daria non aveva idea di quanto era in torto in quel momento. Nelu non le si avvicina e la fulmina da lontano. Lei si arrende e abbassa le braccia che prima esigevano l'abbraccio del figlio.

La seguiamo in silenzio dentro la casa che mi ha cullata per anni e prendo la bambina per farle fare il giro. La zia dice che dobbiamo uscire in giardino però, così gli adulti rimangono a parlare. Sapevo che il loro modo di parlare non comprendeva per forza parole, bastava avere una bottiglia di vino scadente davanti.

Io e Nelu insieme ad Adriana ci spostiamo nel giardino dietro casa, dove una volta c'erano galline, oche e persino un maialino. Invece ora è tutto deserto. C'è solo l'odore di un passato poco lontano.

«Sembrava più luminoso questo posto quando ero piccolo.» Constata Nelu davanti a me con Adriana fra le braccia che ora non dorme più, ma tiene la testa poggiata alla sua spalla e indica cose che noi non vediamo con la manina.

«Forse perché eravamo bambini e vedevamo il mondo in diverse tonalità, mentre ora siamo come i cani, i colori ci sono, ma non hanno la stessa intensità e la stessa chiarezza di prima.» Do voce ai miei pensieri mentre facciamo il giro del giardino e realizziamo che non c'è piantato niente nel terreno essiccato, non è nemmeno stato preparato.

Con rammarico mi prendo due minuti per dire addio ad una casa che mi ha dato tanto, mi ha insegnato molto e allo stesso tempo mi ha privata dell'amore. L'amore che i miei genitori non si sono preoccupati di darmi con parole chiare sull'esistenza e sull'essere umano. Forse persino loro non ne erano consapevoli allora, così giovani e messi davanti alla cruda e dura realtà chiamata vita.

Mi immergo nei ricordi di un passato all'apparenza molto vicino eppure così lontano da essere considerato dimenticato.

Raggiungo lo sgabuzzino di mio padre all'angolo della casa invernale, quella piccolina che finora avevo cancellato dalle mie memorie. È più alta rispetto a quella estiva, dove passavamo la maggior parte del tempo. Ha la cantina sottoterra e la soffitta polverosa dove sono entrata solo una volta per poi fare incubi per settimane. Lì ho trovato il braccio finto di mio nonno, quello vero l'aveva perso alla fabbrica da falegname. Fotografie di persone che non conosco giacevano dentro piccoli contenitori di alluminio impolverate e dimenticate.

Percorro la via che porta al grande cancello, da dove una volta entravano carri stracolmi di barbabietola da zucchero e patate dolci. All'angolo del cancello papà si ostinava ad inventare la marinatura perfetta per diventare "il re del grill", come gli sarebbe piaciuto essere definito. Qui, in questo cortile, sarei rimasta da un giorno all'altro con mio padre senza la minima consapevolezza che mia madre fosse andata lontano in cerca di una vita migliore. Avrei constatato di aver paura per la separazione dei miei genitori; mi ero ripromessa che non sarei stata io la causa della loro rottura. Avrei fatto la brava figlia fedele e premurosa e avrei mantenuto i segreti che mi scorrevano davanti come se non contasse neanche che io vedessi, comprendessi o avessi un'opinione.

Su questi sette gradini la zia Daria mi avrebbe fatto i buchi alle orecchie con i suoi orecchini d'oro per poi regalarmeli. Mi avrebbe massaggiato i lobi con il sale per anestetizzare e disinfettare. Poi con un colpo deciso avrebbe fatto di me una ragazza a tutti gli effetti. Malinconica di un'infanzia ingenua, mi dirigo alla fontana che tanto mi aveva dissetata in passato. La vista del pozzo mi riporta al primo settembre dei miei sei anni appena compiuti.

99 TᕼIᑎGᔕ I - ᖇITOᖇᑎO ᗩᒪᒪE OᖇIGIᑎIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora