ᑕᗩᑭITOᒪO 32 |ᔕTEᖴᗩᑎ - ᔕEᑎᔕᗩᘔIOᑎI ᑎᑌOᐯE, ᗰᗩ ᑎOᑎ TᖇOᑭᑭO.|

34 17 3
                                    

Il mattino del giorno successivo si presenta chiassoso alle mie orecchie. Il rumore di un aspirapolvere disturba il mio sonno, così decido di alzarmi, non che abbia dormito molto dopotutto.

«Buongiorno piccolo mio!» La dolce voce di Bianka riempie la stanza. Finalmente ha spento quell'aggeggio chiassoso. «Non potevi aspettare, prima di metterti a pulire?» Attacco come una iena. «Tanti auguri amore di mamma! Ti voglio bene.» Bianka mi circonda in un abbraccio che però rifiuto rivoltante. Non sono abituato.

«Come hai fatto a ricomporre la lettera?» Chiedo poco dopo, quando mi siedo al piccolo tavolino della fredda cucina. Le mura sono spoglie così come il pavimento e mi accorgo di sentire la mancanza di quei tappeti e quadri con cui si ostinava Khat a riempire la nostra casa.

La colazione è sempre la solita, panino al formaggio e caffè espresso. Una mela che non mangerò mi fissa da dietro la tazzina di caffè che svuoto tutto d'un fiato. Mastico avido, asciugando l'alcol di ieri sera nello stomaco e aspetto che mia madre si decida a parlare.

«Non volevo dirtelo, ma se insisti...» Dice seduta davanti a me. Siamo soli in casa e questo mi consola. «Insisto!» Farfuglio masticando. «Vedi, una volta ho avuto un problema che Khat mi aveva aiutata a risolvere. Ti ricordi di mia sorella che abita in Canada?» Comincia a raccontare.

«Una volta mi aveva mandato una lettera, per ringraziarmi dei soldi per la divisione dei beni di tua nonna. Era una bella lettera, ma alla fine s'intravedeva una calcatura strana e allora Khat aveva preso una matita e l' aveva passata su tutto lo spazio bianco. Poco dopo è apparsa una frase che sulla lettera prima non c'era. Chiedeva più soldi essendo la sorella con più bambini, era la più bisognosa. Così ho capito che l'unica sorella che avevo non mi voleva il bene che speravo.» Mamma parla, ma io immagino Khat a casa nostra in Italia che, armata di matita, si concentra su ciò che fa e fiera poi mostra il risultato a mia madre. Avevano un bel rapporto loro, mica come si aspettavano tutti.

«Quindi ieri, quando ho trovato la lettera, mi sono sentita in dovere di restituire il favore a Khat.» Finisce di dire mentre lava il piatto che prima conteneva il mio panino. Le chiedo un altro caffè e lei me lo prepara subito.

Per pranzo decidiamo di andare a fare un giro sulla spiaggia e porto tutti ad un ristorante con vista mare. Ordiniamo tantissimi piatti a base di pesce e mangiamo chiacchierando delle solite cose. Il tempo, l'economia e la politica.

Quando abbiamo finito, Omar mi invita a fare un giro sulla spiaggia per esaudire il mio desiderio di compleanno, che ieri ho espresso involontariamente. Così accompagniamo i nostri genitori al parcheggio e dopo averli salutati rimaniamo soli.

La spiaggia è poco lontana, ma ricoperta di qualche strato di neve gelida. Ci sediamo su uno sdraio in prima fila e rimaniamo in silenzio. L'acqua arriva quasi a toccare i piedi bianchi di plastica, ma non mi sfiora le scarpe che avrei tanto desiderato togliere. «Cosa c'era scritto nella lettera?» Azzarda la voce di Omar che ora si trova davanti a me, sul lettino opposto. «Niente che possa decifrare. Sai com'era fatta lei.» Rispondo con lo sguardo rivolto verso il mare.

Le onde mi sfidano danzanti, invitandomi come una sirena inviterebbe un pescatore, ma non abbocco. Erano due anni che non vedevo il mare. «Sì Stefan, lo so com'era fatta!» Afferma divertito il mio fratellino, che aveva imparato molto di più da Khat che da me. «Non volevi bagnare i piedi nel mare?» Chiede Omar mentre si sta già togliendo gli scarponi pesanti. «Ma sarà gelida l'acqua!» Dico seccato.

«Ma dai... ho un regalo per te se prima fai questa cosa con me!» Mi ricatta quel viso famigliare. Omar era davvero il più bello della famiglia, come sosteneva spesso Khat. Lei non parlava di bellezza esteriore, come adesso realizzo anche io. «E va bene piantagrane, ma solo perché voglio avere il mio regalo.» Ridiamo in contemporanea mentre ci affrettiamo a raggiungere l'inizio del mare e la fine della spiaggia.

Due consistenze così diverse, ma allo stesso tempo bisognose l'una dell'altra. Un po' come la storia della mia vita, penso mentre aspetto la prossima onda. Questa m'inzuppa i piedi e all'inizio non sento il freddo che mi sarei aspettato. La voce che mi raggiunge alle spalle ride ancora divertita e strilla quando l'acqua tocca anche lui. «È gelida!» Afferma Omar. «Non così tanto in realtà.» Dico. «Andiamo!» M'incoraggia spingendomi un po' di lato. «Dove?» Chiedo curioso.

«A far rilassare la tua mente! Ho la medicina che fa al caso tuo.» Dal suo viso enigmatico capisco di cosa si tratta e mi affretto a seguire mio fratello, confondendomi per un attimo su chi dei due fosse il vero adulto tra i due.

La sigaretta rullata alla perfezione è sottile tra le mie dita e quando la porto alla bocca, Omar si affretta ad accendermela. Il primo tiro è il più buono, come in ogni cosa. Dopo tre tiri la passo a lui che a sua volta si rilassa aspirando quel composto che contiene molto più della nicotina. Siamo sul tetto del vecchio appartamento di mia madre, poco lontano dalla casa di mio padre. Lei abitava lì prima di sposarlo.

L'appartamento è stato venduto anni fa e il ricavato è stato diviso in due parti uguali tra lei e Lazena, sua sorella minore. «Come fai ad avere la chiave del blocco?» Domando interessato, ammorbiditomi grazie alla medicina. La mia mente finalmente stava rallentando e si lasciava annebbiare dal THC. «Papà ha tenuto una chiave, per sicurezza! Così gliel'ho rubata, visto che non viene mai qui.» «Non potrebbe nemmeno. Se lo beccano andrà a finire male.» Ragiono.

«Ma a chi vuoi che interessi?» Chiede ridendo. «Sai, da piccolo correvo su questi tetti con i miei vicini e saltavamo da un edificio all'altro come fanno le scimmie sugli alberi. Erano altri tempi. Ora però non saprei nemmeno dirti i loro nomi, figuriamoci riconoscerli. Mi sembra che sia passata una vita da quando ho preso quel peschereccio verso l'Italia, insieme a papà ! Tu non eri nemmeno in piano a quei tempi. Valeria aveva solo due anni pensa.» Sento l'angoscia salirmi realizzando che manca poco ad arrivare alla soglia dei quaranta e prendo la sigaretta che mi offre Omar per fare l'ultimo tiro. «Il tiro dello stronzo!» Dico ripetendomi negli anni. «A ognuno ciò che spetta!» Scherza Omar e ridiamo.

Ridiamo talmente tanto che alla fine devo tenermi la pancia per il dolore all'addome. Il pomeriggio passa lento sopra le nostre teste e senza salutare lascia spazio al grigio della fredda e buia notte invernale. Quando non sentiamo più le dita dei piedi, decidiamo di abbandonare la nostra postazione da vigili sul tetto e, alzandoci dal bordo bagnato, ci avviamo verso le scale. L'edificio a tre piani è caldo all'interno e profuma di pietanze. Un languorino mi schiaffeggia lo stomaco come una madre fa con la ciabatta e capisco che l'appetito non arriva dalla fame.

Scendiamo piano dopo piano, lenti e concentrati, quasi fosse una sfida, e finalmente fuori tiro un sospiro di sollievo battendomi il cinque immaginario per aver superato l'appartamento della nonna senza perdermi in ricordi e malinconie. Solo quando siamo di nuovo al caldo davanti alla stufa nel salone di casa dove dormo io, realizzo che sono rimasto qui già troppo e che devo andarmene.

Così dopo due giorni che non lo tocco, prendo il mio cellulare tra le mani e prenoto un altro biglietto in prima classe.

99 TᕼIᑎGᔕ I - ᖇITOᖇᑎO ᗩᒪᒪE OᖇIGIᑎIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora