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"Lucie, come mai così presto?"
"Tanti pensieri per la testa Jon"
"Lo sai che l'alcool, non risolve i problemi vero?"
"Infatti non voglio bere" dico con la testa sul balcone
"Allora perché sei qui?"
"Penso che sia un posto tranquillo dove nessuno ti fa mille domande, ma a quanto pare devo ritornare da dove sono venuta."
"Sono preoccupati per te. Ieri sono passate le tue amiche e un ragazzo. Poveretto è rimasto qui per quasi tutta la serata, si è ubriacato per disperazione, è uscito poco fa con un altro uomo. Non sapevo che il ragazzo lavorasse per FBI"
"Non è il mio ragazzo"
"Potrebbe diventarlo. Perché sei scappata da tutti?" Ho gli occhi pieni di lacrime e quando incontro i suoi occhi iniziano a scendere sul viso.
"Ho scoperto che il mio vero padre è il mio capo di lavoro. Mi odia, mi detto che non vuole vedermi e che sono stata una stupida ad andare da lui, ma io fino alla sera prima neanche lo conoscevo. Non mi ha dato tempo di spiegare che mi ha cacciato via." Mentre parlano Jon si è spostato e adesso è vicino a me con una mano sulla spalla.
"Un padre non odia mai i suoi figli soprattutto sua figlia."
"Non lui, dovevi sentirlo. Mi sono sentita un oggetto da deve essere buttato via"
"Anche io ho detto delle cose cattive a mio figlio una volta. Era tornato tardi da una festa con i suoi amici ed era un po' allegro, ma comunque lucido. Il giorno dopo gli ho detto le peggiori cose che potevo dirgli così ha fatto come te, è scappato per un giorno intero. Proprio in quel giorno, ho capito quanto gli volevo bene e che ho esagerato a fare quella scenata, dopotutto siete giovani, è normale fare queste cose"
"Ma tu sei andato a cercarlo, vero? Lui neanche quello, potevo morire in un incidente stradale, ma non si è nemmeno curato del fatto che sono sparita per un giorno."
"I padri non sono mai molto bravi a dimostrare il loro affetto"
"Io non volevo un caldo benvenuto e si dimenticava tutto quello che è successo, mi bastava anche solo il fatto che mi ha riconosciuto, mi andava bene di nasconderlo, di lasciare il lavoro, trasformi, ma non sentirmi dire che sono una stupidata perché volevo rivedere mio padre!"
Il telefono squilla in altra volta, lo prendo e vedo che un numero sconosciuto.
Premo il pulsante per rispondere alla chiamata.
"Dove sei?" La voce dura e fredda di Hotch, rimango zitta a guardare i secondi che passano.
"Anche se non mi dici dove sei, hai un gps sul telefono, quindi posso sapere dove sei tra cinque minuti" prendo il casco e vado fuori dal locale, metto in moto e parto perdendo delle stradine secondarie per andare nel mio luogo segreto.
Come al solito non c'è nessuno se non delle papere insieme ai suoi piccoli sul lago e sul prato.
Almeno a loro basta la presenza della mamma, io neanche quella.
Ha ragione, devo dimenticare tutto e tornare in Italia da i miei genitori, almeno loro mi capiscono e mi comprendono.
Mi alzo e mi incammino nel bosco, tanto anche se mi perdo, non ho un padre che mi cerca quindi posso andare tranquilla e perdermi.
Si sentono i miei passi sul terreno, le foglie più secche che si rompono, uccellini che cantano e il vento che soffia.
Tutto è calmo e sereno, il sole si fa più forte, ma non riesce a riscaldarmi per i troppi alberi grandi.
Mi rendo conto che sono finita dentro a un parco nazionale, gli alberi non ci sono più, c'è solo un altalena su una collinetta.
Mi siedo su di questa e guardo il sole sorgere.
Chiudo gli occhi e ascolto il vento che soffia, però subito nella mia mente affiorano le sue parole e di conseguenza inizio silenziosamente a piangere.
Non chiedo molto da lui, ma una spiegazione alla sua scelta.
"Voglio solo sapere perché l'ho hai fatto. " dico sussurrando
Guardo sotto di me, i bambini che giocano sulle attrazioni e i loro genitori che con un sorriso li guardano da lontano.
Anche io ho avuto quel sorriso, ma non dal mio vero padre.
Desideravo solo un sorriso che mi dicesse che va tutto bene e che si risolveranno tutti i problemi del mondo.

Verso l'ora di pranzo, il parco si è riempito di più.
La maggior parte sono dei gruppi di amici o parenti che pranzano all'aria aperta.
Poi nel pomeriggio ci sono persone di tutte le età, che si divertono, chi in un modo chi in un altro.
Poi il tramonto pieno di genitori che prendono i braccio i loro figli e li accompagnano a casa con il bellissimo tramonto, oppure, delle coppie innamorate che si godono il momento di pace.

Il sole adesso non c'è più.
Il freddo si fa sentire ed è l'ora di andare a casa, in Italia.
Mi alzo e riprendo la strada da dove sono venuta.
"Fermati!" Mi giro e c'è Hotch che è appena sceso da un furgone nero e seguito da altre due macchine.
Continuo a camminare, più velocemente.
"Ti ho detto di fermati!" La sua voce è leggermente più vicina, sono quasi dentro il bosco.
"Eva!" Mi fermo sul posto e mi giro per guardarlo, sta a un metro e mezzo da me.
Al posto degli occhi ha delle fiamme di fuoco e il suo sguardo però è freddo da farti tremare.
Lui non può chiamarmi in quel modo, dopo tutto quello che mi ha detto. Inizio a correre dentro il bosco.
Sento la sua voce che mi chiama, ma l'unica cosa che è penso che vedo la mia moto.
Mentre corro metto il caso, salgo e metto in moto e parto di corsa. Prendo altre piccole stradine dove sono sicura che la polizia non c'è e esco sulla super strada, dopo la pattuglia di polizia, da lì in poi mancano due minuti all'aeroporto. Come sempre è pieno di gente anche se non è l'ora di punta, vedo per fortuna un volo diretto per l'Italia tra due minuti.
Prendo i biglietti di corsa e per un pelo riesco a salire, poco dopo sono già sopra alle nuvole.

"Signori è il vostro capitano che vi parla, siamo atterrati sull'aeroporto di Roma-Fiumicino. Grazie di aver scelto la nostra compagnia di volo" La voce metallica mi sveglia dopo una lingua dormita di non so quante ore.
Scendo e prendo lo zaino, preso da dentro il sedile della moto prima di perdere il volo.

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