CAPITOLO I

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Le fiamme dell'inferno

-Invasori!-. Tutto iniziò con un urlo, e tutto finì con tante urla. 

Il mio villaggio stava andando a fuoco, o meglio, ciò che ne restava. Avevano distrutto ogni casa, ucciso ogni persona.

Ma non me.

Una tribù della Britannia del nord aveva attaccato il mio villaggio, forse per rubarne il raccolto. Mia madre mi aveva ordinato di nascondermi nella stanza sotterranea che aveva costruito mio padre in caso fossimo state in pericolo. Molto previdente. Lei, invece, doveva andare a prendere mio fratello, il quale era andato a giocare nei campi vicini al paese.

Ero rimasta chiusa lì per tutto il tempo, sentendo le urla disperate e impaurite dei miei compaesani. E purtroppo anche quelle di mia madre e di mio fratello. Sapevo fin dall'inizio che non li avrebbero risparmiati, ma la speranza era l'ultima a morire. 

Infatti, morì dopo di loro.

Sentivo il calore delle fiamme persino sotto terra, e pensai che se fossi morta, chi mi avrebbe trovata non avrebbe avuto il fastidio di seppellirmi. Ero talmente terrorizzata che non avevo neanche la forza di piangere. Me ne stavo lì, raggomitolata, a singhiozzare silenziosamente, a tremare e a pregare che non mi trovassero. Sicuramente la bambina innocente che ero era morta, sepolta in quella stanza buia e tutt'altro che silenziosa. Sapevo bene che, quando sarei uscita, non sarei più stata la stessa persona.

Mia madre diceva sempre che dalla distruzione nasce la vita, come dalla cenere nasce la fenice. E allora perché mia madre e mio fratello dovevano morire? Loro non erano forse fenici, come me?

Dopo qualche ora che non sentivo più voci o rumori, mi feci forza e decisi di uscire dal mio nascondiglio. Non potevo rimanere lì per sempre.

Ormai le fiamme si erano estinte e avevano lasciato spazio al fumo, che cercava di coprire come un grande telo l'orrore intorno a me.

Mi misi una mano davanti alla bocca, sentendo l'odore forte della carne carbonizzata. Tossii violentemente per evitare di vomitare. I miei piedi nudi incontravano la terra umida, un po' per la pioggia e un po' per il sangue. La stessa terra da cui rinascerai, avrebbe detto mia madre.

Un silenzio assordante mi circondava, e l'aria sembrava grigia e satura di morte. Le dispense del nostro villaggio erano vuote, segno che gli invasori avevano rubato il nostro cibo.

Cercai di rimandare il più possibile la domanda che più voleva risposta: dove sono mia madre e mio fratello?

Avevo una paura folle della risposta, anche se dentro di me ancora speravo.

Iniziai a camminare per le rovine delle case, chiudendo gli occhi alla vista di ogni cadavere. Camminai alla cieca.

Finalmente vidi la spada di mio padre, impugnata da una mano. Non ebbi il coraggio di vedere il volto tumefatto e bluastro di mia madre, mi bastava solo quello. Il corpo giovane di mio fratello giaceva accanto al suo, freddo e senza vita come la neve in inverno.

Mi inginocchiai, tenendo lo sguardo basso sulla spada e lasciando che alcune lacrime si facessero strada sulle mie guance.

"Non piangere, tu non sei debole". Le parole di mio padre mi risuonarono in testa, dilaniando il mio piccolo cuore. "Dovrai proteggere tua madre e tuo fratello quando io sarò morto". "Devi mantenere alto l'onore degli Edevene". "Non avere mai paura".

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora