CAPITOLO XII

10 1 0
                                    

Un Dio messo male

Il mattino dopo non pioveva più, grazie al cielo. Solo quando mi svegliai realizzai che mi ero addormentata sulla spalla di Artù, e avevamo praticamente dormito abbracciati tutta la notte, probabilmente per proteggerci contro il freddo. Il mio braccio era finito intorno alla sua vita, invece il suo mi circondava le spalle. E, quasi certamente a causa di questo, avevo sognato la nostra futura casa nei campi.

Grazie al cielo Artù non disse niente e, quando arrossii, mi fece semplicemente un cenno che diceva "stai tranquilla, non ti prenderò in giro per l'eternità". Cosa che invece avrebbe sicuramente fatto Lancillotto, dato che appena lo guardai mi sorrise maliziosamente.

Appena fummo pronti, riprendemmo il nostro viaggio.

-Dovremmo arrivare alla villa degli Honorius verso mezzogiorno- ci informò Artù, all'inizio del viaggio.

A mezzogiorno in punto eravamo arrivati a destinazione. L'ultimo tratto lo percorremmo molto velocemente, volendo arrivare il prima possibile.

Ma, invece di tenere aperto il portone per farci entrare nella villa, alcune guardie romane lo chiusero bruscamente, lasciandoci fuori.

Intanto molti abitanti del villaggio vicino si erano riuniti intorno a noi per osservarci.

-Chi siete?- domandò un ufficiale romano che stava sulle mura.

Artù alzò lo sguardo. –Sono Artù Castus, Comandante dei cavalieri sarmati. Ci manda il Vescovo Germanius di Roma-.

La guardia si rivolse ai suoi colleghi. -Aprite la porta!-.

Mentre aspettavamo che le porte si riaprissero, io osservai gli abitanti che ci avevano circondato. Sembravano poveri, e di certo malnutriti. Aggrottai la fronte, sentendo puzza di cattive notizie. C'era qualcosa che non andava.

Finalmente il portone si aprì e uscirono un gruppo di uomini, tra cui anche Marius Honorius (presumibilmente).

-E' un miracolo che siate qui!- esclamò, aprendo le braccia per dare enfasi –Buon Dio, Artù e i suoi cavalieri!-.

Detto questo si avvicinò a me, per accarezzare il muso di Axel. Lui indietreggiò, infastidito dall'uomo. Si vedeva che era il mio cavallo.

-Avete affrontato gli Woad, vili creature- commentò, scuotendo la testa.

-Abbiamo l'ordine di evacuarvi immediatamente- disse Artù, non volendosi "apparentare" con l'uomo.

Honorius si guardò indietro, poi di nuovo ad Artù. –Ma questo è impossibile-.

-Chi di voi è Alessio?- domandò il nostro Comandante, esaminando i volti dei romani davanti a noi. Alessio era il ragazzo che dovevamo portare sano e salvo al Vallo, poiché era il figlioccio del Papa.

Se i preti fossero davvero casti ora non avremmo questo problema.

-Io sono Alessio- esclamò un ragazzo che si trovava sulle mura. Aveva i capelli neri e la pelle pallida, e a vederlo sembrava un Britanno bello e buono. Altro che romano...

-Alessio è mio figlio- affermò Honorius, e io cercai di trattenere una risata con tutte le mie forze. Certo, certo. Mi morsi le guance per stare zitta.

Continuò –e tutto ciò che possediamo è qui, nella terra che ci è stata data dal Papa di Roma-. Questa gente dovrebbe chiedersi più spesso il perché avesse ricevuto queste ricchezze. Di certo non per le loro opere buone.

-Beh state per lasciare tutto ai Sassoni- gli disse Lancillotto, facendo spallucce. Ammiriamo il suo tatto.

-Stanno invadendo da nord- spiegò Artù.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora