CAPITOLO XXI

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Ancora una battaglia

N.A. Questo capitolo è moooolto lungo, ma poi vedrete il perché. Non vi anticipo niente...

Gli abitanti del villaggio stavano bruciando le cose che non potevano portare per non farle cadere nelle mani dei Sassoni. Tutti se ne stavano andando. Tutti, tranne io e Artù.

Io e lui eravamo determinati a difendere la nostra terra, eravamo determinati a restare e a combattere. Per questo ci stavamo preparando. 

La stanza era avvolta da un silenzio calmo, ma rappresentava solo la quiete prima della tempesta. Ci trovavamo in una bolla, e appena avremmo messo piede fuori dalla porta, questa bolla sarebbe scoppiata.

Vidi che Artù non riusciva ad allacciarsi l'armatura, e allora dissi –vieni, ti aiuto io-. Lui mi guardò, poi annuì e si avvicinò a me, voltandosi di spalle.

Mentre stringevo i lacci della sua armatura, lasciai che i miei pensieri tornassero alla notte precedente. A come ci eravamo intrecciati, proprio come questi lacci. Per una volta nella mia vita sentivo che tutto era andato al proprio posto. Non mi sentivo più in pezzi. Non mi sentivo più sbagliata. Non mi domandavo più se dovessi essere più femminile, più aggraziata, semplicemente perché non mi interessava. Mi sentivo giusta, completa. Mi sentivo bene.

Quando ebbi finito, gli misi le mani sulle spalle e appoggiai la fronte sulla sua schiena. Lui abbassò la testa all'indietro, lasciando andare un sospiro. Chiusi gli occhi e inspirai a fondo il suo profumo, sperando di non dimenticarlo mai.

-Stasera mi metterò un vestito da donna- affermai decisa. In qualche modo dovevamo festeggiare.

-Anch'io-.

Risi. -Allora vedrò di non mancare-. Lo sentii ridacchiare. Per un attimo riuscimmo a non pensare a ciò che sarebbe capitato di lì a poco. Ma solo per un attimo.

Come avevo previsto, appena uscimmo dalla stanza la quiete si spezzò, e ci rituffammo nel mondo reale. I tamburi dei Sassoni che indicavano che non se ne sarebbero andati, il villaggio vuoto, i carri pieni, il fumo grigio che tingeva il cielo. Sospirai, cercando un po' di conforto nell'aria gelida.

Andammo nelle stalle a prendere i nostri cavalli. Accarezzai il muso di Axel per tranquillizzarlo e per tranquillizzarmi.

-Ancora una battaglia, amico mio- mormorai –solo una-.

Axel annuì leggermente, con un nitrito. Trovai la forza di abbozzare un sorriso e montai a cavallo, uscendo dalle stalle seguita da Artù.

Andammo su una collina dalla quale avevamo una perfetta visuale della carovana di persone che stava fuggendo. Probabilmente a sud ci sarebbero state delle navi per riportarli a Roma.

Tra un carro e l'altro scorsi il resto dei cavalieri. I miei amici. I sopravvissuti, che finalmente avrebbero abbracciato la libertà che meritavano da tempo. Cavalcavano con il capo chino, esausti da quindici anni di combattimenti macchiati di sangue. Decisamente troppo sangue. Ora avrebbero visto le infinite praterie verdi di cui parlavano sempre, e i cieli blu e privi di nuvole. Avrebbero baciato la loro terra, avrebbero assaporato il fatto di essere ancora vivi.

Sentii un vuoto nel mio cuore, come se i cavalieri si stessero portando via una parte di me. Dopotutto era pur sempre un addio.

Artù era di fianco a me, e i suoi occhi erano fissi su coloro che un tempo erano i suoi uomini. Potevo dedurre che anche lui sentiva il vuoto che percepivo io.

La testa di Gatto si alzò e lui mi guardò. Io non potei fare a meno di sorridergli. Il mio migliore amico. Mio fratello.

Rowan era appoggiato sul suo avambraccio e, quando Gatto lo alzò, volò rapidamente verso di me, disegnando cerchi attorno alla mia figura. Lo guardai meravigliata, sapendo che quello era il suo modo per dirmi addio.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora