CAPITOLO XIX

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Dove ti conduce il vento

Mi chiusi in camera e mi levai l'armatura. Finalmente ero da sola e potevo lasciarmi andare. Artù era andato nella sua stanza per riposare un po' dato che si era fatta sera, e anch'io ne avevo estremamente bisogno.

Mi sdraiai sul letto, indossando solo la maglia e i pantaloni che portavo sotto l'armatura. Cominciai a fissare il soffitto, immergendomi nei miei pensieri. Loro andavano da Artù, a Dagonet, al passato, a quel maledetto lago ghiacciato, al villaggio in fiamme, a ciò che sentivo, alla canzone, ai miei amici.

Ripensai a tutto ciò che avevo rimandato, alle persone che non avevo mai ringraziato abbastanza, alle persone che avevo perso. Insomma, stavo facendo un punto della situazione. 

In quel momento fui consapevole dei miei sentimenti per Artù, e questa era una buona cosa. Un quesito in meno nel cervello. 

Ero certa di amarlo. Amavo come sorrideva leggermente, quasi in modo impercettibile. Come solo io fossi in grado di vedere i suoi piccoli sorrisi. Come i suoi occhi si accendessero di curiosità. Come le sue mani imperfette intrecciavano le mie. Come mi volesse bene nonostante il mio essere impudente. Come andassimo d'accordo nonostante fossimo praticamente poli opposti. Come ci capissimo al volo, con un semplice sguardo, e senza parole.

Sospirai leggermente, soddisfatta di questa mia piccola conquista. Ora saremmo andati a vivere insieme, e io non volevo altro. Mi immaginavo una vita tranquilla, solo io e Artù, in mezzo ai campi. Niente più uccisioni, niente più combattimenti. Finalmente pace.

Mi sarebbero mancati i miei compagni, ma sapevo che loro sarebbero stati felici nella loro Sarmazia.

I miei pensieri vennero interrotti da un bussare alla porta, seguito da una voce. –Yael-. La riconobbi, era di Galvano. Mi alzai in piedi e andai alla porta, aprendola e trovandomi davanti gli occhi di ghiaccio dell'uomo.

-Vieni a vedere- disse semplicemente, voltandosi e incamminandosi verso il muro.

Lo seguii, con la fronte corrugata. Cosa stava succedendo, ancora?

La gente era riversata per le strade, e si alzava un borbottio preoccupato, che mi faceva battere sempre più forte il cuore.

Galvano mi condusse sul muro, e indicò l'altra parte del Vallo. Io seguii il suo dito, e notai con orrore dei falò accesi. Erano moltissimi, forse migliaia. E, accanto a loro, si erano riuniti degli uomini. Riuscivo a distinguere le loro sagome, nonostante facesse già buio. Erano di più di quanto potessimo immaginare.

-Sono arrivati i Sassoni- constatò con tono piatto Galahad, che era seduto sul muro. Anche gli altri cavalieri erano lì, tranne Artù. C'era anche Ginevra, che sembrava preoccupata tanto quanto noi.

-Maledizione- sputai, passandomi una mano tra i capelli. Questo era un bel problema. Di certo i Sassoni non se ne sarebbero andati se gli avessimo detto "per gentil cortesia, potete levare le tende e dirigervi lontano da qui?". L'unica maniera per mandarli via era combatterli, e non era fattibile. Eravamo clamorosamente inferiori di numero, anche se ci fossimo riuniti con le guardie romane (cosa tra l'altro impossibile perché se la sarebbero data a gambe immediatamente).

Poi mi voltai. –Dov'è Artù? Lo sa?-.

Lancillotto scosse la testa. –Jols è andato a chiamarlo, ma ho un brutto presentimento- mi rispose. Capii cosa intendesse. "Il paladino della giustizia". Io e lui lo conoscevamo troppo bene.

Dopo poco il nostro Comandante ci raggiunse, rimanendo basito tanto quanto noi nel vedere l'esercito Sassone accampato poco lontano dal Vallo.

I nostri occhi si incontrarono, e capii immediatamente cosa avesse intenzione di fare. Anche Lancillotto lo intuì.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora