CAPITOLO VII

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Dalla Sarmazia a Roma

Ormai eravamo arrivati al Vallo. Sospirai, osservando quella che per i passati quindici anni era stata la nostra casa, e che da domani sarebbe diventata l'inizio della nostra nuova vita.

Avevo migliaia di ricordi qui, alcuni belli e altri brutti, ma comunque non volevo dimenticare niente, cosa che invece volevano fare i miei amici. Non li potevo biasimare: i romani li avevano strappati alle loro terre e costretti a fare qualcosa che li poteva condurre alla morte. L'unica cosa che volevano era ritornare a casa e dimenticare tutto, ricominciare da capo, vivere in pace.

Ci mettemmo tutti in riga, ammirando la vista sotto di noi. Io mi misi tra Gatto e Artù.

-Ora che siamo liberi- iniziò Bors, guardandoci –berrò fino a non poter pisciare diritto-. Ecco la finezza che ritorna.

-Non lo fai tutte le sere?- domandò Galvano, alzando un sopracciglio.

-Non riesco a pisciare diritto- affermò, con tono quasi sconsolato.

-Commovente- commentai, cercando di non immaginarmi la scena. Anche se ormai mi ero abituata a vivere con tanti uomini, certe cose non avevo proprio intenzione di vederle.

-No davvero, è così grosso che ho difficoltà a controllarlo. Sapete, è come...- iniziò, ma noi lo interrompemmo, conoscendo quella frase a memoria.

-Come il braccio di un bambino che stringe in mano una mela-.

-Bors, lo dici da talmente tanto tempo che ormai il bambino si sarà sposato- scherzai. Tutti scoppiarono a ridere.

Spronammo i cavalli e cominciammo a costeggiare le mura del Vallo, dato che dovevamo arrivare all'entrata.

Io ero di fianco a Tristano, e ad un tratto lui allungò il braccio per far atterrare il suo falco. Perché sì, lui aveva un falco bellissimo di nome Rowan, che io adoravo. Generalmente io gli piacevo, si lasciava fare qualche carezza; invece odiava profondamente sia Artù sia Lancillotto. Le scene dove Rowan faceva i suoi bisogni sulle loro corazze erano esilaranti, soprattutto perché entrambi cercavano di fare sempre gli uomini duri. Ma con una cacca sulla corazza erano molto poco credibili.

-Hey bello, dove sei stato? Eh?- domandò dolcemente Gatto a Rowan, come se gli potesse rispondere. Allungai la mano per accarezzarlo, cercando di non cadere da cavallo.

-E' diventato più grosso-.

-Perché è un grande cacciatore- replicò Gatto, passandogli due dita sulla testa. Sorrisi leggermente. Se Tristano avesse dato ai suoi figli metà dell'amore che dava a Rowan sarebbe stato un ottimo padre.

-Non mi piace quel romano- affermò d'un tratto Galahad, che si trovava dietro di noi con Bors e Galvano.

-A nessuno piace- commentò Galvano. Bene, ora sapevo che non ero l'unica a non sopportarlo e mi sentivo meno paranoica.

-No ma dico, è venuto per darci i permessi, e allora che ce li dia e basta- sbraitò l'uomo, gesticolando leggermente. Ammiriamo la semplicità di Galahad.

-Non conosci i romani, Galahad- iniziò Bors, con aria saggia –non fanno niente senza prima fare una cerimonia. Nemmeno grattarsi il culo-.

-Non sarai bello, Bors, ma di sicuro sei fine- commentai sorridendo. 

-Oh mia cara Yael, io sono bello e fine-. 

-Sì, se visto di notte, dietro un muro e con qualcosa per coprirsi le orecchie-. I nostri compagni scoppiarono a ridere, mentre Bors fece una finta aria offesa, con tanto di manina lasciata cadere sul petto per aumentare la drammaticità della sua recita.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora