CAPITOLO II

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Un nome e un soprannome

Dopo infinite ore di cammino, Gaius e io arrivammo al suo villaggio. Si trovava relativamente vicino al Vallo di Adriano, un lungo muro di pietre che andava da ovest ad est. Il villaggio assomigliava molto al mio, però era molto più grande e in mezzo si ergeva una casa in pietra molto più imponente delle altre, le quali invece erano di legno e paglia. Probabilmente, essendo un ufficiale romano di una certa importanza, lui viveva lì.

Ci fermammo davanti all'edificio in questione, e Gaius mi aiutò a scendere.

-Questa è casa mia- affermò, affidando le redini del suo cavallo a un uomo, probabilmente il suo stalliere.

Mi condusse all'interno. Io, ancora un po' diffidente, lo seguii, sempre trascinandomi dietro la spada. Era davvero una bella casa, sembrava accogliente e calda, nonostante fosse fatta di fredda roccia.

-Quella puoi darla a me- mi disse, indicando Balar.

Osservando attentamente la sua mano gliela diedi, titubante.

-Artorius! Lucilla! Venite, abbiamo un'ospite- esclamò sorridendo e affidando la mia spada a un servo. Lui chinò la testa come cenno di saluto e se ne andò, portando Balar con lui.

Da una stanza uscì una donna molto alta, dalla carnagione pallida e dagli occhi azzurri. I suoi lineamenti erano molto dolci, e assomigliava a mia madre. Forse era solo una mia sensazione.

Lei era seguita da un ragazzino che non riuscii a vedere bene, dato che era mezzo nascosto dietro alla donna. Timido, mi dicono.

-Lei è Yael Edevene- mi presentò, abbassandosi per mettermi una mano sulla spalla. Poi si rivolse a me –lei è mia moglie Lucilla, e lui è il ragazzo di cui ti ho parlato, mio figlio Artorius-.

-Sei la figlia di Gleb ed Elynor, non è vero?- mi domandò la donna, con tono gentile.

-Sì-. 

Lucilla (a quanto pare) guardò brevemente il marito, che scosse la testa come per dire "eh già, è morta anche la madre". Mio padre, se non l'avessi già detto, era morto un anno prima in battaglia, difendendo proprio quest'uomo.

-Artorius, perché non mostri alla nostra ospite la sua stanza?- propose la madre, spingendo davanti a sé il ragazzo.

Lui sembrava quasi spaventato, mentre indietreggiava il più possibile per allontanarsi da me. La cosa mi fece sorridere leggermente.

-Dai Artorius...- lo incoraggiò il padre. A quel punto lui annuì timidamente.

-Vieni- mi disse, con tono insicuro. Annuii e iniziai a seguirlo, mentre mi conduceva per un grande corridoio. Guardai le stanze meravigliata: non avevo mai visto niente di così grande.

Alla fine entrammo in una stanza probabilmente più grande di tutta casa mia.

-Questa...questa è la tua stanza-.

Insieme alla stanza, colsi l'occasione per osservare anche il ragazzo, che finalmente potevo vedere chiaramente.

Non era molto alto, ma era normale per la sua età. Aveva circa sei anni, come me. La carnagione era piuttosto scura, molto diversa dalla solita pallida pelle britannica. I suoi capelli erano ricci e neri, e parevano talmente morbidi da farmi venire voglia di accarezzarli. Gli occhi erano azzurri e molto grandi, anche se timidi, e spiccavano grazie alla carnagione e i capelli scuri. Assomigliava molto al padre, ma aveva gli stessi occhi azzurri della madre.

Continuava a tormentarsi le mani, guardandosi intorno nervosamente. Era chiaramente a disagio, probabilmente non parlava spesso con le altre persone, a parte i suoi genitori. Sembrava gentile, forse un po' rigido. Vediamo se riesco ad ammorbidirlo.

-Posso darti un soprannome?- domandai, dopo alcuni secondi durante i quali era calato un silenzio imbarazzante. Non mi piaceva il nome Artorius, suonava troppo romano. Non avevo una buona opinione dei romani, anche se, dato che avevo solo sei anni, stavo solo portando avanti l'opinione di mia madre. Era risaputo che i romani fossero egoisti invasori, a parte Gaius; ma lui era solo l'eccezione che confermava la regola.

In ogni caso, romano o no, Artorius non era un bel nome comunque. Sono solo onesta.

Lui mi guardò interrogativo. -Ehm...va bene...?-.

-Uhm-. Mi grattai il mento, pensando a un soprannome che gli sarebbe stato bene. Poi mi illuminai. –Che ne dici di Artù? È breve, ed orecchiabile-.

Anche lui ci pensò un po' su, poi annuì. –Mi piace- ribatté, con più sicurezza. 

Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, come per esplorarci a vicenda senza dire una parola. Stavo provando ad essere amichevole, così lui si sarebbe potuto sciogliere. E quando si parlava di chiacchierare o di far ridere, ero la migliore.

Poi sorridemmo leggermente. –Vieni, ti mostro il villaggio- dichiarò, prendendomi per mano e conducendomi fuori dalla casa.

Corremmo fuori e lui mi mostrò tutte le parti del suo villaggio. Era più grande e più interessante del mio: le stalle erano enormi, con un sacco di cavalli!

Artù si era sciolto completamente. Avevamo iniziato a chiacchierare del più e del meno, l'avevo fatto ridere più volte, insomma ci stavamo conoscendo. Gaius aveva ragione: Artù aveva proprio bisogno di un'amica.

Finito il giro, mi condusse in una casa ai margini del villaggio e bussò alla porta.

-Pelagius! Sono Artorius!-.

Ci aprì la porta un uomo abbastanza anziano, dagli occhi grigi e stanchi e dai folti capelli bianchi. Aveva un'aria saggia.

-Oh, buongiorno signorino Artorius- lo salutò, poi mi notò –e chi è questa magnifica bambina?-.

-Si chiama Yael Edevene, e vivrà con noi- rispose lui, con aria felice.

-Piacere - disse, allungando la mano verso di me –io sono Pelagius, il maestro di Artorius-.

Gliela strinsi e gli sorrisi leggermente, con cortesia.

-Allora d'ora in poi sarò anche il vostro maestro, signorina Edevene- disse, facendomi l'occhiolino.

Ridacchiai. Mi stava simpatico questo signore.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora