CAPITOLO III

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La sfortuna bacia tutti

Erano passati quattro anni da quel giorno, e io e Artù eravamo diventati amici, anzi di più: eravamo diventati fratelli. Stavamo crescendo insieme e, a causa della morte di Gaius, stavamo provando bene o male gli stessi dolori. Eravamo simili, ma allo stesso tempo opposti.

Un giorno stavamo giocando vicino al laghetto, al di là di una collina che ci separava dal suo villaggio. Avevamo appena finito l'ultima lezione con Pelagius, dato che poi sarebbe partito per Roma. Ci aveva promesso che ci sarebbe venuto a trovare, e io lo speravo caldamente.

Eravamo seduti uno di fronte all'altra sulle sponde del lago, e io stavo giocando con l'acqua.

-Mi mancherà Pelagius- affermò Artù, con aria vagamente triste.

-Già, mancherà anche a me- dissi, ma poi sorrisi –però ha detto che ci verrà a trovare presto!-.

-Non so. Tra un po' partiremo per il servizio militare, non so se potrà venirci a visitare...-.

Giusto, dovrei spiegarvi questo piccolo "problema". Molti anni prima i romani decisero di conquistare una regione asiatica, chiamata Sarmazia. Ovviamente i sarmati avevano qualcosa in contrario, e scoppiò una guerra molto sanguinosa. Alla fine i romani vinsero, ma, dato l'innegabile coraggio dei guerrieri sarmati, ebbero la geniale idea di creare un corpo del loro esercito usandoli, capeggiato da un Comandante romano. La cosa bella? Era ereditario, il servizio militare. I primogeniti maschi dei cavalieri sarmati, quando raggiungevano i dieci anni, avevano l'obbligo di iniziare l'addestramento. Il servizio durava quindici anni, dopodiché i cavalieri erano liberi.

Mio padre era un cavaliere sarmata e, dato che mio fratello Erec, l'unico figlio maschio di mio padre, era morto, lo sarei diventata anch'io. Invece Gaius era il Comandante dei cavalieri, perciò Artù avrebbe seguito le sue orme.

-Secondo te mi accetteranno anche se sono femmina?-.

Abbassò lo sguardo. -Mio padre diceva di sì-.

-Qualcosa non va?- chiesi –Dai, ti conosco! Quando abbassi lo sguardo in quel modo c'è qualcosa che non va-.

Lui mi guardò e mi sorrise leggermente, timido. –No è che...sarai obbligata a combattere per quindici anni, potresti anche non sopravvivere e io non me lo perdonerei mai...-.

-Artù, primo: il fatto che io sia una donna non vuol dire che debba sottrarmi ai miei doveri. Secondo: so badare a me stessa, e combattere non mi spaventa- affermai determinata, alzando le sopracciglia.

Alzò gli occhi verso di me, con un sorrisetto sghembo sulle labbra. –E terzo?-.

-Terzo...ti prometto che sopravvivrò e ti proteggerò-.

-Che minaccia- ridacchiò, ma poi aggiunse –e io proteggerò te-.

-Oh allora no che non sopravvivrò- affermai, con un piccolo sorrisetto malefico.

Fece una finta espressione offesa e mi schizzò in faccia. Non fu una buona idea: scatenò una sanguinosa guerra di schizzi, finché entrambi non cademmo nel lago.

-Tua madre ci ucciderà- risi, uscendo dall'acqua.

-Decisamente-.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora