CAPITOLO XVIII

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Il silenzio di un innocente

Il viaggio di ritorno al Vallo fu silenzioso. Nessuno osava parlare, come se fosse una cosa proibita. Come se in questo modo avremmo disturbato il riposo del nostro fratello.

Bors era accanto al corpo di Dagonet, che era appoggiato sul suo cavallo, e non mostrava alcuna emozione. Ma lo conoscevo abbastanza bene per dire che quella era solo una facciata.

Mi sentivo come se ogni cosa fosse cambiata, come se alcune cose che prima ritenevo importanti non lo fossero davvero. E, al contrario, cose che sottovalutavo erano diventate vitali, come guardare il cielo, come respirare l'aria. Come vivere. Una cosa che Dagonet che non avrebbe più potuto fare.

Ginevra ovviamente non era dispiaciuta quanto noi, ma rispettava il nostro religioso silenzio. Stava accanto a Lancillotto, e ogni tanto la vidi posare una mano sul suo braccio, per rassicurarlo.

Io invece cavalcavo vicino ad Artù, ovviamente. Forse lui era quello che stava peggio di tutti. Dopotutto lui era il nostro Comandante. Lui doveva proteggerci. Lui doveva morire. Questo stava pensando. E, nonostante avesse torto marcio, non avevo la forza materiale di controbattere. Non avevo nemmeno la forza di parlare.

Arrivammo al Vallo di Adriano, sempre senza proferire parola. Probabilmente se tutto fosse stato normale, noi saremmo stati felici di abbracciare finalmente la libertà. Ma non era così. Ormai non aveva più importanza.

Entrammo nella piazzetta, assieme alla carrozza del figlio di Honorius e Fulcinia.

Lì trovammo il Vescovo Germanius, che venne incontro ad Alessio a braccia aperte. –Oh, mio Dio- esclamò. Ecco, se c'era una cosa che non volevamo sentire, era proprio quella. Il suo Dio.

-Contro tutti gli ostacoli di Satana stesso! Mio Dio, Alessio, fatevi guardare- continuò, cercando di posare una mano sulla guancia ad Alessio, ma questo retrocedette. -Dio ha trionfato!- esclamò il Vescovo.

A questo, serrai la mascella.

Vidi Lucan correre verso il cavallo che sorreggeva il corpo di Dagonet, seguito da Ginevra.

Il bambino prese la mano di Dag, e sfilò l'anello dalle sue dita. Ginevra invece gli accarezzava i capelli, per tranquillizzarlo.

-Mi dispiace, Lucan- mormorai, incapace di dire altro.

Ginevra posò una mano sulla mia spalla, con fare amichevole. Abbozzai un piccolo sorriso, apprezzando il fatto che mi stesse vicino.

Germanius interruppe la scena con un –nobili cavalieri!-.

Tutti ci voltammo verso di lui, guardandolo o torvi o inespressivi, aspettando le cavolate che avrebbe detto.

-Siete liberi ora!- annunciò ora il Vescovo, poi si rivolse ad Horton –Vieni, dammi i documenti! Vieni, vieni-.

Vidi Bors digrignare i denti e stringere i pugni.

Il suo aiutante si avvicinò con una scatola in mano, poi la aprì. -Ecco i vostri lasciapassare, validi per tutto l'impero!- li indicò il Vescovo, con un sorrisetto odiabile in volto.

Artù lo guardò disgustato, avvicinandosi lentamente e con aria minacciosa. Gli arrivò proprio di fronte, guardandolo truce e affermando lentamente –Vescovo Germanius. Amico di mio padre-.

Questo riuscì a strappargli il sorrisetto falso dalla faccia. Poi il nostro Comandante se ne andò.

Lancillotto, con una calma esemplare, afferrò le pergamene con forza, e le distribuì ai cavalieri. Me ne diede una, e i nostri occhi si incrociarono per un secondo. Era infuriato tanto quanto me, e avrebbe voluto gettare questi maledetti permessi nel fango.

-Siete liberi ora- continuò il Vescovo, facendomi ronzare le orecchie dal fastidio –potete andare-.

Strinsi la pergamena nella mano e mi avvicinai al Vescovo, con la stessa aria di Artù. –Questo è il minimo- borbottai amareggiata, ritirandomi nelle mie stanze.

Dire che il silenzio che tempestava il funerale di Dagonet era sconfortante era un eufemismo. Fissavamo tutti la tomba appena scavata, con la spada di Dag conficcata nel terreno e una scatola con il suo permesso all'interno adagiata di fianco.

Lucan e Bors erano rimasti lì accanto alla tomba a contemplare il dolore, mentre Artù era accucciato vicino alla tomba di Gaius. Mi inginocchiai di fianco a lui.

-Hai finalmente deciso di parlargli- sussurrai, per non spaventarlo troppo. Artù non era mai venuto alla tomba del padre, diceva che non avrebbe trovato niente lì, solo un ammasso di terra e dei ricordi che era meglio lasciare sepolti. Al contrario, io avevo sempre pensato che visitare le tombe delle persone care portasse consiglio e, in un certo senso, pace. 

Artù spostò gli occhi su di me. –Dubito che mi risponderà- rispose, sempre a voce bassa. Stava giocando con i fili d'erba, probabilmente per distrarsi.

-Io parlo con Axel, Tristano con Rowan, neanche loro rispondono- affermai, posandogli una mano sulla spalla –e noi non ci aspettiamo che lo facciano-.

-Se così fosse, mi preoccuperei- scherzò debolmente, gli occhi fissi sulle sue mani.

Rimanemmo in un silenzio fastidioso, pieno di pensieri non espressi. Volevo dirgli talmente tante cose che non sapevo da dove iniziare. Volevo dirgli che mi dispiaceva, che non era colpa sua, che non eravamo infuriati con lui, che non mi parlava da troppo tempo.

Alla fine fu lui a rompere il silenzio, mormorando –how many deaths will it take 'till he knows that too many people have died?-. Pronunciò quelle parole con tono piatto, come se stesse dimostrando che aveva ragione a riconoscersi nel "he" della canzone.

Accennai ad un sorriso sghembo, solo da un lato. –The answer is blowin' in the wind- risposi con tono rassicurante, guardandolo negli occhi. Come per dirgli che a nessuno era dato saperlo, come se non dipendesse da lui. Come se dipendesse dal vento.

Lentamente mi prese una mano e me la strinse, proprio come quando eravamo fuggiti dal suo villaggio in fiamme. –Questa canzone ha risposte per tutto- constatò, sfiorando il dorso della mia mano con le sue dita callose, provocandomi mille brividi.

-Ha solo una risposta che vale per tutte le domande-.

Mi avvicinò a lui e mi abbracciò, sedendosi accanto a me. Gli circondai le spalle con un braccio, facendogli affondare il viso nel mio collo, come se si dovesse nascondere dal mondo.

Inspirai a fondo il suo odore. Lui sapeva di casa, di foresta. Era come una ventata di aria fresca in un pomeriggio troppo caldo. Sarei rimasta lì delle ore.

-Non ti ho mai ringraziata- sussurrò, e il suo fiato sul collo mi fece ritornare la pelle d'oca.

–Per cosa?- chiesi, corrugando la fronte.

-Per essere al mondo- rispose, dandomi un leggero bacio sul profilo del collo. Adesso altro che pelle d'oca.

-Faccio il possibile- sussurrai senza fiato, cercando di mantenere un tono controllato e non svenevole, come mi suggeriva il mio cervello. Un po' di contegno, per l'amor del cielo!

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora