CAPITOLO IV

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Ti proteggerò

Erano passate due settimane da quel giorno, e noi cercavamo di andare avanti con le nostre vite. O ciò che ne restava.

Artù era cambiato: era diventato più taciturno, più serio, più malinconico. Supponevo fosse normale, perdere la madre non è proprio un'esperienza positiva.

Io cercavo di farlo stare meglio facendolo ridere, come al solito, ma non sempre ci riuscivo.

Sigga aveva deciso di ospitarci in casa sua, che miracolosamente era rimasta in piedi dopo il caos di quel maledetto giorno. Mi aveva anche detto che Rolf, suo marito, era riuscito a recuperare Balar, e io gli ero eternamente grata. Almeno non avevo perso proprio tutto.

-Stanno arrivando- dissi avvicinandomi ad Artù, il quale stava dando da mangiare a Titus, il suo bianco cavallo.

L'ufficiale romano che assoldava i giovani cavalieri sarmati sarebbe arrivato tra poco, e noi dovevamo essere pronti. Joan, una ragazza del paese, aveva detto di aver visto un contingente formato da romani e da ragazzini accamparsi vicino al villaggio, e probabilmente erano proprio loro.

-Già, lo so- rispose lui, sospirando leggermente –sei pronta?-.

Feci cenno di sì, accarezzando il muso dell'animale. –E tu?-.

Non rispose. Infilò Excalibur nel fodero legato alla sella. –Dammi Balar- mi disse, allungando la mano. Gli porsi la spada, e lui la infilò nell'altro fodero, dall'altra parte della sella.

-Siamo pronti, manca solo l'ufficiale romano-.

-Mi sembra abbastanza essenziale- affermai, facendo una smorfia. Lui sorrise debolmente.

L'ufficiale in questione arrivò il giorno stesso, dicendo che sarei stata addestrata nonostante fossi donna e conducendoci verso la nostra guarnigione. O meglio, la nostra futura guarnigione.

Salutammo i nostri compaesani, e Artù sospirò, guardando per l'ultima volta il suo paese, come se stesse dicendo addio anche a sua madre e a suo padre. Come del resto avevo fatto io qualche anno prima.

Forse ero io che portavo sfiga. Forse avevo una freccia sulla testa con su scritto "brucia il mio villaggio". Dopo due volte che succede, inizi anche a farti delle domande.

La nostra destinazione era il Vallo di Adriano, dove avremmo passato quindici anni della nostra vita. Se tutto andava bene.

Durante il viaggio il silenzio regnava sovrano. Io avevo la testa appoggiata alla schiena di Artù, che era concentrato nel guidare il cavallo.

Ad un tratto un ragazzo riccioluto dagli occhi neri si avvicinò con il suo cavallo scuro, guardandoci con aria curiosa. Aveva circa la nostra età, ma sembrava quasi più maturo (dopo avrei scoperto che lo era fisicamente, ma non mentalmente). Era carino e, dal suo atteggiamento, ne era consapevole.

-Sei una ragazza?- domandò lui, aggrottando la fronte.

-Non ti sfugge niente-.

-Come sempre. Io sono Lancillotto-.

-Io sono Yael Edevene- dissi, poi indicai il mio compagno con la testa –e questo imperturbabile taciturno è Artorius Castus-.

-Artorius?- chiese, aggrottando la fronte. Per quanto potessi volere bene ad Artù, il suo nome era proprio brutto. Certe cose bisogna dirle.

Sospirò. –Suppongo che tu possa chiamarmi Artù, come fa Yael-.

Lancillotto annuì. –Suona meglio-. Probabilmente nemmeno lui aveva un rapporto amichevole con i romani, dato che lo avevano appena strappato alla sua famiglia e alla terra.

-Volete conoscere il resto del nostro gruppo?- ci invitò, rallentando il suo cavallo. Annuimmo e anche Artù rallentò, raggiungendo Lancillotto. Almeno avremmo fatto un po' amicizia con altri ragazzi, e non saremmo stati i soliti asociali.

Ci portò da un gruppetto di cinque ragazzi, tutti più o meno della nostra età.

-Ragazzi, questi sono Artù e Yael- ci annunciò Lancillotto, indicandoci. Tutti mi guardarono stupiti.

-Sì, sono una ragazza. Qua sono tutti perspicaci-.

-E' un piacere conoscervi- ci salutò gentilmente un ragazzo moro riccioluto, con gli occhi verde-acqua –io sono Galahad-.

Lo salutai con un cenno del capo.

-Io sono Galvano- disse il ragazzo dai capelli biondi corti accanto a Galahad.

-Io sono Tate!- esclamò uno che era rimasto dietro, affiancandomi. Sembrava più piccolo di noi sia di statura sia d'età, e aveva gli occhi chiari e i capelli mori. -E lui è mio fratello Tristano- continuò, indicando un altro ragazzo. Lui aveva i capelli lunghi, alcuni legati in treccine, e la frangia che gli copriva buona parte della fronte. Inoltre aveva due piccoli tatuaggi sugli zigomi, che ricordavano i baffi di un gatto. Beh, sarebbe uno spunto per un soprannome.

Quest'ultimo ci fece un cenno del capo e un sorrisetto appena accennato.

-Io sono Bors, e lui è Dagonet- affermò un ragazzo un po' più grande di noi e più grosso, indicando un altro che era molto alto.

-E' un piacere conoscervi- disse Artù, chinando leggermente il capo.

-Ti addestrerai con noi, Yael?- domandò gentilmente Tate, e io annuii.

-Sarà un addestramento duro, che ci condurrà alla battaglia contro uomini spietati e bruti. Lo sai questo, vero?- domandò Bors, cercando di spaventarmi.

–Non ti preoccupare, ti proteggerò-.

Gli altri ridacchiarono, e Bors sorrise leggermente. –Hai fegato, ragazza!-.

Gli feci l'occhiolino, e gli altri scoppiarono di nuovo a ridacchiare.

-Non capita tutti i giorni di vedere una donna combattere- affermò Galvano, guardandomi.

-Oggi è un altro giorno- dissi, facendo spallucce. (N.A. riferimenti a Via col Vento puramente casuali).

-Hai sempre la risposta pronta tu!- constatò Galahad, ridacchiando incredulo.

-Evita di farle le domande- bofonchiò Artù, e io lo spinsi leggermente, fintamente offesa.

Dopo alcune ore di viaggio, durante le quali avevamo avuto modo di conoscere gli altri, Artù mi disse –certo che hai già fatto la tua bella figura-.

Feci spallucce e sorrisi orgogliosamente. –Certe cose è meglio metterle in chiaro fin dall'inizio-.

Scosse leggermente la testa e lasciò andare un risolino. –Come fai ad essere più coraggiosa di un uomo?-.

-Anni di esperienza- risposi, alzando il mento con aria altezzosa –anche se non ci vuole molto-.

Ridacchiò nuovamente. –Incorreggibile-. 

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora