CAPITOLO X

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Sarò anche pessimista ma ho ragione

Stavamo aspettando Artù alla taverna, e ognuno si divertiva a modo suo. Galvano e Galahad giocavano con i coltelli, lanciandoli verso una trave per vedere chi riusciva ad andare più vicino al bersaglio. Gatto li guardava in silenzio, mangiando una mela (il solito asociale). Lancillotto giocava a dadi con dei soldati romani, guardandoli male quando perdeva. Bors cullava il suo decimo figlio all'interno della taverna. Io e Dagonet, invece, giocavamo a carte. Eravamo cinque a sei per lui, e questo era l'ultima mia possibilità di pareggiare.

-Sei sicura di volerlo fare?- domandò, alzando il suo mazzo.

Appoggiai i gomiti sul tavolo e sorrisi maliziosa, guardandolo di sottecchi. –Potrei farti la stessa domanda- dissi, con tono mellifluo –non hai paura di perdere contro di me?-.

Ridacchiò brevemente, per schernirmi. Poi iniziammo, e, nonostante la difficoltà e la mia costante sfortuna con le carte, io vinsi.

-Ha! Pareggio!-. Dag sospirò sconfitto, gettando il suo mazzo sul tavolo.

-Dai, ti lascio il beneficio del dubbio- gli dissi, sporgendomi per dargli una pacca sulla spalla –e ti offro un altro bicchiere-.

A questo lui annuì. Era facile fare pace con i miei compagni, bastava pronunciare la parola "bicchiere" o anche "vino" (se poi si mettevano entrambe in una frase il gioco era fatto).

Dopo aver offerto un boccale di vino a Dagonet andai a vedere come andava da Lancillotto, sperando che non avesse già fatto strage di soldati romani.

-Oh, Yael- mi notò, spostandosi per farmi sedere. Mi sedetti accanto a lui, mentre lui era impegnato a contare i soldi guadagnati.

-Hai vinto, vedo-.

-Sei stupita?-.

-Scioccata-.

-Quindi...andrai a Roma con Artù?- domandò, mettendosi i soldi in tasca e voltandosi verso di me.

Annuii, timidamente. –Non avrebbe senso tornare in Sarmazia per me. Non ci sono neanche mai stata- affermai, facendo spallucce. Per me era diverso che per gli altri: loro avevano casa e famiglia lì. Io invece ero nata e cresciuta in Britannia, per me quella era la mia casa, anche se un po' inospitale.

Un po', che eufemismo.

Lui annuì, poco convinto. –E sei sicura che sia solo per questo?- chiese, con sguardo indagatore.

Aggrottai la fronte. –Cosa intendi?-. Intuii cosa volesse dire solo in un secondo momento, ma in ogni caso non gliel'avrei data vinta così facilmente.

-Yael, ti conosco da quindici anni, e so quando cerchi di nascondere qualcosa-.

-Ah sì? E come?-.

Mi fece un sorriso sghembo. –Prima di tutto, fai domande per cambiare argomento e sei evasiva, come stai facendo proprio adesso- ribatté, alzando le sopracciglia –e secondo di tutto, so cosa che stai nascondendo-.

-Uhm, bravo, mio indovino- replicai, fintamente impressionata –e cosa starei nascondendo?-.

-La tua sbandata colossale per un certo uomo dai capelli neri come il carbone e gli occhi azzurri come il cielo- mi disse, facendo una vocina acuta che doveva imitare la mia, in teoria. Il fatto che lui l'avesse descritto proprio come lo descrivevo io mi faceva un po' paura, ma questa era solo l'ennesima prova che io e Lancillotto eravamo molto simili. Sfortunatamente.

-Wow, non sapevo di aver preso una sbandata per Galahad-.

-Oh che persona difficile che sei- sbuffò, passandosi una mano sul viso –parlavo di Artù!-.

Reges et equites: Kings and KnightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora