Il primo step fu quello di afferrare i miei lunghi capelli affermandoli alla mia testa con un fermaglio. Sembrava l'acconciatura spettinata di una Geisha. Qualcosa di gelido sfiorò la mia schiena facendomi sussultare. Voltando la testa il più che potevo, capii che si trattava delle dita di Kaede che avevano appena afferrato il laccio bianco del mio vestito che lasciava la schiena un po' scoperta. Con una delicatezza da far tremare l'aria, lo stirò verso di se sciogliendo il nodo centrale. La scollatura posteriore di quel vestito, aveva dei cerchietti argentati da cui passava un cordino vellutato fino a formare degli incroci. Una di quelle classiche chiusure da corsetto gotico. Infine, lasciò cadere per terra il filo. Sotto ai miei occhi.
Con le mie mani reggevo il vestito per tentare di tenerlo incollato al seno. Le catene non erano molto lunghe, ma mi permettevano di arrivare a toccare la parte anteriore e superiore del mio corpo.
«Kaede, non farlo!»
Il cuore stava per uscirmi fuori dal petto.
Le sue mani sfiorarono con leggerezza la mia schiena inducendomi ad inarcarla e procurandomi delle forti scosse di brividi.
«Spero che un giorno potrai perdonarmi.»
Nonostante si fosse impegnato a far suonare la sua voce fredda e decisa, riuscii comunque a scorgere in essa il dispiacere. Era spezzata.
«Solo se ti fermi adesso.»
L'aria che fluiva nel mio sangue, iniziò a ridursi sempre di più in preda al panico. Non mi bastava più. E anche se respirare è un'operazione che il nostro corpo compie in maniera autonoma, in quel momento divenne manuale, trasformandosi nella cosa più difficile al mondo da fare.
«Non posso andare contro la volontà di Takuma, ma tu puoi ribellarti! Devi soltanto tenere gli occhi aperti mentre ti inciderò.»
Trovare un senso in ciò che diceva, risultò troppo difficile alla mia mente offuscata e agitata per ciò che mi stava accadendo. Persi la capacità di concentrazione in grado di codificare il suo messaggio.
La punta di qualcosa di rigido e fresco iniziò a strisciare lungo la mia colonna vertebrale, il mio cervello lo visualizzo come un pennello. Stava probabilmente disegnando prima di incidere l'indelebile.
Ero sempre stata combattuta nel fare un tatuaggio, perché non avevo ancora superato la paura del per sempre. Un tatuaggio è per sempre si dice.
Uno yakuza era solito portare con vanto le proprie opere d'arte corporee ambulanti, facendosi riconoscere persino dalle pietre. E fu a causa di questo motivo, che molte cose nella società giapponese cambiarono: gli irezumi vennero associati alla criminalità, non furono più ben visti, o meglio... chi li indossava. Una lunga serie di luoghi vietò l'accesso a chiunque avesse inciso del pigmento di colore sulla propria pelle. Tutto questo era ancora valido e ciò stava a significare che qualora un giorno avessi deciso di viaggiare lì, sarei stata riconosciuta come qualcosa che in realtà non ero. In termini brevi, era una condanna a vita.
Sarei diventata esternamente qualcuno che non volevo essere. Come un vestito che non mi apparteneva. Ma un irezumi era anche peggio e più doloroso. La sua tecnica era differente da quella di un tatuaggio occidentale fatto con le macchine automatiche ad inchiostro. L'irezumi veniva eseguito a mano con dei movimenti ritmici che inducevano gli aghi a penetrarti la pelle. Non fui certa di quanto tempo impiegò Kaede nel disegnarmi quello che sarebbe stato il mio irezumi, anche i minuti mi sembrarono ore. Ma la sua mano andava veloce e diretta. Ciò mi fece pensare che il tempo che Takuma gli aveva concesso non era molto, e che Kaede fosse davvero bravo nel suo lavoro.
Il momento dell'incisione arrivò.
Il primo colpo di ago, fu veloce quanto intenso. E presto arrivò anche il secondo, ed il terzo, ed il quarto, ed una serie infinita ad una velocità irrefrenabile. Ad ogni colpo, una lacrima. La gola bruciava e non smetteva di urlare.
«Per favore, fermati!!»
Lacrime spaventate ed esauste scendevano senza timidezza fuori dagli occhi.
«Ciò che è iniziato, non può essere interrotto.»
Non mi concesse una pausa nemmeno mentre mi parlò.
Ma aveva ragione. Il danno ormai era fatto. Anche se si fosse fermato, lasciare la sua opera incompleta avrebbe avuto un risultato peggiore.
Ero stremata. Incapace di accettare quel marchio su di me. Le miriade di lacrime che versai, furono il doppio di tutte le lacrime piante durante gli anni della mia vita. Avevo desiderato quella libertà tremendamente tanto, da rimpiangerla tutta in una volta.
Nella mia testa riversai tutta la rabbia nell'immagine di un volto. Dov'era Dimitri? Colui che si vantava di riuscirmi a trovare anche ad occhi chiusi, adesso dov'era? Colui che non faceva altro che rivendicare il suo potere su di me, colui al di sopra di tutto e tutti. No, non glielo avrei mai perdonato. E per quanto io lo odiai, avrei anche tanto voluto che lui fosse lì, lo desiderai maledettamente tanto. Anche a costo di tornare ad essere una sua "proprietà". Tutto, al posto di quella condanna. Di quella tortura.
Ma invece, lui non c'era. Non c'era nessuno a salvarmi.
Pensai che se avessi accettato prima il mio destino forzato con Dimitri, non sarei finita con un irezumi sulla schiena.
I miei occhi si chiusero per lo sconforto. Gli aghi sembravano pungere il mio cuore, più che la mia pelle.
«Occhi aperti ho detto!!»
Il rimprovero di Kaede era disumano. Con tutta la forza che avevo feci come mi disse, stringendo i denti e continuando il mio pianto.
Mi concentrai come se stessi costruendo un puzzle nel bel mezzo di quella tortura. Cosa voleva che vedessi?
«Kaede, perché torturarmi così? Non ti basta quello che mi stai facendo?»
Tenere gli occhi aperti richiedeva una grande energia per me in quelle condizioni.
Abbassai di nuovo la testa cedendo alla stanchezza, ma la mano di Kaede afferrò i miei capelli e con una forza infuriata la sollevò di nuovo.
«Non limitarti a guardare, sforzati anche di vedere!»
Si fermò un'istante per farmi entrare forte e chiaro le sue parole dette a denti stretti vicino il mio orecchio.
Aprii gli occhi e guardai davanti a me, così come mi era stato consigliato innumerevoli volte da lui.
E vidii.
In realtà qualcuno aveva cercato di salvarmi dall'inizio.
Non dall'irezumi. Quello era un sacrificio che avrei dovuto sopportare per ottenere qualcosa di più grande.
La mia salvezza era lì.
Lei era lì, di fronte a me.
Dopo aver realizzato, i singhiozzi si fecero più forti, ma le lacrime non volevano uscire più. Mi ero prosciugata. Disidratata.
Appesa ad un muro, ciò che mi avrebbe salvata da Takuma aveva assistito taciturna a tutta la mia sofferenza, e mi stava fissando.
Era una Katana.
Non mi ero mai immaginata con in mano un'arma che avrebbe potuto tagliare di netto persino un proiettile sparato con un'arma da fuoco.
L'idea che avrei sporcato la mia anima, mi trafisse ancor di più. Io non ero quella persona. Mi sarei fatta uccidere, piuttosto che uccidere.
Ma qualcosa dentro di me cambiò. E accadde nel momento stesso in cui gli aghi di Kaede iniziarono a tracciare le linee della sua opera, disegnando anche una nuova persona.
La rabbia, la delusione, il dolore, la sofferenza, mi cambiarono gli occhi. La cattiveria nacque in risposta al nemico.
«Non sarebbe stato così doloroso se avessi avuto più tempo.»
Dopo ore ed ore di quella tortura, gli aghi smisero finalmente di battere sulla mia pelle dandomi tregua e mettendo un punto ad un lavoro che sarebbe dovuto durare diverse sedute, e non un giorno soltanto.
«Ora sai cosa fare!»
Le parole di Kaede si riferirono alla Katana e ai pensieri diabolici su cui fantasticai durante quella sessione.
«Perché tu non lo hai mai fatto?»
Occhi lucidi che erano i miei brillarono sfiniti di curiosità.
«Questa è la tua guerra, non la mia. Io non vivo qui. Perché mettermi in casini in cui non c'entro?»
Non potevo biasimarlo. Perché perdere la vita per qualcuno che aveva appena incontrato?
Quel ruolo spettava a me.
«Cos'è?»
Flettendo la schiena cercai di fare arrivare lo sguardo sulla parte appena marchiata, ma fallii.
«È uno Ryū. Ed è rosso.»
Non avrebbe potuto renderlo più evidente.
«Chi ha scelto il colore?»
I miei polsi e le mie caviglie vennero liberate dall'Horishi. Sfiorai la parte arrossata e violacea di uno dei miei polsi, ma era troppo dolorante ed un piccolo urlo uscì dalla mia bocca.
«Chi altri se non me?»
Takuma fece ingresso nella stanza sorprendendo me e Kaede durante la nostra conversazione.
La prima cosa che scatenò in me fu un nodo stretto alla gola.
«Credevi che mi sarei lasciato sfuggire un dettaglio importante come questo?»
Il suo passo avanzò verso di noi, di conseguenza strinsi di più a me il corsetto del mio abito cercando di coprirmi il più possibile. Afferrai il laccio che Kaede aveva lasciato cadere per terra, ma era troppo difficile riuscirci da sola ed in una situazione dove iniziarono a tremarmi anche le braccia. Kaede capii le mie intenzioni e nonostante non ne fosse esperto, cercò di rimettere i lacci al proprio posto più in fretta che poteva. Ma venne spinto via da Takuma con un cenno di mano, sostituendolo in ciò che stava facendo. Mentre stringeva i lacci con una forza non indifferente e non necessaria, si divertiva a provocarmi un sussulto per ogni volta che li incrociava, sfregandoli automaticamente sulla pelle che bruciava ancora e che non aveva smesso di sanguinare in alcune zone. Al contempo iniziò a spiegarmi cosa mi avesse appena fatto.
«Un irezumi come quello, non è per tutti. Il rosso su una donna, simboleggia la sua sensualità... la sessualità. Il dragone, come ti ho già detto, esprime il potere.
Quando Dimitri vedrà il tuo fantastico Ryū, capirà! Voglio vedere i suoi occhi bruciarti addosso alla vista del tuo drago.»
Potere, sessualità, era questo il messaggio che voleva recapitare a Dimitri? Il suo potere su di me, su di tutto. La purezza che mi apparteneva, che Dimitri ambiva, rubata da Takuma. Quando invece non era vero. Si era preso solo un quarto di essa. Anche se molto presto si sarebbe preso anche la metà, perché quello che avevo in mente di fare, avrebbe macchiato di rosso la mia coscienza.
«E adesso completiamo l'opera!»
Con uno schiocco di dita, richiamò a se l'attenzione di due donne che lo avevano seguito e che se ne stavano in silenzio davanti la porta.
«Sayuri!»
La personcina che stava a sinistra inchiodò immediatamente il suo sguardo al pavimento e scosse la testa in segno di acconsentimento.
Con passi poco estesi ma rapidi si diresse verso di me sfiorandomi il braccio con la sua mano destra, mentre con il suo braccio sinistro mi invitò a seguirla da qualche parte. Sarei voluta andare ovunque ma non nella stessa stanza con Takuma, per cui non obiettai e la seguii fuori.
Mentre andavo via la domanda se avessi rivisto Kaede sfilò nella mia mente. Non seppi cosa provare per quel ragazzo. Sapevo che l'irezumi che mi aveva inciso era stata una decisione irremovibile di Takuma e non sua, ma dall'altra parte le mani che lo crearono furono quelle di Kaede. Questo mi bloccava nel provare della simpatia verso quella persona. Per il resto, mi aveva trattata gentilmente ed ogni gesto erano come delle scuse per qualcosa che aveva fatto di imperdonabile. Chissà, se lo avrei perdonato un giorno... come mi aveva chiesto.
La piccola donna agì su di me senza il mio consenso, inducendo le sue mani a spogliarmi. Ero stufa di non avere più il controllo di nulla, soprattutto di me stessa. Per quanto carina potesse essere, la rabbia mi fece agire d'istinto afferrandole il polso e lanciandole uno sguardo omicida che domandava cosa stesse facendo.
I suoi occhi si spalancarono e la sua gola ingoiò la paura della mia mossa scaturendo in lei un uggiolio. Non avevo mai trasmesso così tanto timore a qualcuno, quella donna doveva essere stata traumatizzata precedentemente da qualcosa, o molto più probabilmente da qualcuno.
Tanto che non ebbe la forza di dire nulla, voltò semplicemente la testa alle sue spalle e mi mostrò una vasca rotonda di legno Hinoki, cipresso giapponese, con dei petali di rose rosse che galleggiavano sulla sua acqua cristallina.
«Ofuro.»
Una parola giapponese uscì dalle sue labbra rosee, e per il modo in cui le sue mani indicarono vivacemente la vasca, intuii che volesse parlarmi di un bagno.
Del fumo fuoriusciva dall'acqua. Ebbi un po' timore prima di immergermici. Dopo aver salito i suoi gradini di legno, scivolai il mio corpo all'interno della vasca. Avevo lasciato che la donna mi togliesse i vestiti. Al di fuori di mia madre, non avevo permesso a nessuno mai di vedermi come madre natura mi aveva creata. Ma quella volta, non mi importò. Volevo fare un semplice bagno caldo, ed io di semplicità ne avevo bisogno.
I capelli vennero sciolti e lavati anch'essi. Lo sguardo era perso nel vuoto mentre l'altra donna di cui non sapevo il nome, riempiva un recipiente con manico d'acqua della vasca e me lo versava sulle spalle. La schiena bruciava. Come se quei petali di rose vellutate fossero anche spine.
Ma Dimitri... dov'era? La stessa domanda di prima mi tormentò per tutta la durata di quel bagno che doveva essere rilassante.
«Siete così bella. Adesso capisco perché il mio signore vi favorisce.»
Ciò che doveva essere un complimento per quella donna, fu invece come una frecciatina velenosa per me. Come se la bellezza mi avesse portato fortuna. Come se l'essere gradita dal suo signore fosse la cosa a cui di più ambiva nella sua vita. Il peggio dell'essere schiavizzata era proprio questo. Nel cercare delle lodi da parte di chi ti rendeva la vita un inferno.
«Non ditelo mai più!»
La furia fu più efficace dell'acqua bollente nel riscaldare il mio sangue. La donna non voleva essere cattiva, ed io lo capii dopo aver terminato il mio bagno uscendo dalla vasca.
«Indossate questa.»
Del tessuto raffinato rosso pendeva dalle sue dita. Dopo averlo indossato ed allacciato alla vita, osservai il mio riflesso allo specchio e vidi che era un lungo kimono di seta.
La stoffa fresca diede un lieve sollievo al mio irezumi.
«Per favore, seguitemi nella camera del mio signore. Lui la sta aspettando.»
La piccola donna propose la sua richiesta ed io giurai di aver sentito nella mia testa una canzone al culmine dell'horror.
STAI LEGGENDO
REDAMANCY
Romance"Ho sempre protetto quella cosa che mi apparteneva fin dal principio, così pura e trasparente come un cristallo di neve in inverno. Ma non avrei mai augurato alla futura me stessa, che un giorno quel candore innocente e leale, si sarebbe macchiato d...