Fummo di ritorno prima che il buio invadesse il giorno. Con il sangue che non si fermava, mi accorsi che il mio corpo iniziò a perdere forza lentamente, ma feci di tutto pur di resistere questa volta senza lasciarmi andare. Prima di salire in auto, Dimitri strappò della stoffa dalla sua camicia e l'avvolse attorno alla mia ferita stringendo forte il nodo. Come immaginavo, mi provocò del dolore indescrivibile che sfogai in un verso. Poggiai la testa sul suo petto per cercare un po' di sollievo, che secondo la logica del mio cervello avrei trovato, ma mi ricomposi subito dopo.
Una volta arrivati a casa, Dimitri mi obbligò a sedermi sopra un tavolo per farmi curare dal suo medico personale che lo aveva ovviamente seguito ad Aspen. Lui se ne stava poggiato sul divano davanti al focolare, ad osservare il dottore disinfettarmi la ferita. Ad ogni sussulto, un'occhiata omicida lasciava gli occhi di Dimitri scagliandosi contro il dottore. Anche un piccolo taglio da curare, si sarebbe trasformato in una seria operazione per quell'uomo a causa dello sguardo controllore del boss. Rivoli di sudore avevano bagnato il suo volto per l'impegno messo nel farmi sobbalzare il meno possibile. Come se stesse costruendo un castello di carta.
Davvero non capivo perché si ostinava a prendersi cura di me anche dopo aver ucciso Takuma.
L'uomo che mi aveva gentilmente medicata fasciandomi la zona con alcune garze, andò via con il cuore in gola dopo aver terminato il suo lavoro.
Io rimasi ancora qualche minuto seduta lì, a contemplare sopra ad un unico pensiero, accecata da esso: ho ucciso un uomo.
«Grazie.»
Ringraziai Dimitri freddamente per avermi fatta curare e anche per aver rovinato la sua camicia per me. Ne aveva così tante che probabilmente, nemmeno ci fece caso.
«Non c'è di che.»
Il suo gomito era adagiato su un cuscino e con la mano reggeva il suo viso giocando con le labbra. Mi guardava intensamente, come se morisse dalla voglia di chiedermi qualcosa. Per questo motivo decisi di sgombrare velocemente da lì.
«Resta comunque il fatto che io non ho più niente da fare qui!»
Poggiai i piedi per terra accusando un lieve giramento di testa per essere stata sospesa troppo a lungo. Non seppi dove andare, ma iniziai col dirigermi lontano da lui.
«Ci sono tante cose da fare ancora, Crystal.»
Ero nel superarlo, ma afferrò il mio polso facendomi atterrare sul divano trasportata dalla sua forza, o peggio.. su di lui.
«Non puoi tenermi solo perché mi vuoi! Devi fare distinzione tra gli oggetti e le persone. Ti comporti come un bambino!»
La sua mano sul mio fianco, l'altra che teneva unite entrambe le mie gambe senza lasciarmi alzare dopo vari tentativi falliti. Stava avendo accesso a troppe zone del mio corpo, mi maneggiava senza il minimo sforzo con la stessa naturalezza di una bambola.
«O mi comporto come un uomo a cui nessuno può dire di no.»
Era tranquillo, sereno. Riuscivi a vedere perfettamente che un grande peso era stato tolto dalla sua mente. Adesso sorrideva, era tornato a giocare.
«Credevi fosse così, finché non hai conosciuto Crystal. Adesso toglimi le mani di dosso!»
Più il tempo passava con la sua pelle che adulava la mia, più il mio sistema nervoso perdeva il controllo. Era come se avessi il diavolo in persona a tentarmi. Diventava troppo difficile non cedergli.
La sua amata pistola era poggiata come se fosse un souvenir sul tavolino basso che avevo accanto. Mi s'illuminò la vista credendo di aver trovato la soluzione per riacquistare la mia libertà fisica, nonché limitata al contempo.
Agii velocemente slanciandomi un po' per prenderla.
«Sta meglio addosso a te che a me!»
La puntai nella zona dove il suo cuore palpitava più forte. Sperai si ricordasse di quando fu lui a mettermi a contatto stretto con la sua "bambina".
«Mmm, sbagli bersaglio.»
Ricordava eccome. La storia si ripeteva, ma al contrario.
«Quello lo hai già preso.»
Il suo cuore. Era del suo cuore che stava parlando. La sua espressione si era fatta più seria.
«Tu non hai un cuore.»
E di quel mio momento di debolezza, lui ne approfittò sequestrandomi l'arma. Fu così svelto, che i miei riflessi non funzionarono.
«Dici? Però ho qualcos'altro che potrebbe piacerti.»
Dal sentimentale, balzava a contenuti di un altro rating mordendosi il labbro inferiore con i denti.
Alzai gli occhi al cielo e con essi anche il mio corpo da Dimitri che stranamente, si decise a lasciare andare. Ma non per molto.
Il calore di una presenza si avvicinò alle mie spalle, voltandomi con disinvoltura e alzandomi per i glutei. Mi inchiodò nuovamente al tavolo, intrufolandosi nello spazio che le mie gambe semiaperte lasciavano. Con il vuoto sotto ai piedi.
«Tu...»
Mi guardava cercando di leggere infondo ai miei pensieri, mentre io ascoltavo curiosa il suo silenzio.
Inarcai un sopracciglio ad ala di gabbiano, non arrivando a recepire a quale ipotesi stesse alludendo.
«Io?»
Lo incitai a continuare e così fece. Il suo sguardo scese lungo il mio corpo e poi risalì.
Era lampante. Stava pensando a quello! Vidi un uomo insicuro della persona che aveva davanti, essere dubbioso di un rapporto mai esistito tra me e lo yakuza. A quanto pare continuava ad intralciare nonostante non fosse più tra noi. Le mie pupille si dilatarono, affrettandomi a rassicurare il suo ego che non c'era stato niente di quello che gli aveva fatto pensare. Ma mi fermai. Perché dovevo farlo? Sfruttai invece il momento per testare una reazione che ero sempre stata curiosa di scoprire.
«E se così fosse?»
Strizzai leggermente le palpebre ammiccando un sorriso.
Se avessi perso la mia illibatezza con quello che era stato il nemico di tutta la sua esistenza finora, come l'avrebbe presa? Mi venne il freddo addosso al ricordo di cosa aveva fatto in principio per accertarsi che fossi ancora pura per come lui voleva.
La sua stretta ferrea si allacciò attorno alla mia mandibola rendendola più vicina alla sua.
«Non scherzare con me!»
Touché. Con i denti stretti, cercò di porre un limite alla sua rabbia. Una luce nuova, diversa, sfociò dentro le sue iridi. Come se il tempo si fosse fermato. Era quasi assurdo da pensare che quella fosse paura.
«Infondo sono solo una sgualdrina!»
Sapevo bene, molto bene, che Dimitri non pensava questo di me e che lo aveva detto solo per reggere le sue battute contro Takuma. Se fossi stata una poco di buono, non avrei potuto vedere nemmeno le sue scarpe. Ma avevo comunque voglia di farlo spazientire un po'. La sua mano tornò a reggersi sul legno come l'altra.
«Non osare dare della puttana alla mia donna!»
Persi il conto dei brividi che mi assalirono impetuosamente senza preavviso.
«La tua donna?»
Di nuovo, la mia voce era un soffio di vento. Con il viso cercava di intimidirmi, raggiungendomi ogni volta un centimetro di più.
«Esatto. Tu sei la mia donna.»
Mosse la testa indicando me per accertarsi di farmi arrivare per bene il concetto.
«E da quando io sarei la tua donna?»
Perdermi dentro ai suoi occhi vitrei, mentre accendevo quel fiammifero proibito che ci avrebbe consumato.
Avrei voluto prendere il filamento di quel momento, trasformandolo in un ricordo e ripeterlo, riviverlo in eterno.
«Probabilmente da prima che nascessi eri già destinata a quest'uomo.»
La sua fronte si poggiò definitivamente sulla mia.
Sentirlo parlare in terza persona, ebbe un effetto strano su di me. Ne rimasi ammaliata. Ma ciò che mise in subbuglio il mio essere e il tempo, fu quella parola.
Destinata.
Impietrita di fronte al fatto certo che quella persona incapace di distinguere la possibilità di avere, tra il volere ed il potere, mi avesse appena parlato del destino.
Un petalo di Sakura cadde tra i miei pensieri, riconducendomi a quella mattina di primavera dove la mia sorte ebbe inizio. Fu un breve intenso viaggio mentale, che diede un senso a tutto ed un senso a niente. Dipendeva dalle mie credenze.
«La prima volta che ti ho incontrato, sapevo che nel momento in cui mi sarei seduta su quella sedia rossa, non avrei ottenuto niente di positivo. Ma l'ho fatto!»
Quel bisogno incessante di cambiamento e di sentirmi viva di quei giorni anche a costo di rischiare, mi fece trovare un punto in comune con Dimitri. E non era giustificabile con un "non avevo scelta, era un ordine". Perché una scelta, c'è sempre.
«È proprio per questo che sei la donna mia. Perché stavi cercando me.»
Non sapevo esattamente cosa cercassi, ma lui era di sicuro un cambiamento bello e grande.
«Sai, in realtà penso che non abbia più importanza se dovevo sposarti per essere chi sono adesso.»
Quella si preannunciò essere una confessione che avrebbe dato una svolta a quel seguito nebuloso.
Di fatto, la colpa più grande che avevo da sempre addossato a Dimitri, era in realtà di suo padre. Non avevo fatto altro che condannare lui dall'inizio per un sentimento simile all'odio nell'essersi preso la mia libertà. Avevo assistito personalmente alla dichiarazione di quei patti al Black Moon, quando lo costrinse a trovarsi una compagna o non lo avrebbe sostenuto contro la Yakuza. Non lo aveva comunque fatto. Ma io servii ugualmente a qualcosa di fondamentale in questa storia.
«Eri qui per il volere di mio padre, ma le cose sono cambiate.»
I suoi palmi caldi afferrarono con determinazione la parte inferiore delle mie cosce, incastrando il mio corpo al suo come l'ultimo tassello di un puzzle.
«Perché adesso ti voglio io!»
Morii dentro, serrando un po' le labbra che quasi sfioravano le sue.
Il modo sensualmente unico in cui professò il suo volere, il suo cuore forse, mi fece vibrare l'anima iniziando a martellarmi in testa. Ma non si fermò ed il suo volere non fu capace di darmi tregua.
«Proprio come tu vuoi me.»
Aggiunse questa sua certezza accennando una piccola traccia di dubbio. Probabilmente ne era al corrente più lui che io.
Perché io vivevo nella confusione mentale da quando ero venuta al mondo.
«No, non è così...»
Distolsi lo sguardo e abbassai la testa rifiutando di partecipare a ciò che ero certa sarebbe accaduto di lì a poco, ma mi prese il mento tra le dita e mi costrinse ad affrontarlo.
«E allora dimmi, perché le tue labbra tremano ogni volta che ti sfioro...»
Stava succedendo anche in quel momento. Sussurrava mentre leggeva le mie pagine. Non sopportavo il suo accorgersi di ogni dettaglio, il suo denudarmi ogni volta di tutto semplicemente guardandomi.
«Proprio perché mi disgusti.»
Menzogna. Tutto di me non stava fermo e fremeva quando le sue mani mi toccavano, perché ero disgustata non da lui, ma da me stessa. Nel provare ciò che provavo. E perché la paura del non resistergli, era troppo forte.
«Attenta a quello che dici.»
Il suo avvertimento volle avvisarmi che avrebbe testato se io stessi dicendo la verità, mentre col pollice tastava la mia bocca.
Respiravo il suo desiderio ad un millimetro dal mio, dalle mie labbra traditrici. Perché sicura che sarebbero state le prime ad essermi infedeli, accogliendo quel bacio che mi colpì come un lampo.
Anche lui aveva qualcosa in comune con Hadeon e Julius.
Non esitava.
La passione fu la padrona di quella smania che avevo da sempre repressa. Combattuta tra la tentazione e la lucidità. Ma quando le sue labbra seduttrici si toccarono con le mie, mi trasmisero completamente la brama che lo aveva tormentato, nel modo in cui lo stava facendo. Non fu un bacio spinto, le nostre lingue non si unirono nemmeno... ma le nostre anime, sì. Lasciandomi la sensazione permanente sulle labbra per tutta la notte ed il giorno seguente. Era la frenesia, il desio di accarezzarsi l'un l'altro. Come il bisogno urgente di prendere fiato, di chi riemerge fuori dalle acque più profonde dopo essere quasi annegato, di chi beve il primo sorso di una bevande dopo essersi perso in mezzo al deserto. Per tanto, non seppi il tempo che passò perdendone ogni cognizione, ma la certezza che non fu breve, quella non la persi. Dimitri non si era spinto oltre con la bocca, ma lo fece con le emozioni. Aveva toccato il centro su come prendermi. Fu una tempesta silenziosa. Un uragano delicato. Fin quando aprii gli occhi per guardarlo, ed aprii anche la mente. Con la punta delle dita toccai la sua mandibola per respingerlo. Sfiorai le labbra per tarpargli la bocca. Lo sguardo mio di chi era stata ingannata da se stessa.
«Non dovevi!»
Schiaffeggiai il mio volto mentalmente, rimproverando in realtà più me che lui.
«Sei così pura.»
Prese con sé la mia mano, liberandosi del mio tocco che era poggiato su quelle labbra tumide.
«No, non più.»
Quella parola aveva smesso di appartenermi. Mi venne portata via come un tornado che sgretola una montagna.
«Ti ho vista perdonare l'Horishi del tuo Ryū.»
Per un uomo abituato alle possibilità uniche e sole, fu come assistere ad un miracolo di Dio. Ma Dimitri doveva anche ricordarsi di avermi vista complice di un assassinio.
«Lui ne era l'artista, non l'artefice.»
Sciolsi del tutto l'errore che primeggiava e che sopprimeva la scelta dell'Horishi Kaede, discolpandolo di ogni cosa.
Sì, aveva collaborato a rovinarmi la vita, ma in un'altra occasione me la salvò.
«Allora per chi credi di aver perso la tua anima innocente?»
Dimitri non arrivava alla risposta, perché per lui avevo fatto bene così. E non c'era niente di sbagliato nel dare un verdetto finale alla vita di qualcuno.
Non mi andava più di pronunciare quel nome, osservai solo Dimitri con gli occhi rossi che parlavano da soli.
«Avevi tutte le ragioni per condannarlo anche tu, come lui ha fatto con te. Credi che non ti avrebbe uccisa?»
Gesticolava come se fosse l'avvocato difensore di qualcuno di fronte ad un processo.
«Non è così che funziona, Dimitri!»
Sarebbe stato troppo facile poter dormire sonni tranquilli la notte. Credevo che l'irezumi sarebbe stata la condanna più grande della mia vita, in realtà me ne diede un'altra ancora più grande. Ero sua prigioniera, più che di Dimitri.
«Perché adesso che non c'è più, continua ad esserci più di prima?!»
Abbracciai me stessa guardandomi alle spalle, come se ci fosse una presenza negativa che mi turbava, quando in realtà era tutto nella mia coscienza.
«Perché lo vuoi tu! Non lasciare che i suoi demoni ti tormentino.»
Era davvero così? Forse mi avrebbe fatto bene parlarne con Hadeon in una delle nostre sedute psichiatriche.
«Non lasciarti spegnere.»
La luce che vedeva Dimitri in me... era di quella che si nutriva.
«Tu finirai per spegnermi.»
Come il fuoco alimentato dal nulla, una candela accesa senza la sua cera. Un volatile dalle ali tagliate. Cos'è un umano, senza la libertà?
«Io posso solo accenderti.»
Il suo sorriso malizioso non tentennò nel rammentarmi ciò che era accaduto qualche minuto prima.
Una frase riaffiorò inaspettatamente tra i miei ricordi:
«Ma ciò non significa che non proverò a riaverti in altri modi.»
Me la rivolse il giorno in cui mi lasciò andare per la prima volta.
Non seppi cosa fosse peggio tra una confessione reale da parte sua o una falsa dichiarazione solo per giustificare la sua ossessione di dominio. In entrambi i casi, aveva una scusa per non liberarmi.
Poggiai entrambi i palmi sul suo addome e lo spinsi lontano per permettermi di scendere.
L'attenzione di entrambi fu catturata dal suo cellulare che iniziò a vibrare. Avrei voluto non essere mai arrivata in tempo a leggere il nome che si illuminò sullo schermo.
«Oh, stai arrivando?»
Lo sguardo di Dimitri si posò su di me e poi mise giù la chiamata.
«Vuole congratularsi con me.»
Avevamo finito di scherzare. Adesso si faceva sul serio.
Era suo padre.
E stava venendo a lodare le nuove conquiste del figlio.
«Te lo avevo detto che prima o poi lo avresti conosciuto. Abbiamo solo dovuto rimandare.»
Indietreggiai di colpo.
Come dimenticare tutte le lacrime versate quella volta. Ma adesso il momento era arrivato per davvero.
«Non occorre che io ci sia. È qui per te!»
Andai letteralmente in panico al pensiero di incontrare quell'uomo. Non doveva conoscermi, non ne aveva alcun motivo.
Camminai svelta verso la rampa di scale per dirigermi nella mia camera e provare disperatamente ad aprire un portale magico che mi trasportasse in Italia. Ma la sfortuna mi accompagnò imbattendomi in Levi durante la fuga.
«Fermala!»
Due catene che erano le braccia del ragazzo, mi bloccarono nel bel mezzo delle scale obbedendo al suo boss.
«Cosa stai cercando di fare?»
Doveva smetterla di rivolgersi a me con quel tono tranquillo velato di arroganza, che urtava i miei nervi in maniera squilibrata.
«Tu! Cosa fai tu?! Tutto questo non ha senso, perché mi costringi? Perché?!!»
Urlai per la frustrazione non badando alla presenza di Levi che non mollava la presa mentre mi agitavo con i nervi a fior di lacrime.
«Non te l'ho forse detto?»
Era arrivato alla mia altezza, accarezzandomi il volto con due dita.
Dirmi che voleva me, non fece altro che peggiorare le cose. Dovevo scappare da lui, fuggire dal mio cuore che lo cercava costantemente e in maniera disperata. Ma lui mi forzava ad arrendermi a quei sentimenti che stavano ingiustamente nascendo. Se solo mi avesse davvero lasciata andare..
«Bene! Allora sappi che non mi comporterò bene, non gli stringerò la mano, non abbasserò la testa. Farò finta che non esista così come fece con me quella notte. Lui non rappresenta nessuno per me!»
Un fantasma ero stata, ed un fantasma sarei rimasta per quell'uomo.
«Invece eccome se lo farai!»
Ringhiò sul mio viso le sue parole con tanta cattiveria. Non eravamo noi due quelli che qualche minuto prima fecero baciare le nostre anime in una dimensione senza confini, né tempo che scorre.
«Resta nella tua convinzione!»
Non mi arresi. La mia testa era troppo dura per non reggerlo e controbatterlo.
Fece pressione con le sue dita facendomi girare il volto, ma riuscii comunque a vedere il cenno che fece a Levi di portarmi da qualche parte. Infatti venni traslocata nella mia stanza e chiusa a chiave da fuori.
La parte peggiore di Dimitri di cui mi parlò in precedenza, stava iniziando a venir fuori, e a quanto pare non andava d'accordo con la mia.
Girovagavo avanti e indietro, sopra il letto, mi sedevo e mi rialzavo dalla poltrona, andai in qualsiasi spazio inesplorato che avevo ignorato prima in quella camera. Cercai ovunque, ma non trovai idea che appagasse una soluzione degna di esserlo. Nemmeno sul tetto bianco stimolatore di pensieri. Finii per addormentarmi per terra, sopra il grande tappeto.
«Signorina, la prego si svegli. Signorina?»
Un tocco delicato si adagiò sulla mia spalla, scuotendomi delicatamente come la voce di quella cameriera gentile.
«Deve cambiarsi di abito per l'arrivo del Signor Wang. Sarà qui tra un'ora.»
Mi sollevai di scatto restando però seduta con qualche osso che si sgranchiva da solo per il modo in cui avevo dormito. Il suono era inquietante, tanto da far credere a quella povera donna di essermi rotta qualche osso. Ma non ci badai più di tanto, avevo altro in mente!
«Caro Dimitri, te ne pentirai amaramente!»
Voleva obbligarmi all'incontro con il padre? Ed io lo avrei incontrato.
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REDAMANCY
Romance"Ho sempre protetto quella cosa che mi apparteneva fin dal principio, così pura e trasparente come un cristallo di neve in inverno. Ma non avrei mai augurato alla futura me stessa, che un giorno quel candore innocente e leale, si sarebbe macchiato d...