La tabella degli orari dei voli segnava che la prossima partenza da Busan si sarebbe diretta verso Aspen, un comune del Colorado negli Stati Uniti.
Il mio umore da braccia conserte e sopracciglio inarcato fin dietro la testa, chiedeva dei chiarimenti che tardavano ad arrivare dal ragazzo venusto di fronte a me. Dal nulla fece sbucare una pelliccia sintetica bianco ottico che ammantò su di me attorniandola alle mie spalle. Eravamo in perfetta sintonia. Anche lui indossava lo stesso vestiario, gli stessi capelli biondi, gli stessi occhi azzurro gelo. Aveva inaspettatamente stravolto il suo aspetto. Sembravamo una di quelle coppie coreane in amore, che ai primi giorni di primavera se ne vanno in giro vestendosi uguali. Su questo non avevo nulla in contrario, la trovavo una cosa abbastanza carina da fare. Ma io e Dimitri non eravamo una coppia.
Avevo lo sguardo corrucciato di chi non sapeva cosa stesse accadendo. Mi aveva meramente fatta salire sulla sua auto, per poi ritrovarmi catapultata al Gimhae International Airport di Busan. La mia roba era stata imballata e riposta all'interno del numero esagerato di cinque valigie. Erano state date in custodia alle quattro donne che si occupavano della manutenzione e lindore della reggia di Dimitri.
Ma io non possedevo nulla. Ero sicura che quei bagagli fossero stati imbottiti di tutti gli abiti che lui mi aveva comprato e che non avevo ancora avuto né il tempo e né il modo di indossarli, al di là di quelle poche volte. L'orologio puntava le 07:45 del mattino, Busan era incredibilmente fredda costringendoci a degli outfits a prova d'inverno.
«Perché siamo qui?»
Il volto di Dimitri era così genuino e limpido quella mattina, al contrario dei miei occhi arrossati ancora presi dal sonno. Lui invece, come al suo solito, brillava di luce propria con quella sua pelle diafana incline alla perfezione, l'azzurro fulgente delle sue iridi cangianti che risaltavano dannatamente bene nel suo chiarore, i suoi capelli tirati all'indietro e quelle labbra di un roseo candido che più candido non vi erano mai state prima. Soltanto la punta del suo naso e degli zigomi erano lievemente lucidi per via della temperatura polare, e ciò gli conferiva un'aria del tutto graziosa che svaniva subito dopo aver percepito la sua aura da maggiorente che se ne andava a spasso con lui. Mentre Dimitri era impegnato a non rispondermi, riflettei più attentamente sopra il look, notando con sdegno che lo aveva reinventato per adattarsi al mio. Mossa che non si addiceva affatto ad un leader della malavita, ma se mi mettevo a pensare con la sua logica, riuscivo ad intuire il motivo per cui l'avesse fatto. Quella era la prima volta che ci allontanavamo così tanto da Busan insieme. Con i nostri stili eguali la gente avrebbe inevitabilmente fantasticato che tra noi due ci fosse un legame, e qualcuno avrebbe riflettuto più volte prima di avvicinarsi a me con il tentativo di un flirt per poi ritrovarsi senza i gioielli di famiglia.
Dimitri era ossessionato da questa storia.
La possessione.
Ed ero certa che l'unico modo che potesse calmarla, era fargli sapere di aver accettato di appartenergli. Ma non era questo ciò che provavo in realtà.
Le ultime persone che stavamo aspettando arrivarono, e chi fino a quel momento aveva deciso di ignorare le mie domande, mi degnò finalmente di risposte. Aveva atteso fino alla fine per non darmi la possibilità di fare storie.
«Andiamo a fare visita al codardo!»
Un tenue sorriso giocò sulle labbra dei ragazzi che apparvero eccitati dalla questione, mentre il boss dopo la sua sentenza esiziale, continuò a reggere uno sguardo austero incamminandosi sotto il suono della voce metallica di una donna che enunciava la partenza del volo in meno di dieci minuti.
«Takuma se l'è svignata ad Aspen. Sa che la mia caccia è iniziata da un po'. Avrà avuto la prevedibile e melensa idea di battersela lontano ed attaccare non appena le acque si calmino abbastanza da farmi abbassare la guardia. Conosco bene i suoi sotterfugi, ma lui non conosce bene me!»
Io avevo già saldato il mio conto con Takuma, ma Dimitri no.
La Pitkin County era così distante. Fui costretta a posticipare il mio incontro con Shiori al mio rientro. Un velo di angoscia oscurò il mio volto, non passando inosservato a Dimitri quantunque stessimo camminando.
«Ti piacerà. C'è la neve.»
Dunque era questo il suo modo di corrompermi, la neve! La mia soffice, raffinata, bianca e splendida neve...
«Sei tremendo!»
Era complicato contenere la risata e mantenere simultaneamente un'espressione rigida.
«Ti ringrazio, ma so fare di meglio!»
Contorse la mia critica in un complimento a suo favore. Sì, per la prima volta ero d'accordo con lui, era più che tremendo.
Volammo sopra il Pacifico Settentrionale in prima classe.
Non rimasi stupita ma più soldi aveva, e più mi sentivo in difetto a respirare la sua stessa aria.
«Puoi comprare qualsiasi posto con tutti i soldi che possiedi, perché non vai a sederti nella fila chiamata "non accanto Crystal" ?»
Tra tutti i posti liberi di cui era composto quel mega-aggeggio volante, lui si era accomodato al mio fianco.
La sua presenza iniziava ad irritarmi ogni volta che si avvicinava a me. Era ormai evidente che provavo un'inconfutabile attrazione fisica nei suoi confronti. Il cuore palpitava e fremeva di più, come un metal detector che captava l'oro.
«Perché devi parlarmi.»
Sentii il mio cervello andare in stand by e riavviarsi solo quando ricordai di essere stata io la prima a chiederlo la notte antecedente alla partenza, e lui non se n'era dimenticato.
Spostai lo sguardo fuori dal finestrino sentendomi leggiadra come quelle nuvole spensierate sopra l'oceano blu, poi riflettei sul modo più conveniente per me stessa di elaborare la domanda.
«Ci hai messo tanto a trovarmi.»
Sarebbe dovuto iniziare tutto con un "perché", ma mi sentii di nasconderlo come se da esso potessi insabbiare anche la delusione. Non fui comunque appagata dalla conclusione che ottenni, si poteva scorgere un lastro di fastidio.
«Volevo lasciarti un po' libera. Non era questo ciò che desideravi?»
In effetti se solo avesse voluto, Dimitri sarebbe stato capace di trovarmi anche mezz'ora dopo la scadenza dei tre giorni che avevo a mio vantaggio. Il mio cuore ciondolò un'istante all'idea che avesse detto la verità, ma mi misi alla ricerca di altri motivi accettabili, che non trovai.
«E da quando ti importa ciò che desidero?»
Lo sguardo di lì non si mosse di un centimetro, la curiosità di vedere l'espressione di Dimitri mi stava divorando viva. Lui non aveva mai dato un vero ed equo rilievo a ciò che desideravo io, altrimenti non mi sarei trovata su quel volo.
«Perché non mi guardi quando parli?»
L'allarme rosso del mio intelletto lampeggiò inaspettatamente.
Numero uno: stava tentando di cambiare argomento.
Numero due: lo aveva notato.
Spegnere il linguaggio del corpo umano non mi aiutò a celare che c'era qualcosa che non andasse in me. Era inquietante di come si accorgeva sempre di tutto.
«Non ti hanno detto che evitare il contatto visivo è sinonimo del fatto che quella persona ti stia nascondendo qualcosa?»
Senza pensarci troppo mi voltai a guardarlo per arrestare ogni tipo di pensiero che si era sicuramente infiltrata nel suo pensatoio da psicopatico. Continuai a fissarlo statica, come la prima volta. Con il corpo da iceberg ed un vulcano al posto del cuore, in procinto di esplodere. Non potevo farci niente. Da allora, ogni volta che i nostri occhi si incrociavano, risentivo le sue mani accarezzarmi la pelle ed i suoi baci portare via con loro le mie lacrime.
«Non hai risposto alla mia domanda.»
Sfacciato com'era, non si fece scrupoli a stuzzicarmi dopo essere stato lui il primo ad aver scavalcato la mia domanda.
«Né tu hai risposto alla mia.»
Misi un punto a quel dialogo che stava prendendo una svolta che non mi piaceva per niente e volsi di nuovo gli occhi al sereno.
Il viaggiò durò quasi 18 ore, durante il quale Dimitri cambiò di posto svariate volte per andare a discutere con i ragazzi dei suoi affari. Fin quando non diede una tregua a se stesso, chiudendosi gli occhi sul sedile accanto al mio e stando ben attento a non far mai crollare la testa su di me. E no, non sperai che accadesse. Era immobile e stabile come una scultura. Come un corpo esanime. Riusciva in ogni cosa.
Il sonno in cui poi cadde fu così profondo da non riuscire a farsi svegliare nemmeno dall'avviso del pilota, che tramite gli apparecchi radiofonici impiantati nel soffitto dell'aereo, preannunciò l'arrivo all'Aspen–Pitkin County Airport in pochi minuti. Probabilmente era rimasto sveglio tutta la notte prima ad orchestrare questa folle partenza improvvisa.
«Dimitri?»
Sussurrai il suo nome solleticando il lobo del suo orecchio con il mio respiro, ma nulla.
Frattanto i ragazzi stavano raccogliendo i loro effetti personali preparandosi all'atterraggio.
«Dimitri, svegliati!»
Alzai il tono di qualche tacca da renderlo udibile a chi stava dietro, tranne che a lui. Gillean si accorse della mia difficoltà, e mi prese in giro ridendo. Di venire ad aiutarmi, non se ne parlava. Chiesi la sua collaborazione con un cenno di testa, ma in risposta sollevò le mani e le spalle al cielo voltandosi da un'altra parte. Roteai gli occhi e giurai che se Dimitri avesse dato l'ordine ai ragazzi di non interferire per nessuna ragione tra di noi, lo avrei ridotto male.
La voce non era abbastanza utile a svegliarlo dal mondo dei sogni, ma mi accorsi di avere il suo naso davanti ai miei occhi con la punta rotonda ancora luccicante. L'istinto irretì la mia ragione e decretò al mio dito di accostarsi lì vicino e pigiare delicatamente. La sommità del suo naso era fredda, liscia e tonda come un Tangyuan. E quello fu il tasto giusto per far sì che i suoi occhi si aprissero.
«È questo il tuo modo di svegliarmi?»
Con voce ancora assonnata, si grattò gli occhi e si stiracchiò su.
«Ringrazia che ti abbia svegliato!»
Era già tanto per me l'essere riuscita a sfiorarlo di mia assoluta iniziativa, se si aspettava anche il bacino del buongiorno era fuori strada.
Avere una leggera forma di claustrofobia mi fece lodare la terra non appena toccai il suolo con i miei piedi. Quel jet era molto grande, ma se fossi voluta uscire da lì mentre volavamo nel cielo come uccellini, non avrei potuto farlo in nessun modo e questo mi faceva mancare il respiro.
Tre auto nere tirate a lucido ci aspettarono fuori dall'aeroporto. Sulla prima salirono Hadeon, Daijon e Levi. La seconda, quella del mezzo, era chiaramente l'auto di Dimitri, e la terza era per Julius, Gillean e Genos. La squadra che invece si occupava del boss e di tutta la nostra roba, avrebbero preso dei furgoni appositi per il trasporto merci. Sarei voluta salirci io su uno di quelli. In tutto questo il mio posto sembrava essere sottinteso sull'auto di Dimitri. Mi stavo incamminando dietro di lui verso quello che sarebbe potuto essere un viaggio in auto imbarazzante, quando ebbi un'idea!
«Io vado con Hadeon e gli altri. Ciao.»
Una scelta veloce quanto insicura del dopo. Con le mani in tasca mi dileguai cambiando direzione. Tre secondi dopo sentii una portiera chiudersi e mi voltai a curiosare. Dimitri non aveva protestato. Non aveva detto una sola parola. La mia espressione facciale era sbigottita e perplessa. Non era delusione quella... o magari un solo po'. Salii a bordo della prima auto sul sedile destro posteriore, dove accanto era seduto Levi. I ragazzi sobbalzarono non aspettandosi minimamente la mia entrata decisa al momento.
«Quest'uomo è strano!»
La spalliera di fronte a me si rivelò essere un posto interessante dove elaborare pensieri ed ipotesi, ma gli occhi sbarrati di Levi mi distraevano. Hade al volante mi contemplava smarrito dallo specchietto centrale e Daijon era l'unico mezzo divertito e mezzo entusiasmato, con lo stesso umore di quando da bambina andavo al mare con la mia famiglia.
«Cosa ci fai tu qui?»
Hadeon era serio questa volta, vidi il grigio accanto a me guardare avanti attraverso il vetro. Capii che temessero tutti una reazione del boss a giudicare dai loro sguardi tramortiti.
«Insomma, voglio dire... ma avete visto?»
Continuai il mio discorso ignorando ciò che mi chiese il conducente del mezzo. Il mio dito era invece impegnato ad indicare più che l'auto dietro di noi, l'atteggiamento inconsueto di Dimitri.
«È stata una mia preferenza venire qui. Una mia decisione. Una mia scelta. E lui non ha detto niente, nessuna obiezione, niente di niente.»
La mia testa fu scaraventata di nuovo tra le nuvole, ma sobbalzai ridestandomi quando i tre espulsero un fiuto di sollievo fuori dalle loro bocche all'unisono, come se fossero appena scampati ad uno tsunami. O forse era davvero così.
«Crystal ci hai messo in pericolo, hai rischiato di ucciderci, stavo impazzendo davvero!!»
Per fortuna lo sfogo di Levi durò poco, dandosi pace solo dopo aver capito che era inutile continuare a vaneggiare su cosa sarebbe potuto accadere. Si stabilì così sul posto poggiandosi il gomito sul bracciolo ed il pugno sulla fronte, in seguito si lasciò chiudere le palpebre per rilassarsi.
«Saremo di nuovo in pericolo se non tieni per te i tuoi pensieri.»
Ogni parola detta da Daijon emanava quiete per quanto grave o negativo potesse essere il contenuto di quello che diceva. Pensai che era dovuto al suo modo superficiale e grazioso con cui prendeva le cose. Era quella teca di vetro contenente un lumino, come una lanterna, che faceva il suo enorme effetto in una notte buia in mezzo all'oscurità. Volevo essere come lui, probabilmente la vita era più facile. A volte mi perdevo a meditare su cosa fosse meglio e cosa fosse peggio. Essere la luce degli altri, o aver bisogno della luce degli altri. Nel primo caso, per quanto naturale possa venirti, non è sempre così semplice. Mentre nel secondo, non augurerei mai a nessuno di aver bisogno di una luce, di dipendere da essa. Piuttosto sarebbe più importante imparare a vivere anche in quel buio, a conoscerlo, a conviverci, accettarlo per poi sopravvivere e sconfiggerlo. O nel mio caso, farci amicizia. Io diventai amica del mio buio, quello che mi portavo dentro, e diverse volte mi capitò di trovarlo un luogo confortevole.
«Ho già capito tutto. Sono diventata brava a fiutare gli ordini di Dimitri.»
Le supposizioni che avevo avuto sull'aereo non erano errate. Ed io avrei malmenato Dimitri.
«Non trovate che sia una continua contraddizione?»
Hadeon girò la chiave d'accensione mettendo in funzione l'auto e ponderando sulla mia opinione dubbiosa.
«Non ci arrivi proprio, eh?»
La tenerezza spolverata sulla sua frase mi sovvertì.
«Hade, non potrebbe mai! Prova a metterti nella sua posizione.»
Anche questo detto da un altro avrebbe avuto un accenno di arroganza, ma fu una frase invasa da tanta comprensione nata dalla voce che apparteneva soltanto a Daijon. Alla fine fu il saggio al volante a darmi una risposta a 360°.
«È contraddittorio come dici tu, ma lo fa per te. Crediamo che il suo modo di assecondarti di tanto in tanto nelle cose più semplici che desideri, sia per non farti pesare troppo il tutto. Dopo quello che hai passato, non credere che non abbia alcun peso al petto.»
Concluse così il suo ragionamento. A sua insaputa Hadeon mi aveva appena risposto anche alla domanda che avevo rivolto a Dimitri quella mattina ed aggiunse la notizia che dei sensi di colpa pesavano sul cuore del boss. Ma non ebbi voglia di dire qualcosa in proposito, per cui decisi di cambiare direttamente libro.
«Bel taglio! Si addice perfettamente a ciò che non sei.»
Hade aveva un nuovo taglio di capelli, adesso erano rasati lateralmente e la parte centrale di quel biondo platino gli ricadeva all'indietro. Finalmente guardandolo avresti potuto pensare che facesse davvero parte di qualche ramo della criminalità. Il suo nuovo look era così da bad guy!! Non avevo ancora avuto il piacere di conoscere questa sfumatura di lui. Fino a quel momento mi aveva deliziato soltanto con il suo lato da amico ascoltatore e consigliere.
«Sai com'è, nuovo look nuova era.»
Hadeon mi aveva appena spoilerato l'inizio di una nuova era. Qualcosa nell'aria stava per cambiare.
«Crystal, dici così perché non lo hai mai visto incazzato. Sai, Hadeon ha un secondo nome: Dio della distruzione.»
La mia testa si inclinò prospettandosi verso colui che divenne l'argomento principale con un sorrisetto sorpreso, stuzzicata dalla curiosità che mi aveva suscitato Daijon. Alle sue parole si aggregò anche la voce di Levi nel momento in cui il nome venne fuori. L'enfasi astrale con cui elogiarono quel titolo, li fece deflagrare in una risata sonora al termine di tutto per aver avuto la medesima ispirazione.
Eppure il mio sesto senso mi diceva che infondo Hadeon sapesse il fatto suo, e forse anche più degli altri. Lui stava sempre in silenzio e diceva la sua solo quando lo riteneva opportuno. E ancora più importante, non potevo dimenticarmi di aggiungere alla lista il modo in cui il boss tenesse conto di lui. Come di quei alcuni permessi esclusivi che gli erano stati concessi. Se fino a quel momento non mi ero chiesta il motivo, adesso volevo saperlo. E sempre secondo il mio intuito, Hadeon era l'arma nascosta e prediletta del boss.
Per quella breve convivenza, sospettai qualcosa anche di Julius. Il suo atteggiamento era più vivace e battagliero rispetto a quello di Hadeon, ma Dimitri lo trattava come se fosse la sua perla preziosa. Lo viziava facendosi versare da bere solo da lui. Secondo il linguaggio della Geondal, chi riempie il bicchiere del boss è colui che ha acquisito a pieno la sua fiducia. Gli avvelenamenti erano all'ordine del giorno e per un uomo con la posizione sociale di Dimitri, anche un semplice bicchiere d'acqua poteva rivelarsi letale.
Fui taciturna per tutto il percorso in auto, al contrario dei miei pensieri che non volevano saperne di tacere. I ragazzi erano concentrati a chiacchierare e a prendersi in giro tra di loro su chi fosse il più potente. Io invece, ammiravo la neve farsi sempre più presente lungo i margini laterali di quella tangenziale. La mia mente elaborava e rielaborava ciò di cui mi aveva informata Hadeon. Cercai di trovare anche solo la via più piccola verso l'accettazione, ma come un vizio ritornavo spesso al punto di partenza. A Dimitri non interessava ciò che desideravo. A Dimitri non importava di me. Forse perché era davvero così, forse perché era ciò a cui io volevo credere.
Molte cose cambiarono nel tempo, e se prima volevo solo che lui si interessasse a me, dando un peso al mio diritto di pensiero e di parola, adesso non lo volevo più. Rischiavo di far diventare quell'interesse reciproco. Dimitri non doveva interessarsi a me, ma solo perché io non dovevo interessarmi a Dimitri.
«Siamo arrivati a destinazione. I passeggeri sono invitati gentilmente a traslocare i loro posteriori fuori dalla mia auto. Grazie per averci scelto e per esservi affidati a noi.»
Con un ringraziamento originale ed un sorriso che toccava le estremità delle sue orecchie, Daijon ci liquidò tutti fuori dalla sua macchina senza badare nemmeno al povero Cristo di Hadeon, che si era offerto di guidare per più di un'ora. Ero impressionata, ma il divertimento che ci trovai mi migliorò la giornata.
«7.721 abitanti. Astuto quel deficiente, faremo sicuramente fatica a trovarlo!»
Genos aveva appena messo i suoi piedi sopra la neve, che aveva già un tablet in mano con le statistiche di Aspen. Era sempre preparato quel ragazzo.
«No aspetta! Meno uno: 7.720. Molto presto ci sarà l'1% in più di tasso di mortalità.»
Gillean e Daijon giocavano ridendo sulla morte di Takuma ed il numero ristretto di abitanti di quel comune.
Scoprii che il sarcasmo era il loro forte.
«Adesso guai a te se pensi di allontanarti da me anche solo per andare a bere!»
Come da copione, la mia libertà vigilata era anche limitata e secondo il pensiero di Dimitri che provai ad interpretare a modo mio, quel posto non era sicuro per me. Eravamo sul territorio di Takuma adesso, lì dove aveva deciso di farsi una vacanza.
Probabilmente, l'ultima della sua vita.
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REDAMANCY
Romantik"Ho sempre protetto quella cosa che mi apparteneva fin dal principio, così pura e trasparente come un cristallo di neve in inverno. Ma non avrei mai augurato alla futura me stessa, che un giorno quel candore innocente e leale, si sarebbe macchiato d...