십일

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La corda di Juta dava la sensazione di stringersi attorno ai miei polsi più saldamente ogni volta che cercavo di dimenarmene. Sembrava il "Tranello del Diavolo", una di quelle piante magiche della saga di Harry Potter che ha la capacità di comprimere o strangolare chiunque la tocchi, e l'unico modo per uscirne vivi... è restare immobili.
Guardai intorno a me cercando di trovare qualcosa che mi potesse spiegare la mia presenza in quella stanza, ma non ricordai nulla. Ero circondata da troppo buio, ed una luce rossa soffusa al massimo.
L'unica cosa che il mio cervello era riuscito a metabolizzare, era che mi trovavo seduta su una sedia, impossibilitata ad alzarmi. Fu quasi come vivere in replay.
«Sono incantato. Sei la persona più tranquilla che io abbia mai rapito!»
Una voce maschile confuse i miei sensi non riuscendo a captarne la provenienza. Subito dopo, una presenza nera prese il controllo della mia visuale.
Ero stata rapita un'altra volta.
Rapita a casa dei ladri.
Fino a quando la settimana non terminava con una me che ne usciva vittoriosa, mi sarei sentita ancora sotto il controllo di Dimitri. Per cui ciò che stava accadendo era il colmo.
«Non è una novità per me.»
Non provai stupore nell'essere coinvolta in un sequestro di persona nuovamente, ma ero molto curiosa di scoprire chi avesse avuto tanto coraggio da sfidare il boss assoluto. Dentro di me, il pensiero che lui mi stesse cercando mi rassicurava un po' non sapendo in che mani fossi finita. Ma sapevo che tutto questo non sarebbe durato a lungo.
«Lo so bene, futura Lady Wang ... o magari no!»
Fui sconvolta nello scoprire quale sarebbe stato il mio cognome qualora avessi sposato Dimitri. Si addiceva perfettamente alla sua predominante posizione sociale. Wang significava re.
Il suono di un click sprigionò una luce calda dorata per tutta la stanza, causandomi un bruciore agli occhi per essere stati abituati al buio troppo a lungo. Lentamente riuscii a riaprirli dando una forma a ciò che mi circondava.
Era lui. Mi bastò vedere il volto di quell'uomo per far riaffiorare alla mente tutto ciò che accadde la notte precedente. Qualcosa mi aveva colpita alla testa e lui ne era il colpevole. Quella era la sua voce e stava annunciando di conoscermi.
«Come hai-»
La domanda che gli stavo per porre risultò così palese, che il suo intuito mi raggiunse prima del tempo.
«Fatto a sapere chi tu fossi? È stato così facile che non ci ho nemmeno trovato piacere! Ti ho fatta pedinare dal momento stesso in cui hai messo i piedi fuori dalla sua residenza.»
Un ghigno soddisfatto apparve sulle sue labbra. Alla luce riuscii a descriverlo meglio. La sua età sembrava coetanea a quella Dimitri.
La sua mano tatuata prese una bottiglia di vetro contenente del Whisky Yamazaki e se lo versò nel bicchiere. Alcune parti visibili del suo corpo erano marchiate da tatuaggi. E potetti riconoscere che quello era uno stile di tatuaggi, che solo un membro della mafia giapponese o per meglio dire, della Yakuza, era solito indossare. Venivano chiamati irezumi.
La persona che avevo davanti, era uno yakuza.
«Chi sei?»
Restava comunque un'incognita alle mie conoscenze. Lui sapeva chi fossi io, ma io non avevo idea di chi potesse essere lui. Probabilmente un nemico del boss?
«Io dico che ti interesserebbe di più sapere chi è lui!»
Non fece il nome della persona a cui stava facendo riferimento, ma riuscii comunque a farmi un'idea. Restai in silenzio ed in ascolto, tirando ad indovinare mentalmente che il lui di cui stava parlando era Dimitri. Al contempo, l'espressione di quello yakuza si alternava tra lo sdegno e l'eccitazione malvagia di ciò che stava per dire.
«Come lo hai conosciuto? Sono proprio curioso.»
Il mio sguardo si posò sulle pareti bordeaux damascate di quell'ambiente. Quell'uomo mi stava rubando del tempo prezioso, e la cosa mi disturbava.
«Perché non mi parli di cose interessanti?»
Riempii le mie guance di aria e continuai a guardarmi intorno, senza smettere mai di cercare anche solo un oggetto che mi potesse spiegare quale strano episodio della mia vita stessi vivendo.
«Il tuo boss, Wang Dimitri. Ha grosse intenzioni su di te. Lo sapevi?»
Non avevo mai riflettuto su quanto veloci potessero spargersi le voci.
Mi sentivo una di quelle donne anziane, sedute davanti la propria casa situata in uno dei quartieri peggiori, a spettegolare sulla vita di qualcuno. Solo che la vita in questione, era la mia.
«Non mi hai ancora detto nulla di nuovo.»
Le mie aspettative erano deluse ed annoiate. Sentirmi dire che Dimitri voleva sposarmi non era di certo una super mega news per me.
«Bene. Allora saprai anche quello che vuole da te e la ragione per cui lo vuole.»
Il punto clou della situazione, si degnò finalmente di bussare alla mia porta. La conversazione si fece improvvisamente più interessante.
Morivo pur di sapere cosa passasse per la testa del boss coreano. Lui aveva sempre divagato ogni volta che glielo avessi chiesto, facendomi pensare che ci fosse qualcosa di ancora più sconvolgente nel suo piano che mi riguardasse. Quest'ultimo dettaglio me lo aveva detto lui stesso una volta.
«Ti regalo il momento della tua vita: racconta! Non so nulla al riguardo.»
Nel frattempo la mia mente si preparava psicologicamente a tutto. Sentivo già che avrei subito qualcosa simile ad un trauma. Ma non avevo altra scelta, l'argomento mi riguardava in prima persona.
«Sai cosa succede quando due grandi potenze si ritrovano rivali per la stessa corona?»
Lo yakuza prese posizione sulla sua sedia, parlandomi con dei giri di parole che trovai irritanti ed infantili, con tanto di indovinelli come contorno. Mi sentii uno di quei bambini a cui viene spiegato dai genitori come si procrea, inventandosi una fiaba.
«Si fanno la guerra.»
Senza il minimo entusiasmo negli occhi mi sforzai di dire ciò che era sfortunatamente ovvio.
«Esatto! Peccato che il piccolo principe di Busan non sia ancora a capo di nessun impero.»
Dopo aver mimato una finta espressione triste mettendo su il labbruccio, la sua bocca si aprì gigante emettendo una risata fragorosa, mentre le sue mani continuarono a riempirsi il bicchiere per dissetarsi con quel liquore, come se fosse acqua.
«Ti è difficile non essere così vago?»
La voglia di raccontarsi di quell'uomo era tanta, quanto la voglia di allungare il succo per far crescere la suspense.
«Il suo re, è suo padre.»
Il mio cuore riprese a battere troppo rapidamente finendo quasi per strozzarmi il respiro.
«Hanno fatto un accordo. C'è qualcosa che suo padre gli ha chiesto.»
Molte cose col tempo vennero collegate alla prima volta in cui mi imbattei in Dimitri, e forse anche questa era una di quelle. La discussione animata che ebbe quella notte con il padre mi restò incisa nella memoria, nel momento in cui il capofamiglia fece schiantare il suo pugno contro il tavolo che li separava.
«Ed è qui che entri in gioco tu.»
Il corpo dello yakuza si sollevò puntando il suo dito contro di me.
Tutto di lui mutò inaspettatamente. Davanti ai miei occhi, divenne un'altra persona... ed il suo sguardo, in esso si rispecchiò qualcosa di oscuro come la brama smaniosa ed anelante di uccidere qualcuno. Ecco lo yakuza che era in lui.
«È assurdo.»
Cercai di celare il nervosismo che si stava manifestando sulle mie labbra tremanti, distogliendo lo sguardo dal suo e voltando la testa dal lato opposto.
«È qualcosa che tu potrai concedergli. E nell'istante in cui lo farai, lui prenderà il comando ed il posto di suo padre. Ecco il loro patto!»
Il fatto che tutto ciò dipendesse da me, mi metteva in un serio pericolo per il luogo in cui mi trovavo. Ero stata messa in una situazione in cui non volevo stare, e ne avrei dovuto pagare anche delle conseguenze!
Lo yakuza mosse il suo corpo dietro le mie spalle. Il suono di una lama affilata sfiorò il mio udito.
«E lui farà di tutto per farmi arretrare. Ma questo non posso permetterglielo!»
Il respiro dell'uomo venne a contatto con il mio collo sussurrandomi le sue intenzioni.
«Arretrarti da cosa? Tu sei uno yakuza, cosa c'entri con la Geondal?»
I fili di questa storia erano troppo intrecciati per essere sciolti in una sola volta. Iniziai a tergiversare, se mi toccava morire lì c'erano prima un paio di cose che avrei voluto sapere.
«Te lo dirò, ma intanto voglio metterti alla prova. Voglio capire cosa di te lo ha rapito. Perché sai, in realtà prima che tu venissi rapita da lui, è stato lui ad essere stato rapito da te.»
Non ebbi il tempo di elaborare una sua possibile mossa, che i miei polsi vennero liberati. Un taglio netto e la corda venne spezzata. Quella lama doveva essere davvero affilata. I miei polsi si tinsero di rosso per la forte pressione che avevano subito.
«Hai una storia da terminare!»
Avevo davvero pensato che la mia ora fosse arrivata. Risultò così complicato estrarre informazioni da lui, non mi aveva ancora detto cosa avessi io di così prezioso da poter dare a Dimitri in modo da favorire la sua ascesa al potere.
«Sei così impaziente! Allora te lo rivelerò senza mezzi termini.»
Il momento era arrivato. Non temevo più nulla, volevo sapere e basta. Bloccai persino il mio respiro, come se il solo suono potesse impedirmi di ascoltare limpidamente.
«Prima di morire, il padre vuole assicurarsi che il nome della sua famiglia continui a persistere a capo della Geondal. E quindi, essendo Dimitri il suo unico figlio, beh tocca a lui...»
I miei bulbi oculari si sgranarono, arrivando alla risposta ancor prima che uscisse fuori dalle sue labbra.
«Vuole un'erede.»
Tentai invano di proferir parola ma la mia voce si spense dentro le mie corde vocali, fu infatti lo yakuza a terminare il suo discorso ad alta voce, leggendomi la mente.
Ecco cosa voleva Dimitri da me.
Un bambino.
Non avevo nemmeno ancora avuto la possibilità di pensare a cosa farne della mia vita, e presto avrei dovuto mettere al mondo un figlio creato dalla mafia.
In tal modo, esaudita la richiesta di suo padre, lui avrebbe passato il potere a Dimitri, e... e c'era ancora qualcosa che non tornava.
Perché non aspettare? Dimitri risultava troppo esigente. Mancava ancora un pezzo del puzzle.
«Quindi è per questo che mi hai rapita? In questo modo pensi che Dimitri non possa procreare?»
Le mie gambe erano momentaneamente instabili per concedermi di alzarmi da quella sedia, mi sarei presa altro tempo.
«Se non hai la chiave, come pensi di accendere la tua Lamborghini?»
La sua lingua guizzò in accordo con ciò che aveva appena detto.
«Dai fili d'accensione!! Il mare è pieno di pesci. Credi che sia così difficile per lui trovare un'altra donna da ingravidare?»
Presi una posizione conserta incrociando le braccia, sentendomi di fronte ad un ragionamento limitato.
Rivoli di sudore colavano dalla mia anima.
«Eh no, è qui che ti sbagli! A quanto pare non lo conosci bene nemmeno tu. Sei una delusione come futura moglie.»
Ero completamente in disaccordo sull'essere la futura moglie di Dimitri, ma nonostante ciò mi sentii turbata dalle sue parole.
«Non sono interessata ai tuoi commenti irrilevanti!»
Quell'essere lì davanti a me, avrebbe potuto uccidermi nel peggiore dei modi da un momento all'altro. Bastava guardarlo negli occhi per leggere che era un figlio del diavolo. Ma la mia arroganza, che prendeva il comando del tutto autonoma e dissociata dalle mie intenzioni, non era altro che una maschera per acquattare la paura che stessi provando, mettendomi a rischio senza pensarci due volte.
«Quando Dimitri fa una scelta, la fa accuratamente, ed in maniera molto selettiva. E quando la fa, niente e nessuno potrà più dissuaderlo da essa. Sei molto preziosa per lui, più di quanto tu possa immaginare. E ciò ti rende preziosa anche per me!»
Non ero mai stata così contesa da qualcuno. La cosa avrebbe potuto rendermi contenta, ma non quando i due contendenti del tema sarebbero stati due boss di mafia.
«Non mi hai ancora detto chi sei.»
Nell'attesa riflettei di quanto io per lui rappresentassi un ostacolo abbastanza prominente, ma non mi aveva ancora uccisa... il che mi fece più paura.
«Mio padre era dell'arcipelago Ryūkyū, Okinawa. Mentre mia madre è del Suwon. Ciò mi permette di estendere i miei affari dal Giappone fino alla Corea del Sud. Mai sentito parlare di Toa-kai? Yamaguchi-gumi?»
Ci misi un po' di tempo a capire com'era composta la struttura piramidale della Yakuza o Gokudō quando scherzando me ne parlò Shiori. La sua vasta conoscenza al riguardo proveniva dalla sua origine giapponese, presa da sua madre nata ad Honshu. Non sapevo che un giorno mi sarebbe stato tanto utile.
Il tutto risultava complesso ed inaccettabile alla ragione umana.
A capo della famiglia chiamata "Ikka" ci stava l'Oyabun: il padre, il leader. Poi venivano i Kobun, ovvero i "figli" che dovevano obbedienza, fedeltà e rispetto.
Ma la Ikka non era quel tipo di famiglia in cui vi era presente un padre ed una madre con dei legami di sangue. La Ikka era quel tipo di famiglia in cui l'unico legame che avevi, era con la Yakuza. Dove il tuo unico padre, il tuo unico Dio, era il tuo Oyabun, che eri tenuto a servire con pietà filiale, anche a costo di perdere la tua vera famiglia. Ed era dovere di un Kobun, convivere con questa parentela per tutta la vita.
«E tu sei stato un kobun?»
Per un Oyabun il proprio passato non era mai una storia piacevole da poter raccontare, spesso irritava il diretto interessato.
«E tu sei così informata! Sì, lo ero.»
La sua aria si irrigidì per tre volte di più. Ma fu l'unica risposta che ottenni. Mi aspettavo il peggio. Ciò mi confermò che non aveva intenzione di uccidermi. Mi avrebbe usata a suo a vantaggio anche lui.
«Ed il tuo Kumicho?»
Il boss dei boss, un'altra variante di Oyabun. Quella era una domanda a trabocchetto per scoprire quale strada aveva percorso per trovarsi sulla punta della piramide sociale della Yakuza.
«Il mio Kumicho?»
La stanza fu riempita da un'unica risata astiosa che era la sua. Le sue labbra si allargarono mostrandomi il suo canino placcato in oro.
«Adesso giace negli inferi e fa il gioco del Samurai con Satana! Il mio Kumicho, sono io. La mia Ikka sta in questa mano, nella stessa mano in cui tengo la Yakuza e la Geondal. Sono io l'ago della bilancia. C'è solo un piccolo inconveniente!»
La sua mani gesticolava lentamente, aprendosi e chiudendosi per rendere più spiccato il concetto di suo. Fu chiaro, chiaro come il cielo della campagna Italiana in cui ero nata.
Il suo Kumicho era morto per mano sua. Una mano che aveva probabilmente impugnato una Katana. L'arma letale in grado di strappare l'onore e la vita di un uomo con la sua lama curva e tagliente, decapitandolo.
«Non credo che tu sia l'unico a reggere la Geondal.»
Con un lampo gelido negli occhi, accentuai di quanto fosse ambiguo che un piccolo inconveniente potesse impedirgli di affermarsi Kumicho.
«Prima o poi il tuo principino capirà che il suo posto è tra i Wakashu.»
E infine a quella struttura verticale, c'erano i Wakashu. Ragazzini durante la fase adolescenziale che svolgevano i compiti che gli venivano assegnati dal proprio Oyabun, senza esitazione. I soldatini del capo.
«E questo chi lo dice?»
Insistetti per trarre fuori il suo nome.
«Il mio nome è Takuma. Takuma Hayashi.»
Quel nome! Era passato un bel po' di tempo da quando lo avevo sentito nominare per la prima volta da Dimitri. Ero a casa del suo nemico.
«A Dimitri interessa tenere la bilancia con la Yakuza dentro?»
Pochi istanti dopo aver posto la mia curiosità, alcuni ragazzi dall'aspetto altrettanto prevaricante entrarono nella stanza con un'aria mezza divertita sui volti. Le loro giacche di pelle nera sembravano delle divise da lavoro, apparivano tutte così uguali!
«No, al tuo padroncino non interessano i fardelli della Gokudō. Ma non gli sta bene il fatto che mi "impiccio", come dice lui, negli affari che riguardano la Geondal.»
Quindi secondo il punto di vista di Dimitri, Takuma avrebbe dovuto astenersi soltanto alla Yakuza.
Avrebbe voluto mantenere un equilibrio. Così come fece il guru della mafia giapponese nel 20° secolo, che fu l'unico in grado di stabilire una tregua tra la Toa-kai e la Yamaguchi-gumi. Ma Takuma no, Takuma voleva tutto. E l'unico modo che avesse Dimitri per fermarlo, era dare un nipote al padre in modo da ottenere il potere ed essere finalmente allo stesso livello dello yakuza.
Sarebbe stata una storia convincente, se non fosse stata ancora incompleta.
Riassumendo, il padre di Dimitri era determinato nell'avere un'erede per restare in cima a quella scala sociale avversa, ma contemporaneamente non contribuiva nell'aiutare il figlio a difendere quello stesso potere che il padre voleva mantenere e che Takuma voleva possedere. Lo aveva davvero messo così alle strette, facendo gravare il futuro su di lui?
«Vedi? Ti ho rubata da un destino maledetto.»
Il suo risuonava quasi sarcasmo alle mie orecchie. Ciò di cui parlava era il mio matrimonio combinato.
«E per finire dove?»
L'acidità della mia voce fu accompagnata dai miei occhi che esplorarono le pareti della stanza alludendo al peggio. Dall'alto verso il basso lo squadrai con il ribrezzo che colava dal mio sguardo. La Geondal non era qualcosa che avrei consigliato a qualcuno, ma la Yakuza non era da meno. Era forse peggio.
«Sto solo evitando una guerra.»
In realtà la stava innescando. Era come se il male puro volesse prendere le parti del buon pastore.
«Ma stranamente, per evitare questa guerra ho bisogno di un'arma!»
Una mistura di malizia, malvagità ed eccitazione vennero miscelati come un Mojito, posandosi su di me con la malafede al posto dell'ombrellino.
«E non c'è arma migliore di avere ciò che desideriamo, contro di noi.»
L'aria che uscii dalle sulle labbra dopo aver sprigionato quelle parole, mi fece rendere conto che si trovavano a poca distanza dalle mie. Non seppi mai di come e perché in quel momento, la mia mente mi riportò a Dimitri. Realizzai che in precedenza, non avevo mai provato quel tale senso di repulsione per tutte le volte che si era ritrovato con le labbra a fior di pelle dalle mie. Dimostrai il mio disprezzo virando la testa e mostrandogli la mia guancia, soltanto allora si allontanò recependo il messaggio.
«Conosci i significati dello Ryū?»
Lo Ryū o Tatsu era il drago giapponese, un'altra creatura leggendaria mitologica che aveva una grande influenza su di loro. Ringraziai ancora mentalmente il libro che Hade mi aveva regalato.
«Ti cito il mio preferito: il potere.»
I draghi giapponesi erano inquadrati come delle divinità dell'acqua, ma ciò non mi aiutò a capire quale correlazione potesse avere con me.
«E qual è il mio ruolo in tutto questo?»
Maledii il mio coraggio e la curiosità messi insieme per essersi fatti avanti.
Se avessi saputo cosa la mia domanda aveva in serbo come risposta, scappare sarebbe stata la soluzione più plausibile per me, nonostante il rischio del decesso di me stessa.
«Tu? Sarai il mio Ryū!»
Mai tanta determinazione videro i miei occhi.

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