십팔

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Non dissi nulla. Lo tenni per me. Tenni segreta la preziosa perla di essere a conoscenza di non servire più a niente nel mondo di Dimitri. Adesso la mia libertà e utilità dipendevano dalla morte di un uomo. Il fato voleva agghindarmi ancora una volta di peccati. Dimitri sapeva anche meglio di me, ma non accennava a mandarmi via.
La neve mi gelava i piedi come se fossi scalza, era accecante e baciata dai primi raggi di sole. Mi mimetizzavo in essa per le vesti bianche che indossavo. Ero quasi ossessionata da quel colore, ma il bianco poteva mai celare il rosso? Il rosso del sangue di cui mi sarei forse contaminata molto presto.
Mi inchinai per terra reggendomi sulle gambe. Odiavo calpestare la neve e rovinarla sotto ai miei passi. Ne presi un po' sulle mani insieme a qualche cristallo che stava piovendo. Non aveva smesso un secondo di nevicare dalla notte precedente. Sorrisi inevitabilmente, forse non poteva coprire il sangue, ma riusciva a far tacere tutti i miei pensieri negativi che mi perseguitavano angosciandomi. Era una cura istantanea, ma purtroppo temporanea. Durava solo per tutto il tempo che potevi vederla prima di trasformarsi in acqua. Un po' come lo sciogliersi dello zucchero filato non appena sfiora la nostra lingua.
«Chiudi gli occhi.»
Lui si abbassò di fronte a me dopo avermi guardata per un tempo indeterminato da lontano. Feci come mi disse, allora sfiorò il mio collo lasciandoci qualcosa intorno.
«Ti piace?»
Aprii gli occhi esitando un attimo prima di scoprire cosa mi avesse donato.
Stavo riflettendo sul suo gesto.
Era un choker di velluto bianco, con due catenine lente fissate solo al centro dal gancetto di un pendente, un cristallo di neve d'argento. Lo vidi specchiandomi su una piccola conca d'acqua formata dallo scioglimento della neve.
«È molto bello.»
Era più che bello ai miei occhi, era magnifico.
Tutto si evolve, tutto cambia. Potrebbero prenderti in giro per il tuo nome, ma poi potrebbero usufruirne per farti dei regali di apprezzamento.
«Sei tu.»
...E fu lì, in quell'istante, che la gelida muraglia che recingeva il mio cuore proteggendolo, fu disgregata definitivamente.
Dimitri mi aveva vista. Completamente. Aveva visto ciò che ero. Aveva colto la mia fragilità, la mia freddezza, la purezza che cercavo sempre di custodire, ma soprattutto... si era accorto di quel folle, insano ed inspiegabile legame che la mia anima aveva con la neve. Mi aveva spogliata di tutto. Denudata di ogni strato di protezione. Divenni il primo libro che lui lesse, il primo enigma irrisolto da lui risolto. Lo guardavo, e mi sforzavo di trovare anch'io la soluzione all'enigma che era in lui.
«Boss?»
A distanza la voce di Daijon ci avvertì che erano tutti pronti per andare, salendo in seguito a bordo ad una delle auto disposte in fila davanti al grande garage.
Prima di alzarsi, Dimitri mi fissò ancora per qualche secondo. Voleva ricordarmi della promessa. Sfregai leggermente il diamante sul mio anello per rassicurarlo di aver recepito il messaggio e che avrei mantenuto la parola data. Ci incamminammo verso i ragazzi impegnati ad imbottire i bagagliai di borsoni neri. Non era difficile intuire che al loro interno ci fossero delle armi pronte a munire un'intera armata di soldati.
«Levi!»
Diretto come il suo passo, fu necessario soltanto pronunciare il nome per capirsi tra di loro.
Il ragazzo dai capelli silver non fece altro che annuire e mettersi davanti a me, aprendo la portiera di un auto che non era quella del suo boss e con gli occhi mi chiese di entrare. Osservai Dimitri un po' perplessa, mentre le mie mani cercavano il calore dentro le tasche del mio cappotto e poi saltai sul sedile posteriore che fu chiuso dallo stesso che me lo aveva aperto.
Era strano. Era come se stesse provando ad essere dolce. Come se stesse tentando di convincermi a voler restare, trattenendomi con le buone. Prima il regalo, poi l'ordine a Levi di aprirmi la portiera perché sapeva che non sarei voluta andare con lui durante il tragitto. Aveva qualcosa in mente. Presi dirimpetto il mio istinto ed aprii lo sportello quasi gettandomi a terra per ciò che provavo. Ero confusa, un po' arrabbiata per l'ipotesi che stesse cercando di manipolarmi.
«Crystal?!»
Levi mi corse dietro per chiedermi di rientrare, ma avevo intenzione di riscrivere i piani.
Andai dritta verso l'auto di Dimitri e cliccai sulla maniglia anteriore del lato opposto.
Ebbi il tempo per accomodarmici sopra, che aveva già fatto leva sulla chiave per accenderne il motore qualche secondo prima.
Levi cercò di aprire la portiera, ma mi affrettai a mettere la sicura finché non rinunciò vedendomi di nuovo nelle mani del suo boss.
«Credevo detestassi viaggiare da sola con me.»
La sua espressione era più confusa della mia.
«Non oggi! Tengo fede alla mia promessa.»
Avere promesso di restargli accanto questo giorno, fu utile come alibi per investigare su qualcos'altro.
Diedi un'occhiata veloce a com'era composto l'interno del suo veicolo. Era un auto ordinata, in totale contrasto a quella dei ragazzi sempre piena di oggetti e bibite varie. Questi dettagli mi parlarono molto su come fosse Dimitri. D'altronde, solo a guardarlo non c'era da stupirsi del suo impeccabile senso della perfezione.
«Dimitri, io lo so...»
Per quanto sconsiderato fosse, avevo deciso di parlare prima di quanto avessi programmato. Nel frattempo lui avviava la retromarcia ed imboccava la strada spalata.
Il suo profilo destro metteva in risalto il fascino dell'uomo alla guida che era. Silenzioso attendeva che continuassi il mio discorso. Non potevo negare che mi piacesse molto quando si concentrava in ascolto solo per me.
«Quando avrai ucciso Takuma, non avrai più bisogno di me, né del matrimonio. Non ne hai già più bisogno ora.»
La mia voce vibrò più fredda del clima artico che fuori gelava le strade. Non potetti fare a meno di notare il suo sguardo ingrigirsi, come il colore dei capelli che aveva nuovamente cambiato e le vene delle sue mani gonfiarsi e irrigidirsi. Stava stringendo troppo il volante.
«Non dici niente? Perché mi tieni ancora con te?»
"E mi fai dei regali?", avrei voluto aggiungere. Ma lo tenni rinchiuso nella mia mente toccandomi però il choker con le dita. Un'azione che non passò inosservata.
«Perché adesso? Non distrarmi! Ne riparleremo dopo. Ti avevo chiesto di comportarti bene, me lo avevi promesso!»
Il nervosismo nel suo respiro era in grado di soffocare persino l'aria. Si stava agitando parecchio, preso alla sprovvista.
«Lo sto facendo! Non vedi dove sono? Qui al tuo fianco come mi hai fatto promettere, e non mi muoverò.»
Non stavo infrangendo la promessa. Mettere in dubbio la mia lealtà mi disturbava.
Avrei rispettato tutto come stabilito prima tra noi, ma dopo... era il dopo che era incerto e non riuscivo a vederlo. Nemmeno una cartomante sarebbe riuscita a vederci chiaro sugli eventi della mia vita che cambiavano direzione, scambiandosi tra di loro come le scale del castello di Hogwarts.
Ero cosciente di aver sbagliato ad affrettare in quel modo le cose, valutando il fatto che Dimitri stava andando incontro ad una guerra da combattere. Lo misi in agitazione il doppio. Ma l'idea che lui avesse voluto tenermi prigioniera senza aver il bisogno della mia presenza e nonostante la mia inutilità, mi mandò in panico.
Dimitri divenne silenzioso e rilassò i suoi nervi con il tempo.
Lo sguardo era fisso sulla strada ma il pensiero altrove, la sua mano poggiata sul cambio che di tanto in tanto mi sfiorava sbadatamente di proposito la gamba. Stavamo andando verso una lotta, ma il conflitto più grande lo avevo io, dentro.
Immaginai di come sarebbe stato in un'altra vita. In una dimensione dove i ruoli non erano quelli che avevamo adesso. Lui sarebbe probabilmente stato il mio più grande amore ed in un momento come quello mi sarei sentita in paradiso ad avere la possibilità di sedermi al suo fianco uscendoci insieme. Avrei apprezzato di più ogni regalo che mi avesse fatto. E lo avrei guardato con occhi diversi. Forse, avrei pensato che fosse lui l'uomo della mia vita.
Ma ritornando alla realtà che stavo vivendo, se così potesse chiamarsi tale... io non avrei mai permesso a me stesse di lasciarmi amare un uomo che mi aveva obbligata a farlo, nemmeno se avessi avuto davanti colui che mi avrebbe completata. Era un inferno terreno. Mi sarei privata della gioia più grande di vivere.
L'aria calda che Dimitri aveva acceso mi aveva riscaldata fino a destinazione. Non la spense un attimo, nemmeno quando innervosendosi andò quasi in iperventilazione sbottonandosi le maniche della camicia nera e del colletto.
Il luogo era deserto. Eravamo in alto, sul campo innevato di una montagna rocciosa ricoperta da alberati. Vi erano spazi vuoti sparsi un po' ovunque, che creavano delle piazze dove poter permanere. La temperatura era scesa di una decina di gradi e l'aria che espiravamo si trasformava in fumo, quasi congelava e restava sospesa come una stalagmite.
Ero stata in tensione per tutto il viaggio, ma solo perché avevo la mente conturbata da quei pensieri ricorrenti. Non avevo dato peso invece all'agitazione che avrei provato non appena avrei messo piede sul terreno di caccia.
È quando sei lì, che la paura si impossessa di te.
Venni subito affiancata da Dimitri che guardai con preoccupazione negli occhi e cacciai fuori un respiro intenso da donna in travaglio con le labbra corrucciate.
Alcune ombre lontane affrontarono la nebbia fitta come se non ci fosse. La mia ansia continuava a dirmi che avrei assistito a qualcosa di orribile di lì a poco e immediatamente avvertii la necessità di andare via come non l'avevo mai percepita prima.
«Oh Cristo! Perché sono finita tra le tue mani?»
Maledii apertamente la figura accostata a me, che si piegò poi lateralmente per sussurrarmi qualcosa.
«Quello non è ancora successo.»
Si staccò con un ghigno di malizia sul volto. In quale oscuro modo riusciva ad esporre ma soprattutto ad avere certi pensieri in un momento come quello, rinunciai a capirlo. Forse era il suo modo per smorzare il mio terrore attuale.
Mi sentivo fragile come una bolla di vetro ed il mio corpo si mosse automaticamente verso quello di Dimitri.
Ma quando vidi le movenze che appartenevano a Takuma avvicinarsi, tutto cambiò. Cambiarono i miei occhi, cambiarono i miei sentimenti.
Una nuova personalità iniziò a bruciarmi dentro implorandomi di uscire. Degli istinti criminali presero il posto dell'istinto di fuga che mi aveva tormentata fino a quel momento. Mi sentii cattiva, senz'anima di fronte al padrone della mia condanna e di chi me l'aveva rubata. E forse era giusto così, perché Takuma questo si meritava. Colui che aveva calpestato il mio valore di donna e ci aveva sputato sopra, colui che viveva solo di potere e al potere altrui ambiva. Ero ferita, ferita dalla malvagità di quell'essere indefinitamente umano che inquinava il mondo semplicemente respirando. Era affiancato da uno dei suoi uomini e da un volto familiare.
«Kaede!»
Nessuno si aspettava che sarei stata io la prima ad avere il coraggio di parlare in quel frangente dove la concitazione spezzava il ghiaccio.
Tutti si voltarono a guardare il ragazzo che avevo messo al centro dell'attenzione. La sua postazione annunciava che si sarebbe battuto per proteggere il suo Oyabun, ma era solo un'illusione. Kaede era un Horishi, non un combattente. Ero certa che Takuma lo avesse costretto a partecipare solo per indebolirmi ed infastidire me e Dimitri alla vista di chi mi aveva fatto l'irezumi. Era la sua carta della distrazione.
Una carta che però, giocò al turno della squadra avversaria. I suoi passi si stamparono sul terreno innevato. Venne davanti a me e sgranai gli occhi quando le sue ginocchia presero contatto con il campo.
«Possa tu perdonarmi un giorno per aver contribuito alla tua condanna. Oggi pagherò come merito.»
Ancora in ginocchio com'era, staccò gli occhi da me e chinò la testa al suolo, in attesa di una punizione che era certo avrebbe ricevuto sia da Dimitri che dal suo Kumicho per aver infranto i suoi piani. L'uomo dietro Takuma si mosse in avanti estraendo un pugnale dalla sua manica nera. Lo avrebbe pugnalato davanti ai miei occhi, solo per aver preso una scelta che per quanto giusta potesse essere, risultava anche sbagliata. Era uno scherzo della vita. Quindi non lo avrei permesso.
«Io ti perdono, perché tu me lo hai chiesto.»
Nel momento in cui riconosci i tuoi peccati, sei già stato perdonato.
Ma in parte sapevamo entrambi che era stato obbligato. La sua testa si alzò mostrando uno sguardo perso e grato a me e a Dimitri che era al mio fianco, sconcertato dalla mia "misericordia". Ne rimasi impressionata anch'io. Kaede non aveva l'anima crudele, e non meritava quella morte ingiusta che lo stava raggiungendo alle spalle.
«Non osare!»
Agii impulsivamente parando il corpo di chi mi aveva chiesto scusa. Perdonarlo e poi proteggerlo rischiando di morire io stessa, era la cosa più insana che avessi mai fatto, ma lui non era uno qualunque. Bensì, era invece qualcuno aveva appena tradito il suo boss mettendosi ai piedi del nemico più grande di quest'ultimo, desiderando di ricevere il perdono a costo della vita. Un perdono che però credeva impossibile da ricevere. Sicuro di una morte certa, ma con la consapevolezza di un perdono incerto. Era tempo di far pagare ai veri demoni e peccatori.
L'uomo issò il suo pugnale contro di me convinto di farmi fuori senza alcuno sforzo, non essendo però a conoscenza che con quella sua mossa si giocò la vita e perse, firmando la sua condanna a morte.
Uno sparo. Uno solo. E si ritrovò a decorare il suolo con il suo corpo ed il diavolo pronto a portarselo via.
Dimitri non mi aveva mentito.
Julius fu più veloce e preciso di un sicario, come una freccia che colpisce il centro pieno del bersaglio.
Mi voltai alla mia sinistra poggiando il mento sulla mia spalla per guardarlo, ed era lì... con le mani in basso incrociate in avanti e lo sguardo spensierato che ammirava il paesaggio invernale.
«Fuori uno!»
Fu tutto ciò che uscii dalle sue labbra prima di riporre l'arma dentro la tasca dei suoi jeans. Ero interiormente sconvolta, colpita dalla sua abilità e dalla superficialità con cui operava. Ma non lo detti a vedere. Doveva essere tutto regolare e abituale per noi agli occhi di Takuma che non era più affiancato da nessuno.
«Siamo onesti Dimitri, sono rimasto da solo adesso.»
Allargando le braccia chiedeva di un confronto equo da boss a Oyabun. Intanto feci alzare Kaede, che fu tenuto sotto controllo da Gillean e Genos per mancanza ovvia di fiducia nel non conoscere il soggetto in questione.
«Piaciuta l'opera d'arte realizzata dalla feccia che state proteggendo, sulla schiena della tua sgualdrina?»
La bocca sporca di Takuma era troppo sicura di sé per essere da solo contro tutti noi. Stava chiaramente mentendo, e dalla reazione di Dimitri capii che anche lui se ne era accorto. Inoltre stava cercando di dissuaderci dall'idea di proteggere Kaede. Sapevo che lo avrebbe voluto indietro, per manifestare su di lui i mille modi atroci con cui lo aveva già ucciso mentalmente.
«Non sapevo che anche tu fossi attratto dalle sgualdrine, Takuma!»
Dimitri tenne testa a quel gioco che non mi piaceva per niente avanzando verso di lui e riferendosi a quei giorni in cui lo yakuza mi aveva rapita. Takuma fu la rappresentazione vivente di quel detto che racconta il modo in cui la volpe scredita l'uva dicendo che è acerba, quando non arriva a prenderla.
«Oh no! Ti stavo solo facendo un favore. Sai, diventa particolarmente aggressiva e pericolosa in certe situazioni...»
Takuma stava toccando tutti i tasti dolenti che avrebbero fatto perdere lucidità a Dimitri, ma il suo senso del controllo era di un altro livello chiamato "intelligenza".
«Cosa c'è Takuma? Troppo difficile da gestire? Sicuramente non ti avrà fatto annoiare.»
Si stavano scambiando le loro ostilità usufruendo di una conversazione basata su di me.
«Al contrario! E come dici tu, è stata molto attiva.»
E quando non si ha più niente da dire, si inventano le cose. Voleva confondere Dimitri alludendo ad un rapporto sessuale mai realmente esistito tra me e lui.
«Fidati di me.»
Non c'era niente che io non gli avessi detto. Sperai che Dimitri mi credesse dopo avergli sussurrato la verità. Eravamo abbastanza distanti da non essere sicura se avesse afferrato il mio labiale, dopo essersi voltato a constatare. Lo sguardo che mi aveva rivolto fu impossibile da leggere per le troppe emozioni che apparvero navigarci dentro.
«Sai Takuma, mi dispiace che la gioia di sentirti dire un grazie da parte mia durerà poco per te, perché sto per ringraziarti di avermi dato la possibilità di ucciderti!»
Non vidi mai nessuno come lui enunciare la sentenza di morte con il sorriso sulle labbra e sugli occhi.
Il primo colpo fu sferrato. Il bastardo era a terra frastornato dal pugno di Dimitri. Le mie mani si strinsero sul tessuto di ciò che indossavo. Era paura quella, ma non la stavo provando per me. La menzogna di quel demone fu l'incentivo in più per Dimitri di collassarlo definitivamente.
Alcuni gruppi di uomini nascosti dietro gli alberi vennero fuori in soccorso al loro yakuza leader. Il tempismo non fu dei migliori. Non credetti alla forza di Dimitri finché non vidi del sangue riempire la gola di chi era stato colpito e poi sputarlo fuori. Le nostre supposizioni erano corrette. Takuma era più che in compagnia. Tutti armati e ad un centimetro dall'uccidere Dimitri. Ma gli uomini della Geondal non tradivano mai la loro casa. Hadeon e Julius presero difesa con delle mitre nascoste nel sottosuolo della neve, proteggendosi le spalle l'uno dell'altro, ma soprattutto stando bene accorti a sorvegliare l'intoccabile. Un uomo riuscì ad afferrare il mio collo con il suo braccio imprigionandomi nella sua presa, ma crollò a terra un'istante dopo con le pupille inghiottite dalle palpebre.
«Peccato, avrei voluto non sporcarlo!»
Daijon faceva ruotare tra le dita un coltello oleografico ormai imbrattato di sangue.
«Mi dispiace?»
Non fui sicura di ciò che stavo dicendo, ma mi aveva salvato la vita.
Qualche secondo dopo corsi da Kaede, lui conosceva i piani avendone assistito prima di voltargli le spalle. Ma non ebbi il tempo di dire una sola parola, l'istinto mi dominò ancora prendendogli le spalle e spostandolo da lì con tutta la forza che avevo. Subii il colpo di un Samurai che era direzionato a lui e non riuscii a frenare l'urlo. Adesso quella neve aveva preso contatto anche con il mio sangue, che iniziò a scorrermi dal braccio. Le lame decorative degli stivali di chi aveva calciato, mi avevano strappato la pelle. I vestiti non erano idonei nel riparare un urto del genere. Vidi il corpo di Kaede ruotare per aria veloce come una gazzella e mettere in pratica delle arti marziali di cui non sapevo ne avesse acquisito le capacità. Il biancore brillante della neve fu sovrastato da un lago di sangue, rispondendo alla domanda che mi ero posta quella mattina. Era anche cosparso da corpi feriti e senza forze. I ragazzi di Dimitri avevano qualche acciacco ma nulla di grave.
Takuma era genufletto davanti a chi stava per prendere il suo posto.
«Dea della notte, sei in debito con me! Non dovrai più sposarlo.»
Era a conoscenza che da lì a poco avrebbe smesso di respirare. Mi avviai verso di lui e piegando la schiena in avanti mi abbassai alla quota del suo viso.
«Non ho mai avuto debiti con i vivi, figuriamoci con i morti.»
E lo lasciali così... collaborando spudoratamente e diventando complice della sua morte.
Voltandomi per lasciare spazio a Dimitri, vide inevitabilmente il mio sangue percorrermi la pelle e gocciolare dalle sottili dita. Gli diedi in modo del tutto inconsapevole un input per estrarre dalla tasca segreta sulla sua schiena, una lunga lama lucente. Furono necessari tre secondi, non di più.
Uno, per impugnare la Katana.
Due, per issarla al cielo.
Tre, per tagliare via la testa, la vita, il potere, l'onore e la dignità di Takuma.
Era andato anche lui. Non c'era più.
Aveva abbandonato la terra lasciando solo un segno. Un dragone rosso sulla mia schiena testimoniava che quell'uomo era esistito e che il suo male aveva toccato una donna, così come il suo sangue quasi nero macchiò la neve di quel luogo.
Fui complice del suo omicidio, ma non mi sentii mai così vicina alla libertà.
Quelli che erano per terra, moribondi ed incapaci di lottare, dovettero però trovare la forza di inginocchiarsi al cospetto del loro nuovo Kumicho.
Sottomissione o morte. Queste erano le regole fin dal principio. Chinarono le teste ed il secondo a Takuma, nonché capogruppo, gattonò fino ad arrivare alla mano di Dimitri che baciò con labbra tremanti di fiele, ira e sgomento. Un segno di sudditanza che risaliva dai tempi monarchici, fino a quelli in cui era la mafia a governare.
Ma recitò bene la sua parte, perché sapeva che se avesse ucciso Dimitri, sarebbe stato lui il prossimo a regnare. Era il suo gratta e vinci.
Fu uno stupido però a pensare, che il suo Kaiken appena sbucato dalla manica destra, potesse sfuggire allo sguardo acuto di Genos e alla sua collezione preferita di Shuriken volanti. Ne scagliò semplicemente uno, tagliando la gola a quel traditore come una stella cadente appena caduta dal cielo.
«Aish! Mi hai macchiato la camicia.»
La lamentela di Dimitri, fu il modo di ringraziare chi gli aveva salvato la vita.
Sapeva bene che il sangue macchia dappertutto.
Prima di andare via mi allontanai da qualsiasi essere vivente che mi circondava, all'infuori di me. In fondo ad una vallata vi era un lago immortalato dal gelo dell'inverno. Avrei voluto pattinarci sopra, ma avrei voluto anche sprofondarci dentro. Dedicai qualche minuto a me stessa per riprendermi da quella giornata che non avrebbe mai abbandonato i miei ricordi in futuro.
Avevo visto chiunque uccidere chiunque a sangue freddo, me medesima. Non con il corpo, ma con l'anima. E Dimitri...
Lui non lo avevo mai visto così glaciale mentre toglieva la vita a qualcuno.
In confronto al modo in cui il suo atteggiamento mutò di fronte al nemico, mi accorsi di quanto cordiale fosse stato con me fino a quel momento.
Lui non conosceva pietà e la pietà non conosceva lui.

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