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Faceva molto più freddo una volta che il sole affogava nell'orizzonte lontano. La mia pelle che ne risentiva molto era però una sconsiderata menefreghista, e preferiva lasciare introdurre il vento dentro le mie arterie rischiando un raffreddore nell'ipotesi più ottimista, piuttosto che rinunciare all'aria gelida con cui sentivano il bisogno di riempirsi i miei polmoni.
Le stelle brillavano indifferenti nel cielo, le sentivo più distanti di com'erano. Percepivo in un angolo intrinseco di me, l'abbandono dopo essermi sentita figlia della loro luce per molti anni. Ma di più, figlia di quel corpo freddo chiamato Luna. Non ero certa se furono loro ad essersi stancate di me per tutte le volte di cui usufruì delle loro cadute in passato, per rendere vivo un unico e solo desiderio, o se mi ero stancata io per prima a non vederlo accendersi mai. Sapevo solo che se una volta guardando il cielo ci trovavo la mia casa, adesso ne avevo paura.
La Luna mi guardò affacciare al balcone che faceva parte della mia stanza. Taciturna, ascoltò tutti i miei pensieri silenziosi rivolti a lei, come ai vecchi tempi. Ero abituata alle lunghe chiacchierate durante le notti d'estate in Italia, quando sognavo scioccamente di volare a Busan. Ma era da un po' che non le parlavo. Molti mi avrebbero giudicata folle a sentirmi conversare con un oggetto celeste, ma l'affascinante richiamo con cui ti consola la Luna non è per tutti, se non per chi la cerca veramente. Eppure, questa volta della sua pienezza ascoltatrice e lusinghiera, non me ne feci nulla. Ero stizzita e delusa da lei per ciò che mi aveva dato.
«Sei stata cattiva con me!»
La incolpai individualmente, per essere l'unica custode di ciò che desideravo di più al mondo. Le avevo sempre chiesto un'amore sano, e lei mi diede un'amore maledetto.
«Parla con me. Lei non ti risponderà mai, io sì!»
Dimitri mi aveva appena afferrato i polsi facendomi voltare di fronte a sé, e cingendomi la vita mise fine ad una certa distanza tra i nostri corpi.
«Non ho niente da dirti.»
Smisi di sentire freddo circondata dal calore della stufa umana che era lui, ma iniziai a tremare per altre ragioni. Chinando la testa verso il basso, mi accorsi del modo assoluto ed insopportabilmente impeccabile di come ci incastravamo l'uno con l'altro.
«Sei ancora in tempo per rimediare un regalo di compleanno per me.»
Dopo pochi secondi, anche il suo viso era adiacente al mio. Ingoiai il vuoto quando alzai lo sguardo per rispondergli.
«È un bene per te il mio non sapere del tuo compleanno. L'avresti presa più male a ricevere il nulla in scatola, con un fiocco sopra da parte mia. Perché è così che sarebbe andata!»
Era un peccato rovinare quell'atmosfera, quel momento, l'intenzione con cui lui era venuto a trovarmi. Ma quando ciò che mi inacidiva, era ciò che bramavo di più, persino un bagno nell'acido fluoroantimonico sarebbe stato meno aggressivo. Ed io avrei voluto soltanto zittire quelle sue labbra a modo mio.
«E riesci a dire cattiva alla Luna!»
Il suo dito mi puntava scuotendosi per aria. Si era preso gioco di me per via di quella che doveva essere una conversazione privata a cui aveva partecipato mentre si dirigeva nella mia camera.
Ma non sarei mai potuta essere cattiva quanto la Luna di quel momento. Non faceva altro che innamorarsi lei stessa del profilo eccelso di Dimitri, mettendone in risalto i lineamenti delineati, singolari per quanto unici ed incomparabili.
Le piaceva mostrarmi in tal modo l'avvenente eterea e sconfinata bellezza, di colui che era in grado di spodestare alla natura la sua magnificenza, così come quella del canto degli uccelli alla mattina e dei due mari che si incontrano ma che non si mischiano mai. Mi venne da riflettere su quest'ultimo pensiero.
Ad un destino come quello del Kattegat e dello Skagerrak, avrei preferito la solitudine. Sono rare le eccezioni come quella del Sole e della Luna. Staranno a guardarsi da lontano per ore interminabili, ma a metà strada tra il giorno e la notte, sfociano in dei tramonti che toglierebbero il respiro a chiunque li ammiri. Ogni giorno. Chissà cosa avrebbero creato due oceani in uno solo. Ed io e Dimitri questo eravamo. Il Meridione ed il Settentrione.
Mantenni il mio silenzio favorendo quel segreto.
«Hai due opzioni: o mi parli, o stai zitta e mi baci!»
La sua contestazione risultò troppo imprevista al mio cuore, che si sentii shakerato come un Rosemary al frutto della passione.
«Lo sai che scelgo sempre l'opzione numero tre.»
Tenergli testa mi veniva tremendamente facile, e sapevo che la sua di testa era abbastanza complicata da governare. Ma ogni volta che lo facevo, ero sempre curiosa di come mi avrebbe risposto.
«Non c'è un'opzione numero tre, signorina!»
Quell'appellativo, fuori dalle sue labbra... nemmeno uno striptease risultato stato più seducente.
«Esatto.»
Apprese pienamente il centro sulla ragione per cui scelsi la terza incognita.
Il suo pollice si adagiò al medio, facendoli schioccare sulla mia fronte. Non avrebbe fatto tanto effetto ad una persona qualunque, ma quando l'alcol bagna le labbra di un'astemia disperata in aggiunta alla stanchezza... si potrebbe iniziare ad avere qualche visione. Corrucciai le sopracciglia in segno di disapprovazione per quello che aveva fatto. I miei occhi si chiusero totalmente da quel momento, e non volevano più saperne di aprirsi. Persi la capacità di ragionare o anche solo di pensare, non rispondendo alle mie azioni e ciò mi portò dritta dritta tra le braccia del diavolo. O meglio, sul suo petto. Rilassai lì la mia testa, lasciandomi andare. Ma l'intuito di Lucifer Morningstar riusciva sempre a scorgere quando qualcosa non andava nella sua Detective Decker, e quel gesto non era da Crystal. Il mio viso venne sollevato dopo qualche istante, ritrovandomi due dita che affondavano sulle mie guance. Finì per aprirmi la bocca con forza a mo' di pesce, per poi annusare senza scrupoli il mio alito.
«Hai bevuto?!»
Bingo. Dimitri aveva sospettato sul serio.
«Solo un bicchiere. Non mi piacciono gli alcolici.»
Ma si sa bene che le persone non abituate a qualcosa, sono spesso più tendenti al subirne l'effetto.
«Perché lo hai fatto? E chi ti ha dato da bere?»
Qualcosa in lui era tremendamente sensuale, anche quando assumeva quell'aria autoritaria contro qualcuno che non aveva preso in considerazione il suo assenso.
«È estenuante essere me. Combatto costantemente contro qualcosa, avevo bisogno di mettere fuori servizio i miei pensieri per un po'. E poi non ti dirò mai che è stato Gillean!»
Il mio mento era inchiodato al suo torace, con la testa rivolta in alto per cercare di guardarlo nonostante i miei occhi stanchi.
«Va bene, allora non dirmelo. Io andrò a fargli due carezze lo stesso!»
Dimitri non sembrava agitato, anche se quello che aveva detto non auspicava al meglio. Era probabilmente arrabbiato perché non approvava le iniziative da parte degli altri nei miei confronti.
«Ma contro cos'è che stai combattendo esattamente, donna virago?»
Non mi aspettai altrimenti da lui. Moriva dentro pur di sapere cosa mi passasse per la mente o per il cuore. E non c'era momento migliore di quello per farmi cantare come un usignolo. Avrebbe dovuto ringraziare Gillean piuttosto che colpevolizzarlo.
«Nel mio campo di battaglia, un demone bianco ed un angelo nero si contendono la mia anima.»
Fu un'impresa costruire il mio discorso in quello stato. Fui soltanto certa di essermi staccata da Dimitri per poter gesticolare meglio, mentre lui era ancora aggrovigliato a me.
«Ma finché si combatteranno, né l'uno e né l'altro vinceranno mai. Perché valgono equamente, pari a pari.»
Era così che lo disegnai. Vedevo Dimitri come lo Yin e lo Yang, con il bene che nuota dentro al male ed il male che nuota dentro al bene. Un equilibrio indistruttibile.
«Quindi, purché questa guerra non duri in eterno... sta a me scegliere.»
E la scelta era tra l'amarlo e uccidermi calpestando la mia dignità, o vivere e non permettermi di amarlo, morendo così dentro. In entrambi i casi, una parte di me sarebbe morta. Uccisa dall'amore, o morire per amore.
Ecco l'unica libertà che avevo.
La possibilità di prendere la decisione su come suicidarmi.
«Sai essere poetica anche quando vedi doppio. Sono incantato!»
Continuò a prendermi in giro, ma sperai fortemente che riuscisse anche a leggere e a capire il tormento che era lui per me, dentro ai miei occhi.
«Tu cosa sceglieresti?»
Nuocevo forse qualcuno, se chiedevo al nucleo del problema la risposta a quel dilemma?
«Se fossi in te, continuerei a scegliere la terza opzione.»
La punta del suo naso luccicava sotto l'aura lunare, quasi rispecchiasse il cielo.
«Sai già che non c'è una terza opzione!»
Lo guardai in un cagnesco ubriaco per essersi impadronito delle mie parole.
«Esatto. Creala!»
Soddisfatto del gioco, mi guardò curioso di una mia reazione.
«Mi hai indirettamente detto "risolvi il tuo problema da sola". Sei pessimo!»
Era una conversazione strana. Si parlava di argomenti reali, ma potevamo addossarci vagoni carichi di offese senza prenderle mai sul serio.
«Se non ti dispiace vado a dormire, mio più grande tormento!»
Spalancai la porta di vetro scorrevole per invitarlo ad andarsene. Prima di fare come richiesto, si fermò di fronte a me sollevandomi il mento con due dita.
«Fossero tutti come me i tormenti!»
Ed uscì di scena degno di un'opera teatrale. L'autostima di quell'essere umano era più alta della sua altezza corporea, ed era comunque più alto di me.
Aprii gli occhi quando la luce dell'orologio digitale segnava le 04:30 del mattino. Praticamente secondo il pieno inverno di Aspen, era notte fonda fuori. Il letto mi chiedeva tregua, ma non riuscivo a stare ferma e a smettere di voltarmi e rivoltarmi, senza mai trovare pace. Se avesse avuto una vita propria, mi avrebbe senza dubbio gettata sul pavimento a calci. Fu invece il mal di testa a farmi mettere i piedi per terra, con tanto di ringraziamenti da parte del materasso.
Scesi al piano inferiore per cercare qualcosa che potesse fermare quelle saette che mi fulminavano le tempie come fossero alberi.
Ma di sotto era mezzogiorno per gli altri. Tutti i ragazzi erano svegli, con le luci accese che incenerivano le mie iridi ancora abituate al buio.
Genos era seduto comodamente sul divano a gambe incrociate, in modo da poter reggere il suo computer su di esse. La sua concentrazione permetteva alle sue dita di battere su quella tastiera più veloci di un'aquila in picchiata e di non sbagliare mai di una singola lettera. I suoi occhiali neri quadrati gli stavano per scivolare via, ma non si accorgeva nemmeno di quello. Daijon e Gillean, dosavano qualcosa di cui preferii non andare in fondo nell'accertarmi di che sostanza si trattasse, ero ben consapevole che non era da loro giocare con dello zucchero nel pieno della notte. Hadeon beveva quello che sperai fosse una tisana, quando le probabilità più alte mi suggerivano essere uno dei caffè più stretti al mondo, che gli teneva gli occhi aperti come se avesse due stecchini invisibili a reggergli le palpebre. La sua penna scarabocchiava cifre dalla lunghezza della radice quadrata di Pi greco su un'agenda nera. Julius segnava il numero di serie delle armi poggiate sul tavolo, aiutato da Levi che le contava. Si stavano sicuramente accertando che non mancasse nulla al rapporto che avevano in mano.
E poi c'era lui. Lui che stava in piedi alle spalle di Genos, con una mano in tasca, l'altra che stringeva un bicchiere trasparente contenente del buon Bourbon e lo sguardo puntato sullo schermo in basso.
Stava supervisionando il lavoro dei ragazzi, manovrandone impeccabilmente ogni azione. Erano tutti così coordinati ed organizzati in quello che stavano facendo, che era chiaro non fosse la prima volta per loro fare degli extra. O forse, alcuni lavoretti preferivano farli nelle ore notturne, quando per casa non girovagava servitù che potesse intralciarli.
I miei piedi scalzi scesero così silenziosi, che i presenti si accorsero della presenza di qualcuno solo quando spensi la luce primaria troppo forte da sopportare appena sveglia.
«Cosa?! Se n'è andata la luce?»
La penna sulla mano di Julius smise di scrivere. Iniziò a guardarsi intorno disperso nel buio e disorientato, mentre io senza luce riuscivo a dare un nome ad ogni cosa che vedevo attualmente meglio. Nella mia vita precedente dovevo essere un gatto.
«Proprio adesso! Che facciamo??»
Anche Levi si sentì scosso dall'imprevisto.
«È tutto apposto. Abbiamo un'ospite!»
Dimitri rimase nella stessa posizione in cui lo vidi, ma si limitò ad alzare lo sguardo verso la mia direzione. Fu il primo a vedermi attraverso il buio. Come d'altronde faceva sempre, anche in altri modi. Non potevo nascondermi da lui.
«Sono solo di passaggio.»
Mi feci spazio tra gli innumerevoli mobili senza mai sfiorarne uno. Il buio di cui erano circondati gli altri, non era lo stesso che vedevo io. I loro occhi erano ancora avvezzi alla luce. Ero infatti convinta che Dimitri mi vide prima con la mente, poi con gli occhi, e che solo così riuscì a visualizzare la mia sagoma.
«Boss, ci sono fantasmi qui?»
L'aria spaesata di Gillean mi fece ridere di sottofondo mentre gli passai accanto, sfiorandolo di proposito per farlo rabbrividire fino al collo.
Ma nemmeno uno spirito avrebbe certamente catturato l'attenzione di Genos, quando il suo sguardo era totalmente immerso in un PC. Nel suo sistema solare, il mondo girava attorno al Sole che era lui e lui neanche se ne rendeva conto. La sua concentrazione era da ammirare.
Passai oltre, dirigendomi verso la cucina per prendere una tazza. Provai a raggiungere lo scaffale allungandomi in punta di piedi, ma l'altezza imminente di Hadeon corse in mio aiuto.
«Grazie Hady.»
Non smettevo mai di trovare nomignoli carini da addossare alla sua persona e a lui stavano bene tutti. Un serial killer con un lato soft. Era una rarità di ragazzo. In risposta mi sorrise, tornando subito al suo lavoro.
«Niente sonno stanotte?»
Per un attimo credetti che il vero fantasma della casa si fosse avvicinato a me a causa delle forti scosse che mi provocò la sua voce e la sua presenza. Ma era solo... era soltanto... Dimitri.
«Chiedilo al mio mal di testa.»
Riempii la tazza in ceramica facendo scorrere l'acqua prima, poi aprii il cassetto sotto la credenza frugando con le mani tra la miriade di farmaci che vi erano lì dentro. La mano di Dimitri mi precedette, porgendomi una scatola che avrebbe spento il mal tempo che avevo in testa.
«Sveglio Cassandra e ti faccio preparare qualcosa!»
Cassandra era quella specie di infermiera cuoca che ti curava solo con rimedi naturali, preparandoti dei piatti o bevande in grado di rimetterti in sesto più di ogni medicina.
«No, va bene così grazie.»
Non sarebbe stato corretto disturbare il sonno di chi aveva la fortuna di poter dormire, per qualcosa a cui stavo già ponendo rimedio. Mentre lui invece non pensava a questo, ma gli importava unicamente di prendersi cura di ciò che era suo.
«Sicura?»
Era cosa nuova che chiedesse del mio parere, quando non faceva altro che agire prendendo in considerazione solo Dimitri, se stesso e le sue decisioni.
«Sicura.»
Finii di bere e guardai lui un'ultima volta prima di andare via.
Aveva lo sguardo stanco, e la sua fronte era tristemente corrucciata. Non mi soffermai molto a codificare e ad interpretare cosa stesse dicendo la sua espressione. Per quanto ci provai, il dolore alla testa aumentò e rinunciai. Mi inoltrai sulla strada di ritorno verso le scale, passando inevitabilmente accanto al tavolo della cucina.
«Hey ragazzi, moderate con lo zucchero. Rischiate il diabete!»
Ma tutti quelli che mi avevano sentito, sapevano molto bene che fu un avvertimento di precauzione che diedi a Gillean e Daijon riferendomi a qualcos'altro.
«Zucchero?»
Tutti tranne Gillean.
«Ti sta dicendo di andarci piano con quella roba, o potresti rimanerci secco! Ma forse è troppo tardi per te fratello.»
Daijon spiegò allibito il mio messaggio a Gillean, che reagì offeso con il sorriso celato dalla sua voce.
«Hey!! Credi che non lo avessi capito?»
La risposta di Gillean fu l'ultima cosa che riuscii a sentire, prima di riaccendere la luce e scomparire al piano di sopra sotto lo sguardo supervisore e attento di Dimitri... troppo attento.
E se passato il mal di testa avrei avuto la possibilità di dormire, ci fu ben altro a tenermi sveglia.

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