이십 사

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Finsi di dormire durante le prime ore del volo, fin quando non mi raggiunse il sonno per davvero portandomi via con sé.
Non avevo nessuna intenzione di affrontare Dimitri. A dire il vero, ciò con cui non volevo mettermi a confronto non era lui, ma quello che avevo fatto io. Escogitai ogni modo per evitarlo da allora, ma con il passare delle ore mi resi conto di non aver bisogno di metterci tanto impegno. Lui si era accorto del mio atteggiamento scostante già da un po', e sembrava volesse inspiegabilmente agevolarmi nell'evitarlo.
Il mio non era imbarazzo, bensì era la coerenza che dovevo mantenere con ogni mezzo di sforzo, nel prezzo che avrebbe pagato.
«Crystal, tra meno di dieci minuti atterriamo.»
C'era una persona in più nel viaggio di ritorno verso Busan. Ed era Kaede.
Avevo quasi battibeccato con Dimitri pur di farlo decollare insieme a noi. Lui si infastidiva un po' quando vedeva Kaede ronzarmi intorno. Probabilmente alla fine aveva ceduto alla mia richiesta solo perché qualche minuto prima, avevo addolcito la sua bocca premendo le mie labbra contro le sue. Il ragazzo era seduto sul sedile frontale al mio e mi sorrideva senza badare al fastidio che avrebbe potuto recare al boss della situazione, provocandolo inconsciamente in quel modo. Gli avevamo dato la libertà di andare, ma lui la rifiutò. Si sentiva debitore con me per averlo salvato due volte diceva. La prima volta era per l'anima, perdonandolo per avermi inciso l'irezumi addosso. La seconda era per il suo corpo, proteggendolo con il mio. Aveva scelto di stare al mio fianco, come a vegliarmi sempre. Solo così facendo, si sarebbe sentito apposto con se stesso. Era molto maturo e saggio considerati i suoi 30 anni, anche se a guardarlo sembrava un ragazzo che ne compiesse 25 ogni anno. Uno di quei casi in cui più passano gli anni e più la loro bellezza riaffiora. Proprio come il vino.
«Non potrò mai ringraziarti abbastanza per permettermi di guardarti ancora.»
Il sorriso smagliante di Kaede mi ringraziava di non aver mai nutrito dell'odio nei suoi confronti.
«Non per molto ancora!»
Un ringhio proveniente dal più prevedibile dei presenti lì dentro, minacciò il ragazzo che voleva solo essere gentile con me.
«Inizia smettendo di ringraziarmi ogni volta che incontri i miei occhi.»
Dopo esserci riappacificati, non aveva smesso un attimo di ringraziarmi in ogni momento che ne aveva avuto la possibilità. Accennai un sorriso, ignorando l'avvertimento rude di Dimitri .
«Gomennasai, arigatou!»
Congiunse le mani come in preghiera e inchinò il capo insieme alla schiena. Il mio giapponese non era molto udibile e ne conoscevo ben poco, ma le poche basi che Shiori mi aveva inculcato in testa mi aiutarono a capire che Kaede si era appena scusato per poi ringraziarmi nuovamente.
«Ragazzo, mi confondi! Da dove vieni?»
Ebbi il tempo per la prima volta di interessarmi alla sua vita e di sapere come sapesse parlare bene il coreano oltre al giapponese.
«Ho vissuto metà della mia vita ad Okinawa e l'altra metà a Seoul. Non conosco i miei genitori, sono solo figlio dell'Asia.»
E per quanto triste il suo racconto fosse, il sorriso non lo perdeva mai.
«Come si dice in giapponese "tu sei molto crudele"?»
Tentai di svoltare pagina, appendendomi al modo crudele di come era stato prima il capo.
«Anata Hidoi desune.»
Kaede mi rispose con un cenno di preoccupazione sul volto, ma incuriosito al contempo.
«Anata Hidoi desune!»
Volsi la testa verso l'uomo in piedi che avevo ignorato fino a quel momento e gli dedicai quella carezza.
«Damare!!»
Dimitri sputò fuori un termine che non avevo mai sentito, ma l'enfasi con cui lo disse lasciò molto da intendere.
«Ci ha appena detto di stare zitti.»
Kaede fece spallucce traducendo il messaggio.
Rimasi sorpresa nello scoprire che Dimitri conoscesse il giapponese. D'altronde, adesso che era un Kumicho, non poteva non saperlo e noi lo avevamo fatto arrabbiare sul serio.
Il mare splendeva sotto ai raggi del sole. Un pugno di glitter non avrebbe retto il confronto. Una volta giunti a destinazione, una stanza fu assegnata al nuovo arrivato, che prese subito parte all'addestramento a cui si sottoponevano le guardie del corpo dei Wang.
Io nel frattempo provai un senso di nostalgia dopo aver varcato le porte di casa di Dimitri, a Busan. Forse perché mi era mancata, forse perché sapevo mi sarebbe mancata ancora di più una volta andata via. La mia permanenza sarebbe stata più breve questa volta.
«Svelta, va a cambiarti. Non c'è altro tempo da perdere!»
Un'ordine esigente mi dissestò dalle mie riflessioni, sentendomi spostata come le valigie che Dimitri afferrò, e che diede alle donne di servizio. Aveva probabilmente smesso di agevolarmi.
La mia camera purché immensa, odorava di chiuso. Una giovane ragazza spalancò tende e finestre esaudendo la mia richiesta mentale di far entrare aria pulita ed un po' di luce. Disteso sul letto, un vestito di pizzo nero aspettava di essere indossato insieme a delle scarpe poggiate sul pavimento del medesimo colore. Non c'era un biglietto scritto, ma il tutto parlava da solo. L'etichetta era ancora intatta. Era elegante ed era stato messo lì per me. Ma una volta esaudita la richiesta di qualcuno, non fui molto contenta di vedere il modo funebre in cui calzava sulla mia pelle biancastra. Avevo un'aria da Morticia della Famiglia Addams. Decisi di indossarlo esaudendo la sua ultima richiesta.
«Sei pronta?»
L'impazienza invasiva dell'uomo che spalancò le porte della mia stanza senza prima chiedere il permesso di entrarvi, gli si rivoltò contro. Non si era preparato mentalmente di rivedermi in quel modo che un tempo aveva descritto puramente perverso. Avvilito da qualcosa che velava i suoi occhi, voltò per andarsene.
«Fermo lì!»
Ma non era ancora arrivato il momento di andare per me.
Fu strano vederlo persistere nel darmi solo le spalle. Non si voltò mai nemmeno per sbaglio mentre mi avviavo verso di lui.
«Fa male?»
Raccolsi la sua mano sulla mia spostandomi di fianco a lui, e aprendo il suo palmo vidi un taglio rosso che era appena stato medicato. A giudicare dalla profondità e dalla zona in costante movimento, appariva essere davvero doloroso.
«Sono sicuro, che questo è nulla in confronto al tuo prezzo. Alla fine di tutto, non sarò l'unico a non aver avuto pietà!»
Lo stesso sguardo avvilito di prima diede show una seconda volta. Ecco a cosa stava pensando, ecco cosa lo affliggeva. Colui che non aveva mai temuto qualcosa, forse stava iniziando a conoscere quella sensazione.
«Dove mi porti?»
Cambiai disperatamente argomento.
«Andiamo a fare una visita, prima che sia troppo tardi. Sono già in ritardo.»
Il suo essere agitato non lo comprendevo però. Magari era dovuto a quanto ci tenesse ad andare in quel luogo, prima di qualsiasi mia azione.
«Puoi almeno spiegarmi perché siamo vestiti entrambi così?»
Ero in procinto di salire in auto, ma mi fermai a notare come fosse nero anche il completo di Dimitri e contestai.
Non riuscivo a spiegarmelo, come non fui nemmeno capace di tenere la bocca cucita.
«È un bel colore. Adesso sali.»
Non mi sentii appagata della sua risposta riparatoria, non me la raccontava giusta. Ma eseguii comunque ciò che mi disse. Volevo accontentarlo un'ultima volta.
Tutto mi apparve più chiaro una volta arrivati al posto in cui mi aveva portata.
Per prima cosa, Dimitri acquistò i fiori più belli e costosi che il fioraio di lì aveva. Poi, varcammo i portali di un cimitero.
Per come morii dentro, avrebbero potuto seppellire anche me. Ci ritrovammo all'interno di una grande cappelletta funeraria di famiglia, con un'urna cineraria e la foto di una donna che sembrava non fare altro che ripeterti di essere la madre di Dimitri per la somiglianza. Il suo nome era JiYeong.
«Madre, per non aver potuto essere qui il giorno del mio compleanno... mi dispiace.»
Ma lui parlava a lei come se l'avesse in carne ed ossa davanti a sé, facendomi rabbrividire non credendolo capace di tutto questo.
«E me lo dici così?!»
Avevo le lacrime agli occhi ed il cuore bloccato in gola.
«Perché non me lo hai detto prima, Dimitri?!»
Sia Nerissa che lui, mi avevano anticipato di quell'incontro e di cosa sarebbe significato, ma non ero stata preparata psicologicamente ad affrontare un'ipotetica suocera deceduta, che mise in ginocchio il cuore del figlio non appena la vide.
«Ad essere onesto, avrei voluto non avere mai il bisogno di portarti qui.»
Era chiaro che soffriva maledettamente per quella perdita, lo capivi dal modo in cui cambiava la sua voce quando ne parlava e da come i suoi occhi si serravano segnalandomi di non voler guardare.
«Sai cosa sto per chiederti adesso.»
Volevo conoscere la storia prima di andare. Continuammo a guardarci attraverso la lastra di vetro che rispecchiava i nostri riflessi.
«Ti avevo detto che una volta che mi avresti sposato, avresti saputo tutto quello che volevi sapere. Ma visto che le cose sono cambiate...non so cosa sia successo, non sono più sicuro di te.»
La sua coda dell'occhio mi guardò spiazzandomi. Avrei immaginato di tutto, ma non che un giorno sarebbe stato capace di dirmi questo.
«Che vuoi dire?»
Temevo forse che lui non mi volesse più? Ero troppo abituata alle sue attenzioni.
«Perché sento che potresti dissolverti nell'aria quando meno me lo aspetto. E non conta se ti posseggo o no. Non puoi dominare il vento.»
Magari il luogo, magari sua madre, magari io... qualcosa lì dentro lo rese vulnerabile come non mai.
Continuai ad ascoltarlo.
«Ma ora che ci penso, più ricordi creerò di me in te, più per te sarà difficile andartene.»
Aveva dannatamente centrato il punto.
«Egoista.»
Mi lasciai sfuggire un pensiero a bassa voce.
«Lo so.»
Sbuffò sorridendo. Poteva dare la perfetta definizione dell'egoismo, all'egoismo stesso.
«Mia madre era una donna bellissima. E fu proprio questo ad ucciderla.»
Era solo l'inizio della storia e ciò che aveva detto mi aveva già scossa.
«A concretizzare tutto fu Kazuki Hayashi. Il padre di Takuma.»
Nessun tuono avrebbe fatto tremare il cielo dentro ai miei occhi, come lo fece la sua sentenza. Molte cose tornarono. La freddezza che avvolse Dimitri mentre uccideva il suo nemico ad esempio.
«Kazuki nutriva una profonda ossessione verso mia madre, e continuò a perseguitare la sua vita anche dopo essersi sposata. Ma non c'era un briciolo di sentimento in ciò che realmente lui provava per lei.»
Sperai che Dimitri si ricordasse di prendere fiato tra una frase e l'altra, ma era troppo turbato dall'era passata in cui si immedesimò.
«Tutto stava nell'incapacità di accettare che mia madre, avesse scelto mio padre a lui. E sai bene che il concetto d'inferiorità nella famiglia di Takuma, è sempre stata la loro più grande rovina.»
Proprio come lo yakuza non avrebbe mai accettato di essere secondo a Dimitri.
«Durante i primi anni di vita miei e di Nerissa, venimmo presi in ostaggio da uno dei suoi Kanbu. Così facendo, riuscii ad attirare mia madre a sé. Quel giorno... era il nostro compleanno.»
Le lacrime scorrevano veloci sul mio viso impedendomi di respirare. Ma feci del mio meglio per restare silenziosa. Era già difficile così.
«L'unica cosa che avrei voluto ricordare di più allora, sono gli auguri mai ricevuti di nostra madre... ma nel solo ricordo che rammento, vi sono le parole di Kazuki Hayashi prima di ucciderla: "se non io, nessuno!"»
Recitò l'ultima cosa che udì sua madre tra una pausa e l'altra. Non smetteva di causarmi brividi.
Ammirai Dimitri per la forza che trovò nel raccontarmi di come la famiglia Hayashi fu una maledizione per la sua, fin dal principio.
«E da questo, puoi anche dedurre la ragione primaria per cui io sia entrato a far parte di questo mondo. Non ero molto felice quando ho iniziato, ma la forza di vendicare mia madre mi ha reso una persona felice oggi.»
Si era sentito costretto ai contatti stretti con la mafia per amore della madre e oggi ne era rimasto intrappolato diventandone il leader assoluto.
«Felice...»
Sussurrai parlando a me stessa, ipnotizzata da un punto inesistente e affogata dal mio pianto.
«Che fine ha fatto Kazuki?»
Durante quelle lacrime, il tono della mia voce cambiò come di norma accade mentre si piange.
«La Katana che hai impugnato tu stessa, non ha reciso solo il corpo di Takuma. E lui la teneva lì in alto esposta come un trofeo.»
Ciò che Dimitri stava cercando di dirmi, era che avevo sguainato la stessa arma che conteneva l'anima di chi aveva ucciso sua madre.
«Perché Takuma avrebbe ucciso suo padre?»
Più il tempo passava, e più quell'essere si designava essere stato per davvero un demone.
«Perché Kazuki Hayashi, era anche il suo Kumicho. Ed ha allevato un mostro fino ad essere incapace di controllarlo esso stesso.»
L'odio profondo con cui lo yakuza mi aveva parlato del suo Kumicho, era difficile da dimenticare. Ma nel sapere che quell'uomo era suo padre, ebbi paura nonostante non avessi più nulla da temere.
«Quando Takuma ti ha rapita...»
Si fermò qui. Capii dove voleva arrivare. Ma forse a parole non riusciva a spiegare come si era sentito.
«Ti ho visto mentre lo uccidevi. Senza cuore.»
Tornai con la testa sulle spalle, provando a dire qualcosa per andare incontro a ciò che stava provando a dirmi.
«Al contrario. L'ho fatto con tutto il mio cuore!»
E lo disse con tutto il sentimento.
I nostri occhi si incrociarono senza alcun vetro di mezzo. Questa volta riuscii a leggerli. Sarebbe risultata inquietante la sua frase, se dietro ad essa non ci fosse nascosta la motivazione che era ciò che lui sentiva per me. Rassicurò un'istante la mia paura di aver rischiato la pelle come sua madre.
Ma mi vide, mentre annegavo in quella valle davanti ai suoi occhi. Non era soltanto la sua storia a smuovermi il cuore in quel modo. Era come aveva detto lui. Le sue radici in me, mi facevano male. Mi faceva male lasciarlo. Sempre di più.
«Non sei obbligata a punirmi.»
Se voleva aiutarmi, rendeva tutto più complicato.
«Lo sono eccome.»
Era il modo giusto in cui dovevano andare le cose, a ordinarmi cosa fare.
«Vederti in questo stato è già un alto prezzo che sto pagando, ma così lo stai pagando anche tu.»
Si avvicinò a me dicendomi una verità. La mia testa si abbassò per non guardarlo.
«Dov'era tuo padre mentre gli portavano via la madre dei suoi figli?»
Ripresi l'altro argomento pregando di non ottenere un'altra ragione per odiare Hyun Shik.
«Mio padre... lui ha lottato tanto. Ma è riuscito a salvare soltanto me e Nerissa, proprio come avrebbe voluto lei.»
Quasi non mi sentii all'altezza di stare senza un mazzo di fiori di fronte a quella donna che aveva sacrificato se stessa per l'amore dei suoi figli.
«Per questo motivo, mio padre non è mai stato propenso ad aiutarmi a porre fine alla stirpe degli Hayashi. Non perché non nutriva un senso di vendetta dentro di lui, ma perché c'era il rischio di perdere anche un figlio oltre ad una moglie. E non voleva rendere vano il sacrificio di mia madre.»
Concluse così il suo discorso.
Ed io mi divisi in due: quella che non disprezzava suo padre Hyun Shik per ciò che mi aveva fatto, e quella che si sentiva profondamente dispiaciuta per le parole amare che gli avevo scagliato contro l'ultima volta che ci eravamo incontrati, quando lo feci sentire una nullità come genitore. Una nullità come padre. E per questo mi arrabbiai con Dimitri.
«Perché hai preso le mie parti mentre addossavo quelle colpe ingiuste a tuo padre?!!»
Mi tornò in mente di quella volta memorabile in cui Dimitri gli aveva chiesto di rispettarmi, ma avrei preferito essere corretta considerando come stessero davvero i fatti.
«È così difficile? Uno! Tu sei la mia donna. E questo per me significa che chiunque osi mancare di rispetto te, manchi di rispetto prima me.»
I suoi denti si strinsero marcando alcune parole per mettere in chiaro il più possibile il primo punto. Sfogò la sua rabbia aiutandosi gesticolando con le dita.
«Due. Non sapevi di come stessero realmente le cose, ma non hai avuto del tutto torto.»
Probabilmente stava cercando di dirmi che aveva subito ugualmente delle mancanze da parte del padre durante quegli anni.
«Tre. E puoi anche negarmi questo, ma mi è piaciuto il tuo modo di reagire qualora i fatti fossero stati davvero quelli.»
Assunse un piccolo sorriso misto alla sua ira momentanea, che si disgregò subito dopo.
Ogni parola... ogni parola che diceva, faceva breccia nel mio cuore introducendosi sempre di più dentro di me, proprio come l'agopuntura cinese. Quando quell'ago affilato viene infiltrato nelle tue vene per aprire i varchi della tua vita, facendosi strada trasportato dal tuo stesso sangue che scorre, fino a toccarti il cuore e farti sua per sempre, con una morte già prevista e consapevole di venirti a trovare. Ed io avevo già scelto come sarei morta.
«Aspettami qui!»
Fui diretta, nella speranza di non essere intralciata in alcun modo.
Girai il passo seguita dagli occhi accorti di Dimitri sempre in guardia su di me. Non si oppose al mio allontanamento, si era stranamente fidato di me e questo mi faceva ancora più male.
Il fioraio proponeva una quantità inesauribile di ogni tipologia di fiori e piante che profumavano l'intera zona. Shiori ne sarebbe andata matta. Comprai i più freschi e luminosi, erano bianchi e perfetti per la memoria dell'anima di quella donna. Tornai indietro con il cuore che stava per uscirmi fuori dal petto, perché già sapevo.
Dimitri fu contento di vedermi compiere quel gesto improvviso. Ma non lo sarebbe stato se avesse sentito cosa sussurrai all'immagine di sua madre, quando mi avvicinai per sistemarle i fiori.
«Perdonami, madre di Dimitri. Perdonami, se è proprio il figlio suo, l'uomo della mia vita.»
Percepii la tristezza invadermi il cuore, come l'acqua riempie un torrente.
Mi sentii in dovere di scusarmi con lei, nonostante fosse stato Dimitri ad aver accettato di pagare un prezzo.
«Buon compleanno, figlio mio! Sono certa che tua madre, avrebbe voluto tanto dirti questo.»
Diedi voce al cuore di ogni madre.
Le lacrime di Dimitri furono l'ultima cosa che mi permisi di vedere, prima di abbandonarlo lì... affogato tra i ricordi del momento più atroce che visse da bambino. Fui cattiva, bastarda, senza cuore. Ma forse, solo così avrebbe smesso di volermi accanto. Odiandomi.
Scomparvi dietro di lui silenziosa come i passi della morte, mentre lui era perso nella donna che lo aveva messo al mondo.
Non aveva permesso a nessuna della sue guardie di entrare in quel posto sacro. Ed ero certa che se ne fosse pentito amaramente, perché fu la chiave che mi permise di scappare.
Ma non avrebbe dovuto preoccuparsi di punirmi o vendicarsi di me in futuro, lo stavo già facendo io. Mi condannai ad un ergastolo d'amore. Tutta la voglia ed il bisogno di tornare indietro da lui, li mandai giù piangendo. Dentro ad ogni mia lacrima, c'era una lettera del suo nome. C'era il mio amore per lui, c'erano tutti i sentimenti e le cose che avrei voluto dirgli. C'erano tutte le cose che avrei voluto fare. Tutti i posti in cui sarei voluta andare insieme a lui. Piansi di tutto. Non vi era inverno più freddo di quello che portavo dentro.
Vagai nel nulla, perdendomi nelle strade ed in luoghi mai esplorati prima. Giunsi ad un punto in cui non avevo più niente. Nemmeno la forza per proseguire. L'andare avanti non mi interessava più. Non ci trovavo niente di eclatante. Mi stancava solo al pensiero, portandomi ad uno stress psicofisico oltre le mie tolleranze.
Era un suicidio. Ed era soltanto l'inizio.
Ma prima di fermarmi ed arrendermi ad un prato oscurato dalla notte, intravidi il volto di qualcuno che vegliò sul mio sonno sfinito.
Non fui certa di chi fosse, ma sapevo però che non era lui.
Dimitri, lo avrei riconosciuto anche con gli occhi velati dal sangue.
Ma quello non doveva essere lui.
E per mia fortuna, non era lui.

REDAMANCY Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora