이십 육

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Sedicesimo giorno di Agosto del 1994.
Lily Shiori Saitō aveva segnato quell'anno emettendo il suo primo pianto tra le braccia della madre, dopo essere appena venuta al mondo.
Lily era il piccolo giglio profumato della sua cara mamma, ma lo fu soltanto per i suoi primi dieci anni di vita. Fino a quando qualcuno, decise di strapparle tutti i petali vendendola ad un Okiya.
"La rivedrai presto!" le dicevano, "se farai come ti dico, ti farò incontrare tua madre!".
Era così che la crescevano, nutrendola di menzogne mentre imparava inconsapevolmente a diventare la Geisha più bella e ambita di Kyōto. Lasciare una bambina a giocare per le strade poteva essere normale lì dove primeggiava la pace e chiunque lo faceva indisturbato. Ma di certo, non era mai completamente sicuro. C'era chi ancora pativa la fame ed era disposto anche a vendersi l'anima pur di avere un pasto quotidiano, o nei casi peggiori... a vendere gli altri. Lily venne usata per ricavarne del denaro, e la allontanarono per lunghi chilometri irraggiungibili per una madre senza mezzi a disposizione, anche se avesse saputo dove la figlia fosse finita.
Gli anni in cui Shiori visse a Kyōto erano vicini al secolo moderno, portatore della stessa ribellione per quella schiavitù a cui era stata avvezza. La tradizione si andava perdendo con il passare degli anni, e trovare una Geisha era arduo. Ma chi combatteva per mantenere il folclore del Giappone, ne era ossessionato a tal punto da prendere parte ai commerci illegali di persone.
La piccola apprendista Geisha fu però capace a distinguere quelle due ere ben diverse della sua vita. Sapeva giudicare normali e giusti i primi dieci anni di essa trascorsi a Sapporo, ed ingiusti e sbagliati gli altri dieci da Maiko, allieva addestrata nell'arte della Geisha. Per tali ed ovvie ragioni, non voleva sentirne parlare dei suoi numerosi pretendenti chiamati Danna. Un Danna era colui che si occupava di tutto ciò di cui potesse avere bisogno una Geisha, dai regali costosi, fino a giungere a saldare il debito che aveva la Geisha nei confronti della sua Okasan, la proprietaria dell'Okiya.
Ma Lily sentiva di non avere alcun debito, non era arrivata fin lì dove si trovava per sua scelta. Lei non voleva vendersi un'altra volta, e non avrebbe permesso che la sua Okasan stringesse alcun contratto stile nuziale con un Danna per conto di Lily, a meno che essa non vi trovava l'amore in quell'uomo.
Lily era l'eccezione della casa. Ma forte com'era lì dentro, al di fuori di quelle mura quasi tremava all'idea di esserci. Da quando mise piede all'interno dell'Okiya, non ricordava più il colore dei campi, i bambini che giocavano sull'erba, poteva solo ammirare le rondini svolazzare libere nei cieli dall'alta finestra della sua stanza. Essendo stata rapita, nessuno poteva vederla. Era un prigione.
Ma la paura non la fermò a lungo. A 15 anni Lily aveva già pianificato la sua via fuga, e una volta divenuta maggiorenne il coraggio le bussò alla porta. Una porta blindata dal terrore delle parole gonfie di menzogne raccontate dalla sua Okasan su come il mondo fosse, pur di convincerla ad accettare un Danna.
L'età che si era prefissata fu scavalcata di qualche mese da quella sua paura travolgente. Mesi dove tutte le torture giornaliere che subiva da parte delle altre Maiko non mancavano mai. Fu questo a farla scappare attuando il suo piano dopo una lunga guerra con se stessa.
Il mondo lì fuori, si era evoluto. Così come i mezzi.
Quando Lily andò alla ricerca di sua madre, la trovò in una tomba costruita dall'atroce ed incomparabile dolore di essa nel perdere la sua unica figlia. Non ebbe nemmeno la possibilità di andare alla ricerca di un padre, non aveva neppure pronunciato quella parola una singola volta. Sua madre non gliene parlò mai. Sapeva solo che sul davanzale della cucina della sua prima casa a Sapporo, vi era un quadro con una foto in bianco e nero di un uomo ed una piccola candela che mamma Airi Maeda accendeva ogni santo giorno. Da qui una volta diventata capace di creare pensieri, ipotizzò che suo padre fosse morto per un motivo a lei sconosciuto prima che nascesse.
Un anno ancora servì a Lily per ambientarsi alla sua nuova vita, cambiare nazione, e stabilirsi a Busan seppellendo definitivamente la vecchia Lily, portatrice di un passato disumano. Il suo "lieto" fine diede luce ad una donna nuova dal nome Shiori.
E questa meravigliosa donna, si trovava proprio di fronte a me.
Kaede aveva messo nuovamente a disposizione la sua casa per permetterci di dialogare senza intralci ed omicidi vari. La sua delicatezza ci aveva lasciate da sole, ritrovandoci l'una davanti all'altra, sedenti sul letto su cui avevo dormito la notte precedente.
Il vento tirava fuori dalla finestra e spogliava gli alberi di Sakura in primavera, ma erano solo i petali secchi e stanchi di un inverno piovoso che cedevano spazio ai nuovi. L'asfalto era bagnato e si era ingrigito di cinque toni più scuri. I colombi zampillavano un po' di qui e un po' di là, spaventati dai mezzi che sfrecciavano al confine di quel marciapiede. Erano in cerca di qualcosa su cui affondare il becco, ma tutto ciò che era rimasto era stato inzuppato dalla pioggia che non smetteva di cadere dalla volta celeste lentamente. I cartelli stradali erano sbiaditi, come la fermata del bus. Balconi madidi insieme ai tetti delle loro case, sfiorati dalle cime degli alberi che dissetarono le loro radici, pronti ad allagare l'intera città se solo fossero stati strizzati. Il rombo improvviso di un aereo proveniente dall'aeroporto più vicino, mi dissestò il cuore nel perdere un battito. Sembrava stesse per atterrare su di me ricordandomi del mio viaggio ad Aspen e rendendomi inevitabile l'innalzare della mia testa per controllare, ma vidi solo nuvole bianche e grigie sfumate, che sfociavano in alto come in un dipinto. Un bacio, e poi un altro ancora scoccò sulle labbra di una coppia. Impiegai all'incirca un minuto per visualizzare l'intero scenario, ma in tutto ciò che vidi ci trovai una cosa soltanto in comune: non c'era lui. Ma nella sua assenza, lui era ovunque.
Premetti il tasto OFF sulla sezione dei pensieri e mi dedicai alla mia Shiori. Come avevo già deciso, le raccontai tutto senza saltare una virgola. Misi un fermo alle menzogne. Aveva anche visto Levi minacciarmi con una pistola, altre bugie non avrebbero aiutato in una situazione limpida come quella.
«Non voglio chiederti scusa per averti tenuto tutto nascosto. L'ho fatto per proteggerti, e lo rifarei ancora. Ma vorrei che tu accettassi le mie scuse per averti mentito tante volte, per essere sparita, per averti comunque procurato del male. In un modo o nell'altro avresti sofferto.»
Ero pronta a scusarmi di tutto quello di cui mi sarei dovuta scusare, senza tralasciare niente.
«Io... io non-»
Lo sguardo di Shiori si alternava tra rabbia e tristezza.
«Shiori, non devi dire niente se non riesci. Spero solo che tu possa capirmi e perdonarmi un giorno.»
Le nostre voci tremavano, ed io avevo il sentore che questa volta l'avrei persa con le mie mani.
«Smettila di dire queste cose, tu non ti rendi conto! Mi sono preoccupata così tanto Crystal!! E adesso che so che sei stata in pericolo per tutto questo tempo... vorrei ucciderti solo per non avermelo detto, imbecille!»
La lasciai urlarmi addosso mentre si affogava con le sue stesse lacrime. Finii per gettarmi tra le sue braccia, importandomi solo di quanto mi fosse mancata.
«Scusami, scusami, scusami ancora e finché avrò fiato ti chiederò scusa!»
Provai ugualmente a parlare bevendo gocce di lacrime salate.
«Shh, non dire più niente.»
I sussurri a volte, sanno lacerarti il cuore più di ogni grido.
Ci vollero giorni per chiarirci completamente e raccontarci tutto ciò che ci eravamo perse l'una dell'altra.
Costrinsi Shiori a prendersi delle ferie dal Sakura Coffee per qualche settimana, assumendo qualche impiegata che potesse gestirlo al posto suo. Al momento lei era ancora a rischio.
Iniziai a cercarmi un appartamento per togliere il disturbo a Kaede, ma quasi mi urlò contro che sarebbe stato troppo pericoloso vivere da sola e senza una protezione per qualche mese ancora. Era troppo presto per tutto. Insistette affinché restassi da lui più a lungo.
I giorni passavano, ma erano vuoti... uno dopo l'altro.
«Allora, mi hai parlato di un'infinità di cose, ma non mi hai ancora parlato di questo Dimitri.»
Shiori mi porse una tazza di tè caldo, accovacciandosi al mio fianco sul divano di casa sua.
L'andavo a trovare nel pomeriggio, ovviamente sorvegliata dal guerriero Kaede che non ne voleva sapere di lasciarmi andare da qualche parte da sola. Gli dissi allora di portarsi il suo amico Yuta per impegnare il tempo con lui e poter parlare da sola con Shiori.
L'albero di Natale che aveva allestito, era magnifico. La stella sfiorava quasi le travi di legno che componevano il tetto.
La grande finestra ti mostrava le luci della città, ed il camino acceso arredava perfettamente quell'aria festosa.
«Cosa vuoi dire?»
Nonostante fosse passato diverso tempo, andai in panico al suono di quel nome. L'argomento era intoccabile.
«Lui, com'era?»
La ragazza curiosa aveva cercato svariate volte di estrapolarmi qualcosa al riguardo, ma la mia risposta non si interessava a cambiare.
«Te l'ho già detto, nulla di piacevole.»
Mi ustionai con la bevanda bollente per punire la mia lingua bugiarda.
«Però non ho potuto fare a meno di notare che sei diversa Crystal. Per favore, non mentirmi ancora.»
I suoi occhi da cerbiatta dolce mi pregavano di darci un taglio anche con quelle piccole bugie ben motivate.
Solo che, parlare di nuovo di Dimitri avrebbe riaperto in me una voragine pronta a risucchiarmi dentro.
«La verità è che parlare di lui non mi aiuta ad andare avanti.»
Mi incupii come un cielo in pre tempesta.
«Ma prima di andare avanti, è necessario affrontarli i propri mali. Sai, parlare di qualcosa aiuta a liberarsi dentro.» 
Il suo sorriso sperava di avermi convinta.
«Lo vuoi davvero? Dovrei sul serio?»
Pregai che quel tasto non fosse così importante per lei.
«Mi aiuterebbe a capirti dentro.»
Ma non cambiò idea, bensì sviluppò una saggia riflessione. Proprio da Shiori.
«D'accordo. Non mi nasconderò ancora!»
Volevo smettere di deluderla.
«D- D... lui»
Inizia provando a sibilare il suo nome, ma fallii miseramente.
«Lui, è una persona che quando la incontri e la guardi per la prima volta, non ti immagini di sapere chi sia veramente.»
Ritornai con la mente a quel falso viso angelico.
«Misterioso?»
Shiori amava provare a descrivere le persone.
«Il mistero in persona! Ma sappiamo tutti cosa provoca il mistero: attrazione e curiosità. Quando lo vedi, sei inevitabilmente attratta da lui.»
Le mie iridi vagavano nell'aria come a disegnarlo, Shiori mi seguiva.«Lui, ti segna. Anche solo guardandoti, ha già lasciato la sua firma su di te.»
Mi sentii masochista a ferirmi così. Più dettagli esponevo, più la corda immaginaria attorno al mio collo si stringeva.
«È potente... ma non ti parlo di quel genere di potere, perché si sa già che è il supremo. Ti parlo invece di lui, la sua persona, la sua aura. Ti travolge, può manipolarti, dominarti, farti sua e se non riesce in qualcosa, lui non si ferma.»
Spiegai di come fosse capace a muoversi nel suo territorio.
«La sua figura ti prende in ogni atomo del tuo corpo e se credi di poter fuggire, non potrai mai farlo per davvero, perché...»
Mi bloccai rendendomi contro troppo tardi di essere quasi incapace di respirare, con le lacrime che scorrevano come acqua furente di un fiume.
«...Perché sei già sua.»
Come lo ero io.
Il mio corpo era andato via da lui, la mia anima la possedeva ancora.
«Caspita,Crystal! Tu, tu provi qualcosa per lui?»
Era incredula e quasi spaventata dai miei sentimenti pericolosi.
«I miei sentimenti verso di lui, non hanno senso. E ciò che non ha senso, non vale niente. Quindi, no.»
Il mio cervello funzionava a disperazione. Tristemente da manicomio.
«Non esiste un sentimento insensato che ti faccia piangere. C'è una ragione a tutto. Avrai visto qualcosa in lui, ti conosco e non soffri della sindrome di Stoccolma!!»
Terminò bevendo un sorso dalla sua tazza per inumidirsi le labbra.
«Oh, l'ho presa in considerazione milioni di volte, ma...»
Lasciai la frase sospesa per qualche secondo rivalutando quella sindrome e lasciando Shiori sulle spine.
«Ma sì, ho visto altro in lui.»
Sentii di nuovo quel freddo dentro.
«Esaminiamo bene cos'hai visto e come lo hai capito.»
La sua voce tranquilla mi rasserenava come se fosse tutto apposto. Voleva studiarmi per darmi la soluzione al mio malessere. Ma addentrarmi ancora di più nell'argomento e pensarlo, mi faceva stare peggio. Era come un ipnosi regressiva.
«Non lo so con esattezza, quel che so è che non avevo previsto tutto questo. Sapevo che avrei sofferto la sua mancanza, ma mi ero limitata ad aspettarmi solo quello. Sapevo anche che mi avrebbe aperto così il cuore in due. È solo che tra l'immaginarlo ed il viverlo, c'è di mezzo un abisso.»
Poter finalmente dire a voce il mio stato d'animo dopo un lungo tempo, per quanto doloroso, mi aiutò davvero come aveva detto Shiori ad aprire la gabbia del mio cuore dove mi ero rinchiusa.
«Ogni cosa di lui... mi manca. È come se la mia vita avesse perso il suo profumo. Non sa più di niente adesso. Vivo in un tormento continuo, un purgatorio che tende all'inferno.»
La mia testa diceva di no, mentre la soffice mano di Shiori raccoglieva le mie lacrime accarezzandomi il viso.
«E così ti sei innamorata di lui. È chiaro.»
Parole giuste quanto sbagliate.
«Non lo dire.»
Distolsi lo sguardo e dissetai la mia gola ardente.
«Non costruirò mai un muro davanti al tuo cuore, ma sai bene chi è lui.»
Capii perfettamente il suo punto di vista. Aveva paura per me.
« Lui è Wang Dimitri. Questo è tutto.»
Riuscii a pronunciarlo. Soltanto il suo nome descriveva perfettamente chi fosse.
Il suo nome era un comportamento, un'attitudine, un'umore, un'etichetta di potere.
«Ma adesso non pensiamoci più. Ti ho fatta piangere abbastanza per oggi. Coraggio, ti aiuterò io!»
Poggiò la sua tazza su un tavolino e si alzò in piedi di fronte a me tendendomi la mano.
La guardai titubante proprio perché la conoscevo bene, e sapevo che per Shiori passare da una tazza di tè ad un Mojito era un attimo.

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