십육

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«Sei consapevole del fatto che tornerai in Sud Corea senza di me?»
Quella non era una casa. Era una villa da un valore inestimabile. Ed io mi ero come imbambolata ad ammirarla da fuori. Totalmente innamorata della neve cristallina che ricopriva il suo tetto e degli altissimi alberi di pino verdi che la circondavano come a proteggerla, lasciando solo un prospetto libero. Le montagne sul retro, anche loro vestite di bianco, creavano un retroscena mozzafiato. Ma quello Chalet era così grande da rendermi faticoso la totale inquadratura in una sola volta.
«Ti piace così tanto? Possiamo venirci a vivere dopo avermi sposato! Quando guarderai anche me in quel modo.»
Dimitri si affiancò a me cogliendo l'occasione di ricordarmi del matrimonio. Rinfacciare le cose non faceva parte del mio registro da brava ragazza, ma lui si meritava quel tipo di risposta che mi stavo preparando a dargli.
«Credi di avere ancora il diritto di sposarmi?»
Lanciai un'occhiata al mio Ryū coperto dagli abiti per rendergli l'idea di ciò a cui mi stessi riferendo. Doveva provare almeno un minimo senso di colpa per aver contribuito alla mia pena.
«Ti ho già detto che non ho bisogno di diritti per ottenere ciò che voglio!»
Premesso questo, si avviò verso l'ingresso del suo nuovo acquisto scintillante.
Lo avevo fatto innervosire parecchio scoprendo che quello era un argomento che lo turbava. Quelle stesse parole che mi rivolse in passato richiamarono la memoria, e in aggiunta presi anche lezioni da lui per quanto riguardasse il legame tra l'evitare le persone ed il nascondere le cose. Adesso non ero più la sola a nascondere qualcosa. Sostai indugiando sul posto per qualche minuto, ma poi il freddo mi costrinse ad entrare.
Prima di iniziare ad esplorare gli interni dello stabile, mi infilai dritta al primo bagno che vidi e mi permisi una doccia cambiandomi anche i vestiti. Questa volta trovai una scelta più ampia tra i colori del mio guardaroba. Dimitri aveva smesso di comprarmi qualsiasi cosa di nero gli passasse davanti, sostituendo la sua mania con il grigio ed il bianco. I colori dell'arredamento mi ispirarono ad un vestito corto gainsboro, con le maniche lunghe ed i lacci della scollatura congiunti al retro del collo, formando in tal modo un fiocco che scendeva lungo la schiena nuda. Optai di proposito quest'ultimo dettaglio per il mio irezumi. Non mi era ancora possibile coprirlo a causa del tessuto degli indumenti che continuavano ad irritarmi la zona. Dovetti infatti sopravvivere ad un fastidio lancinante per tutto il viaggio. Era mal curato. Avrei dovuto prestargli più attenzione. Non mi sentii a pieno agio con la schiena scoperta ed il drago ben in vista che si nascondeva sotto ai miei lunghi capelli, ma per fortuna almeno la temperatura dell'ambiente era favorevole.
L'interno era molto accogliente e profumava già di relax e benessere.  Dimitri se la passava meglio di chiunque altro. Sapevo però che era pur sempre illecito. Con tutto il mio tempo mi misi a contare i piani e le stanze. Il pianterreno era un mondo fatto da sofà dalle mille forme, cuscini che superavano la proporzione media di un corpo umano, schermi piatti dalle dimensioni cinematografiche, un camino rivestito con della pietra in avorio, e la cucina del medesimo colore. Lo stile che primeggiava era il moderno contemporaneo. Vi erano anche molteplici camere con dei letti matrimoniali per ognuna. Salendo di un piano i vani aumentarono. C'erano locali creati appositamente per le attività di riposo, di hobby o per lavoro. Una palestra, una biblioteca su cui ero certa avrei trascorso ore intere delle mie giornate, una stanza per la scrittura, un'altra attrezzata di computer e tecnologie varie, e un reparto munito di sportelli divisori che separavano degli studi. I bagni erano invece distribuiti su ogni piano in diverse stanze. Ma non era finita qui. Avevo ancora un'altra scalinata bianca da transitare.
Il clima dell'ultimo piano era fermo e privato. Mi ritrovai su un piano rialzato, con tre scalini da dover scendere per poter godere di quel salone composto da un pianoforte, altre poltrone e divani disposti ad angolazione rettangolare. Ma la parte più bella e ambita dello chalet, era l'enorme vetrata che surrogava gran parte della parete. Anche nel resto dei piani vi erano questo genere di vetri. Rendevano quasi trasparente l'abitazione. Ciò che contraddistingueva quest'ultima, era la veduta. Dava la sensazione di poter toccare la cima delle Rocky Mountains. Tanta magnificenza non l'avevo mai vista nemmeno nei quadri. Non potevi sentirti di certo sola con quella vegetazione ricca di pioppi ed alberi di pino che ti facevano compagnia. Sembrava di stare fuori, ma al caldo. E come se non bastasse, c'era la neve a donare splendore ad ogni cosa su cui essa si poggiava, decorando tutto con i suoi ghirigori.
Il piano era composto anche da terrazze e balconi, finestre scorrevoli ed un letto matrimoniale a tre piazze. Uno soltanto. Questo doveva essere a tutti i costi l'appalto di Dimitri. Tornai a godermi la mia vista preferita gravando la parte inferiore del mio corpo sull'appoggio laterale del divano, le braccia incrociate al petto e lo sguardo concentrato verso le stalattiti che pendevano come gioielli dai rami.
Contemplare il complesso divenne la mia nuova passione.
«Sai riconoscere le cose belle allora! Peccato che non è lo stesso con le persone.»
L'uomo che mi aveva portato lì scherzò sopra la sua bellezza fisica non sentendosi apprezzata, quando invece era forse l'unica cosa che gradivo di lui.
«Non sai quello che dici. Tch!»
Singultai pentendomi di essermi fatta sfuggire quel pensiero in un sussurro. Dimitri si mosse più velocemente stabilendosi di fronte a me e copiando la mia posizione.
«Che hai detto?»
Aprì bene le orecchie per sentirsi ripetere da me che era l'uomo più bello che i miei occhi avessero mai incontrato, ma ovvio come la morte, non parlai. Se aveva afferrato quel sussurro, ci sarebbe arrivato da solo.
Senza accorgermene spostai lo sguardo ad una visuale che non era Dimitri. In sua risposta riuscii a scorgere con la coda dell'occhio che si era appena sollevato dal bracciolo del divano avvicinandosi a me. Sciolse soltanto un braccio dalla posizione conserta e prese il mio mento con la sua mano costringendomi a guardarlo. Adesso era vicino, improvvisamente, troppo vicino. Il suo profumo inebriante sommerse quello della stanza insieme al suo calore.
«Sto iniziando a piacerti.»
La malizia era la nuance preferita dei sorrisi di Dimitri, infatti piegò verso l'alto soltanto una parte delle sue labbra assumendone l'emozione.
Non potevo reggere tutto questo. Avrei potuto cedere. Feci pressione e mi voltai di nuovo verso il vetro riuscendoci, questa volta mi aveva presa delicatamente per non farmi del male pensai.
Ma non gli andò ugualmente giù il mio atteggiamento. Il gioco per lui era appena iniziato, ed era così divertito al contrario mio. Ripetè l'azione, ritrovandomi nuovamente la mandibola più stretta che toccava il suo palmo.
«Non costringerti a rinnegarmi!»
Ne era passato di tempo da quando avevo avuto un contatto così vicino e intimo, con lui. I millimetri avrebbero voluto uccidere per essere annientati tra di noi.
«Io non costringo nessuno, a differenza di qualcuno!»
Mentii. Avevo iniziato già da un po' la procedura del distaccamento, costringendo me stessa a prendere le distanze da lui. Inclinai la testa guardandogli le labbra come punto di riferimento alla mia bugia. Per una che non sapeva mentire, il contatto visivo era troppo rischioso.
«Però dirlo guardandomi negli occhi no, eh? O per caso le mie labbra, rappresentano una forte distrazione per te?»
Nessuna delle due opzioni si schierò dalla mia parte, allora optai per la terza.
«Stai parlando di te, o sbaglio?»
Imparai ad usare la carta dello specchio riflesso da lui. Adoravo quando avevo la possibilità di puntargli le sue armi contro.
«Mi ammiri così tanto da voler essere la versione femminile di me?»
Dimitri si rese conto troppo tardi della gravità di quella domanda a cui apparteneva già una risposta ancor prima di essere pronunciata. Come avrei mai potuto desiderare di essere la versione femminile di chi mi aveva rovinato la vita? Sapevo che si era trattato di una battuta per tenermi testa, ma senza che me lo aspettassi riaprì in me le ferite su cui lavoravo ogni giorno, ogni ora ed ogni dannato secondo per poterle ricucire.
«Tu sei...»
Non fui in grado di finire di esprimermi che le lacrime immersero i miei occhi minacciando di rigarmi il volto. Questo indebolì la presa di Dimitri ed il suo sguardo perso che stava ancora cercando di elaborare cosa fosse accaduto.
Mi staccai il più possibile da lui, volevo uscire a prendermi il gelo anche a costo di congelare per ipotermia. Ero fuori dalla portata del boss, almeno questo era quello che credevo.
Una presa cinse il mio polso bloccandomi quasi la circolazione sanguigna e non permettendomi di scalare il piano. Venni trascinata nella stanza da letto più grande. La porta venne sbattuta furiosamente ed io mi ritrovai impotente sotto le mani veloci di quell'uomo. Cinse le mie spalle e mi avvicinò il più che poteva stretta a lui. Il suo petto contro il mio. Prese i miei capelli e li avvolse attorno alla sua mano.
«Perché credi che io mi sia incazzato poco fa?»
Due iridi penetranti fissarono qualcosa dietro di me. Lentamente volsi la testa con un accenno di paura. In piedi c'era una lungo specchio che non avevo notato prima. Dimitri ci guardava il mio riflesso dentro e le sue parole indicarono il mio Ryū ed il modo in cui si infuriò con me prima di entrare.
«Pensi che io non provi niente al riguardo?!»
La sua voce era aumentata di qualche ottava e riuscivo a sentire i battiti accelerati del suo cuore scontrarsi con il mio. Non ero capace di credere a ciò che stesse dicendo. Affrontare quel drago era un incubo per me.
«Dimmelo tu...»
Guardai Dimitri dallo specchio, ma prima di continuare preferii voltarmi a guardarlo dentro, attraverso i suoi occhi.
«...cosa provi.»
Lo spiazzai.
Non avevo alcuna voglia di mettermi ad urlare, né di litigarci. Parlai a lui invece con il tono più lieve, cauto, quasi rotto che possedevo.
Eravamo così vicini che avremmo potuto udire i pensieri l'uno dell'altro. Io fissavo lui, lui il mio riflesso. Lo resi vulnerabile.
«Non lo vuoi sapere, fidati.»
Sembrarono petali di rose vellutate quelli che invece erano le sue dita accarezzarmi la schiena, con la delicatezza più cortese di una piuma.
«Metà della colpa è la mia, quindi imparerò ad andare d'accordo con lui, anche se litigheremo spesso...»
Dimitri parlava al mio Ryū come se fosse una persona in carne ed ossa, ma in realtà non era altro che una sua colpa con cui si sarebbe ritrovato a fare più volte i conti. Forse, per sempre. Sapeva che avrei avuto bisogno di un tempo lungo ed indefinito per superarlo, o nel peggiore dei casi, non lo avrei superato mai.
«Non è detto, potresti non vedermi mai più un giorno.»
La cruda verità, era che non lo sapevo nemmeno io. Ma non importava ciò che il mio cuore diceva. C'era una sola risposta a tutto.
«Tu sei il nemico per me. Non scordarlo mai.»
Ero consapevole di aver rimproverato più me stessa che lui.
La mano con cui lui teneva i miei capelli aumentò la stretta inclinandomi la testa all'indietro. Quello fu un gesto violento.
«Io sarò tuo marito! Tu non hai ancora conosciuto la parte cattiva di me. Non scordarlo mai.»
Fu un sussurro più lacerante di un urlo.
Ogni volta che mettevo in discussione il nostro rapporto, lo vedevo uscire fuori di sé. Come se le mie parole lo ferissero.
La luce del giorno si affievolì con il passare delle ore, ma grazie alle luci dorate delle illuminazione esterne si riusciva a vedere qualcosa. Trascorsi la giornata a studiare dove le cameriere avessero riposto la mia roba. I ragazzi mi avevano lasciato prendere l'unica stanza del piano di mezzo, avrei avuto un po' di privacy anch'io. Saltai la cena per essermi sbadatamente addormentata, quel viaggio mi aveva stremata. Non avrei comunque mangiato, il mio stomaco era chiuso.
Più tardi scesi al piano di sotto dove trovai tutti i ragazzi acciambellati in cerchio nei divani, in balìa ad una conversazione animata. Gli avevo sentito dire che stavano aspettando notizie da chi era andato a cercare Takuma. Dimitri aveva mandato alcune squadre di uomini per trovarlo il prima possibile. Percorsi le scale silenziosa, ma c'era qualcuno che non si tradiva mai a cui piaceva annunciarmi sempre prima del previsto.
«Ohh, la ragazza Samurai si unisce a noi!!»
Julius sfoderò uno dei suoi sorrisi più carini ottenendo la stessa reazione dagli altri.
Forse per loro era un vanto dilaniare qualcuno con la Katana, ma non per me. Era qualcosa di cui non andavo per niente fiera. Molto spesso dimenticavo del mondo in cui mi trovavo. Avrei dovuto iniziare a prendere alla leggera quei commenti che per loro non avevano alcun peso ed erano detti con l'unico scopo di divertirsi, mentre a me continuavano a frammentare l'anima.
«Vuoi che ti insegni qualche mossa Julius?»
Provai con uno sforzo immane a fare dell'ironia, ricavandone la risata dei presenti.
Di Dimitri nessuna traccia. Al centro c'era un tavolino da salotto sopra un grande e morbido tappeto con dei cuscini sparsi.
Mi accovacciai lì per poter vedere il quadro completo di tutti.
«Crystal, possiamo farti una domanda? Siamo davvero troppo curiosi di una cosa.»
La mascella di Julius era vicino allo slogarsi, non smetteva un attimo di sorridere.
«Solo se dopo posso farvene una io!»
Questi erano i patti. Una domanda per un'altra.
«Mi sembra equo.»
Daijon acconsentì alla mia proposta cercando sostegno sulle facce degli altri. Tutti si misero sull'attenti quando fiutarono che Julius stava per dare vita alla fatidica domanda.
«Noi ci chiedevamo... chi ti ha fatto quell'irezumi?»
L'impatto che ebbe su di me fu comunque inevitabile, nonostante io mi fossi già preparata ad affrontare un argomento di quel tipo. Lo intuii subito perché approfittarono dell'assenza del loro boss per chiedermelo. Erano proprio curiosi.
Il silenzio cadde su di noi, inalai un respiro profondo e accontentai la loro fame di sapere.
«Sicuramente, il suo sarà un nome che non dimenticherò mai.»
Mi consentii una pausa e poi continuai.
«Kaede. Si chiamava Kaede.»
A pronunciarlo una scossa mi attraversò il corpo. Levi lo ripeté a se stesso a bassa voce, anche lui ipnotizzato ed affascinato da esso.
«Dovrai odiarlo quel bastardo!»
Sempre colui che ebbe il coraggio di parlare per primo, espose la sua supposizione.
«No, ti sbagli. Lui era come me.»
Sorpresi tutti. Vidi un paio di sopracciglia corrucciarsi come se avessi appena detto una bestemmia. Incrociai i loro sguardi prima di continuare.
«Lui, non aveva scelta. Io non lo incolpo di nulla. Avrei sfidato chiunque a scegliere tra la morte, o svolgere il lavoro di tutti i giorni.»
Rividi quella scena nella mia mente come se stessi guardando un film.
«Poteva comunque scegliere diversamente.»
Per la prima volta ebbi una conversazione intera con Julius. Il resto invece se ne stava silenzioso ad ascoltare senza farsi sfuggire una singola virgola di quello che dicevo, e ad esprimersi solo con le espressioni facciali e qualche verso ogni tanto.
«Andiamo Julius! Tu moriresti per me? Rinunceresti alla tua vita per una persona che hai appena conosciuto?»
Misi il ragazzo nei panni dell'Horishi. Non che volessi giustificarlo, ma la cruda realtà dei fatti era questa.
«Beh, credo di non poter capire perché nel mio caso sarebbe diverso. Se tu sposassi il boss, tutti noi qui ci sentiremmo in dovere di mettere a rischio le nostre vite pur di proteggerti.»
Il suo punto di vista mi fece accapponare la pelle. Improvvisamente sentii il peso delle loro vite nelle mie mani, nella mia coscienza. E non mi andava bene.
«Siete così devoti a lui. Qui sorge la mia domanda, se ho appagato la vostra curiosità.»
Saggiai l'atmosfera prima di lanciarmi a capofitto con la mia di curiosità altrettanto pericolosa, ma più che altro, personale.
«Dicci pure!»
Tutti insieme acconsentirono tenendosi pronti. La loro attenzione era orientata esclusivamente su di me.
«Bene.»
Partii insicura, ma ormai era fatta. Per incoraggiarmi pensai che nessuno di loro aveva avuto alcuna delicatezza con me, probabilmente non la conoscevano nemmeno per le loro abitudini. Quindi, non l'avrei avuta nemmeno io con loro.
«Qual è la vostra storia?»
Mi accertai di scandire per bene le parole evitando il rischio di dovermi ripetere in un futuro presente. Quelli che erano sdraiati come se facessero parte dell'arredamento dei divani, li raddrizzai in un attimo. Accolsero la mia domanda molto seriamente. Lo scopo di essa era un altro, e Hadeon aveva appena abboccato l'amo rispondendomi per primo.
«Sii più dettagliata, così è troppo vago...»
Le sue mani non stavano ferme, erano nervose e irrequiete.
«D'accordo. Intendo chiedere chi eravate prima di conoscere Dimitri, come siete diventati ciò che siete oggi, in che modo o perché siete arrivati qui? È questo ciò che racchiudeva la mia domanda.»
Se Hadeon era l'unico con cui avevo stretto un quasi bel legame, adesso presagii di metterlo alla prova. E mi dispiaceva tanto, mi dispiaceva infilarlo in questa situazione scomoda interrogandolo sul suo passato. Ma anche io avevo una curiosità da sfamare, e non era solo quella.
«Oh, chi inizia?»
I denti bianchi di Daijon si guardarono intorno.
«Aish! Vado io per primo, masnada di codardi.»
A proporsi fu Levi facendosi avanti. Volsi il mio busto verso di lui dedicandogli la mia totale attenzione.
«Io ero un fotografo, e lo sono ancora. Per farla breve, un giorno inquadrai un obiettivo che non avrei dovuto catturare.»
Delle risate incontrollabili scaldarono la stanza più delle fiamme ardenti del camino alle loro spalle.
«Fu il nostro boss a salvarmi il culo, però mi ritenne anche una fonte utile per il suo business ed io ero in debito con lui, per cui... dovetti accettare di stare al suo servigio per un po', fino a quando io stesso non decisi di restare. E sai, ancora oggi inquadro certi obiettivi...»
Lo guardai perplessa con un briciolo di sorriso sulle labbra. In pochi secondi aveva già terminato la sua storia. Eccola la spia del gruppo, il paparazzo dei mafiosi. Probabilmente, se Dimitri non avesse avuto Dae-Hyun come informatore, avrebbe mando Levi a farmi un set fotografico da lontano per pedinarmi al Sakura Coffee.
Seguì il turno del ragazzo dai capelli grigio ghiaccio.
«Aspettate, credo di sapere la professione di Genos!»
Con una mano sospesa, mi intrufolai per prima.
«Il tuo essere così informatico potrebbe hackerarmi il cervello, dimmi se sbaglio!?»
Senza averlo programmato, scaturii lo stupore dei presenti che si convertì in dei versi di sbalordimento.
«Chi ti dice che io non lo abbia già fatto?!»
La mia bocca si spalancò come una porta soffiata dal vento, producendo una risata spezzata dallo sconcerto. Ci sapeva fare con la manipolazione!
«Ma sul mio target c'era scritto "musicista/compositore".»
Le mani di Genos gesticolarono sul punto preciso dove era solito indossarlo.
«Sì, dovresti sentire la melodia che compongono i tasti del suo portatile durante un'operazione di massimo hackeraggio!»
Non ridevo così tanto da troppo tempo. La battuta di Gillean mi fece perdere il senso dell'orientamento ricordandomi di cosa si provasse quando si ride fino alle lacrime.
«In seguito la mia reputazione da "informatico" iniziò a farsi strada tra i bassifondi e qualcuno venne a bussare alla mia porta offrendomi un lavoro a tempo indeterminato. Operare sulla rete parallela nella parte sommersa dell'iceberg non è mai stato difficile per me. Ho solo la responsabilità sul tracking e sui pagamenti di alcuni trasporti di insomma, hai capito... no?»
Certo che avevo capito. Era tutto chiaro e lampate. Per quanta noia ci mettesse a parlare, si era sforzato a spiegarsi bene. Genos aveva accesso al dark web. Questo mi fece un po' paura.
Un fotografo spia, ed un hacker informatico. Se fossi scappata mi avrebbero rintracciata anche sulla Galassia di Andromeda. Ebbi paura a scoprire di cosa si occupassero gli altri.
«Ladies and Gentlemen, è arrivato il momento di raccontarvi la mia storia!»
Gillean saltò sopra il divano mettendosi in piedi dopo essersi schiarito la gola. La passione che mise nel suo tono di voce fece di lui un vero narratore, anche se la considerazione più prestante era la mia. Ero sicura che i ragazzi sapevano già le loro storie a memoria dopo essersele raccontate decine e decine di volte.
«Erano giorni di duro lavoro quelli della campagna. Il sole stanco stava abbandonando noi poveri contadini alla fredda notte e tetra...»
Un fruscio di vento spostò alcune ciocche dei miei capelli su una spalla. Qualcuno degli ascoltatori aveva appena lanciato a Gillean un cuscino per la troppa enfasi con cui stava farcendo quella che si prospettava essere una lunga storia.
«Gillean, vai al dunque, Crystal sta per tornarsene in Italia per colpa tua!»
Come se avessi potuto davvero, stronzo di un Julius!
«Ei!! Porta rispetto al tuo hyung!»
Con due sorrisi nascosti si battibeccarono tra di loro uscendo dalle tasche una lama affilata ed una pistola ben carica.
Quello era il loro modo di scherzare...
Con le armi.
«Stavo dicendo... ho trovato dell'erba particolare piantata nel mio orto. Stavo per drogare la mia intera famiglia!»
Uno sguardo assassino nacque dagli occhi di Gillean e si gettò contro Daijon.
«Avanti hyung, ti ho già chiesto scusa milioni volte. Sei la persona più rancorosa che conosca!»
Daijon si divertiva a fare il finto offeso per qualcosa che aveva combinato al suo amico.
«Questa razza di essere umano qui, era il mio vicino di casa e ha invaso il mio terreno per coltivare la sua roba.»
Il dito dell'accusatore era puntato duramente contro la sua vittima che tanto vittima non era.
«Ho solo preso in prestito una minuscola zolla del tuo giardino. Ah, ma falla finita! Che adesso ci fai colazione a base di quell'erba tanto prelibata. Piaciuti i biscotti di stamattina, Gillean?»
L'ambiente che si respirava era un mix di arrabbiatura, divertimento, stupore e molto altro ancora. Furono ore in cui entrai in una dimensione inquietante ma, felice. Senza mai smettere di ridere insieme agli altri.
«Così sai la mia storia. Mi ha portato lui su questa strada profumata. Adesso tocca a te raccontarle il resto, Daijon.»
La risposta di Gillean fu bilaterale. Da me passò al rivolgersi al ragazzo accanto a lui, poi prese posto sul divano dando spazio all'altro di raccontarsi.
«Bene! Io ero un ballerino, non avevo un palco se non la strada e la mia camera. Avevo deciso di intraprendere gli studi per approfondire la mia conoscenza in questo campo, ma nessuno a casa poteva permettersi il lusso di pagarmi la retta scolastica di danza. Così, mi sono dato da fare da solo e ho racimolato denaro usufruendo del terreno del generoso qui presente Gillean.»
La storia di Daijon era forse una delle più tristi che avevo ascoltato finora.
«E la tua passione? Non può finire così!»
Non riuscivo a credere che lui avesse abbandonato il suo sogno dopo aver assaggiato il gusto di guadagnare del denaro sporco.
«Quello era solo l'inizio! Dopo aver percorso la mia strada da ballerino, decisi di aprire una scuola tutta mia. Ma a qualcuno della zona non andava bene. Finché non conobbi lui.»
Il dito di Daijon indicò qualcuno alle mie spalle. Guardai in basso senza il bisogno di voltarmi. La mia croce era rincasata.
«Il boss mi ha dato carta bianca ed io ho messo in piedi ciò che desideravo. La mia presenza qui è un modo per ripagare la sua ala protettiva.»
Dimitri era l'ala protettrice di Daijon quindi. Ma più che per altro, quei ragazzi sembravano voler rimanere attorno al boss di loro volontà per sentirsi protetti dall'unica persona che avrebbero dovuto temere, e in più ne ricavavano dei grossi profitti.
«Quando hai finito di curiosare, vieni di sopra!»
I passi di Dimitri salirono le scale bianche attendendomi all'ultimo piano.
La sua voce era stanca e fiacca, qualcosa non andava.
«Continuiamo dopo, d'accordo?»
I ragazzi annuirono e furono più tranquilli vedendomi accontentare il loro boss.
Il sorriso che indossai nascose la preoccupazione che Dimitri mi aveva inferto, ma morì sulle labbra un'istante dopo, quando mi resi conto di essere arrivata a metà strada della rampa di scale.
Non era possibile, non lo avevo fatto sul serio!
Non avevo iniziato a correre e rimandato il dialogo con i ragazzi, per Dimitri!
Dovevo tornare in me prima che potevo.

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