십칠

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Rallentai il passo mentre percorrevo le scale con l'impazienza che mi bruciava dentro.
Delle armi da fuoco erano disposte su un tavolo, una sulla mano di Dimitri. La muoveva seguita dalle sue iridi come a perlustrarla. Silenziosa lo sorpassai, dirigendomi verso il mio scenario preferito. La notte era serena. Si udivano solo alcuni suoni provenienti da qualche animale notturno tra gli alberi, ed il fruscio del vento spazzolare le foglie.
Nonostante mi avesse chiesto di seguirlo, sembrava che quelle armi che toglievano la vita fossero più importanti della vita stessa, o in questo caso, di me. L'80% di probabilità mi diceva fosse così, o nel caso più estremo voleva soltanto che stessi con lui anziché stare con i suoi uomini. Aveva l'aria di un capriccio.
Per rompere quel silenzio tombale parlai io per prima.
«Perché mi hai chiamata?»
Né io e né lui ci guardavamo in faccia.
«Deve esserci un motivo?»
La mia idea più assurda stava prendendo forma confermandosi. Ma cercò di spiegarsi lo stesso.
«Non ti vedo da stamattina.»
Rimasi di stucco. Rinunciai a guardarlo, si sarebbe accorto della mia agitazione improvvisa. Con una mano mi accarezzai il collo cercando di calmarmi. Dopo la disputa che avevamo avuto, Dimitri era uscito e non si era fatto più vedere.
«Però continui a non guardarmi.»
Avrei preferito ingoiarle quelle parole, anziché sputarle fuori così. Non capii se le dissi per il gusto di stuzzicarlo o per testare se mi stesse prestando attenzione.
Un oggetto venne posato sul tavolo a giudicare dal suono, indebolì poi la luce bianca della stanza di qualche volt.
«Vuoi che io ti guardi?»
Il calore delle mani di Dimitri si avvolse sulle mie spalle cingendole gentilmente, mentre il suo respiro mi solleticò la clavicola destra. Mi pentii amaramente di essere stata così incauta, il mio comportamento non aveva scuse.
«Non ho detto questo.»
Dovevo trovare la forza di svincolarmi dalla sua calda presa che mi stava coccolando di nascosto.
Senza preavviso accadde qualcosa che mi fece perdere la memoria di dove fossi. Un suono familiare quasi impercettibile precedette la vista che si incuriosì di ciò che si stava manifestando oltre la grande vetrata. Dovetti sforzarmi un po' di più per visualizzare a pieno ciò che stava cadendo dal cielo nero. Realizzai il motivo per cui Dimitri avesse abbassato le luci prima. Piccoli fiocchi di neve danzavano brillanti con grazia nell'aria accompagnati dal vento che li guidava al suolo. Luccicanti splendevano ogni volta che passavano sotto il chiaro di luna. Lentamente la neve ricoprì ogni cosa con il suo manto incastonato di cristalli. Dimenticai tutto, persi ogni condizione del tempo, mi sentii leggera e friabile come se stessi fioccando dal cielo anch'io.
«Perché sorridi?»
L'intervento di Dimitri fu provvidenziale a farmi svegliare da quella specie di ipnosi.
«Perché nevica.»
Rammentai di avere ancora le sue mani addosso, e volsi il mio corpo dalla sua parte.
«Sorridi perché nevica?»
Riuscii a staccarmi dalla sua presa, ma qualcosa di più intimo mi imprigionò nel suo sguardo. Mi guardava intensamente. Come non aveva fatto mai. Avrei voluto domare quel fuoco che sembrava consumarlo dentro, nell'abisso più profondo dell'oceano dei suoi occhi. Farlo, avrebbe calpestato me stessa. La donna che ero. Era assolutamente da escludere. Lui mi rapiva ogni giorno di più, ma io dovevo essere più forte, inflessibile, indeclinabile. Le sue labbra peccaminose ardevano a fior di pelle dalle mie, ne percepivo il calore. Ci eravamo già sfiorati.
«Devo chiederti una cosa.»
Meritavo un attestato per le richieste fuori luogo, ma dovevo in qualche modo, benché disperato, fermare quell'evento. Non dovevamo baciarci. Avrei firmato la mia condanna col sangue.
«E invece no!»
Il mio tentativo fallì. Avrei davvero voluto chiedergli di Hadeon e di Julius, ma non mi diede tregua dettando come sempre lui le regole.
Dimitri si precipitò nell'incavo del mio collo lasciandomi un bacio affamato che desiderava di più. Le sue labbra si schiusero pizzicando avidamente con i denti la porzione di pelle che aveva precedentemente bagnato. Sembrava stesse assaporando il suo piatto preferito dopo anni di reclusione. Il suo respiro si fece più ansimante, mentre il mio apparato respiratorio continuava a guastarsi a causa sua. Approfondì le sue intenzioni poggiando una mano sulla parte anteriore del mio collo, fino ad affondarla tra i capelli.
La sua lingua rovente travolse il tutto trasformandolo in un bacio insistente da lasciare il segno.
Mi trovai in uno stato incapace di compiere qualsiasi movimento, qualsiasi azione, come paralizzata.
La confusione che aleggiava nella mia mente, nessuno avrebbe potuto capirla.
Dimitri aveva appena avuto un appassionante bacio con il mio collo firmandosi con il suo marchio.
«Finalmente hai qualcosa di mio addosso.»
Il suo respirò fresco soffiò sul livido ancora umido, infierendomi brividi che sciarono lungo la spina dorsale.
Ero arrabbiata. Un altro marchio aggiunto alla mia collezione. Ma la mia frustrazione era dovuta più al fatto di non aver trovato la forza, né la volontà di respingerlo mentre era lì che affondava le sue radici su di me. Come un vampiro che si nutre di sangue, lui invece amava saziarsi della mia dignità lasciandomi senza.
Tutto ciò che fui in grado di realizzare era che Dimitri mi rendeva più fragile di com'ero. E più il tempo passava...
Le mie braccia ritornarono funzionanti e spinsero via il suo corpo, ma vennero afferrate a mezz'aria bloccandomi di nuovo.
«Devi farmi una promessa!»
Dopo quello che aveva appena fatto, trovò anche il coraggio di pretendere un giuramento da parte mia. Non gli bastava mai.
«Non ne ho voglia!»
Insistetti nel dimenarmi da lui, ma la mia forza non superò mai la sua.
«È domani! Lo abbiamo trovato. Devi promettermi che non ti muoverai dal mio fianco, potresti rovinare tutto.»
Per la prima volta avevo il destino nelle mie mani. Voleva essere rassicurato che avrei fatto la brava, altrimenti, una sua distrazione e avrebbe rischiato di farsi uccidere da Takuma.
«È probabile che i miei uomini si faranno del male. Ma a te non deve essere sfiorato un capello. Quindi, ti conviene avermi vivo e sano.»
O magari, gli importava non far uccidere me.
«Non meriti una mia promessa!»
Se qualche minuto prima si fosse comportato diversamente, magari avrei valutato di più l'idea di dargli quella garanzia ed evitare di fare la cattiva.
«Devo sempre corromperti?»
Un'istante dopo si allontanò da me aprendo un cassetto della sua scrivania. Prese in mano un cofanetto che avevo già visto.
«Forse questo per te vale una promessa?»
Era l'anello di mia nonna. Le mie dita mi sfiorarono le labbra schiuse dalla sorpresa, mentre due piccole lacrime si guardavano l'un l'altra durante la discesa. Piangere così spesso non faceva parte di me, ma dopo tutto quello che avevo passato ero diventata una persona troppo emotiva e sensibile a tutto. Ogni minuscola gioia per me si trasformava in qualcosa di grandioso. Così come ogni dolore.
«Solo se prometti!»
Mi ripropose il compromesso per non dire ricatto.
Il gioiello era stato tolto dal suo involucro e adesso lo tenevano stretto le dita di Dimitri alla fine del mio anulare, in attesa di una risposta per essere indossato o meno. Quell'anello valeva più della mia stessa vita. In esso ci avevo racchiuso tutto il bene che provavo verso la mia famiglia. E da quando mi ero allontanata, il valore affettivo era cresciuto ancor di più... nonostante tutto. Dovevo riaverlo, apparteneva a me e a me soltanto.
«Te lo prometto.»
Non vidi alternativa migliore.
Avevo il nodo alla gola al pensiero che davanti a me stava inserendo l'anello al dito come se avessi appena accettato di sposarlo.
D'altronde in principio il patto in discussione era stato il matrimonio. Ero contenta che avesse rivalutato la sua proposta rivendendola ad un prezzo più accettabile.
Con estrema lentezza mi fissò negli occhi senza mai distogliere lo sguardo mentre inseriva l'anello. Il cuore mi bruciò divorato dal suo sguardo intenso.
Quando si sentì soddisfatto del tutto, mi lasciò andare e tornò ad armeggiare con le sue armi.
«Parlami del Dio della distruzione.»
Questa era già la terza volta che provavo a scoprire qualcosa sul conto di Hadeon. Sarebbe stato molto più corretto chiederlo a lui in persona, ma probabilmente il suo passato non gli era facile da raccontare considerando il modo in cui prese la mia domanda sulle loro storie.
«Non hai bisogno di sapere queste informazioni.»
Come mi aspettavo, erano duri come la pece a parlare delle loro vite private. Non riuscii a convincere Dimitri.
«In famiglia non ci sono segreti, giusto?»
Non mi ero mai resa partecipe del suo concetto di "famiglia", quella era la prima volta. Per sua sfortuna però, non era altro che una tattica per ammaliarlo e farlo cedere.
«Quindi ti consideri parte della famiglia adesso?»
Ma Dimitri... Dimitri era tutto, ma non uno stupido. Impossibile ingannarlo con mezzi disonesti. Se volevi qualcosa da lui, dovevi munirti di un carico di onestà.
«Non è quello che dici tu?»
Nel frattempo avevo già preso posto su una sedia di fronte a lui. Il tavolo faceva da divisore, ma lui era ancora in piedi.
«Forse è il caso che io vada da Hadeon...»
Sollevai il busto leggermente dalla sedia mimando di andar via infastidita dalla sua riluttanza.
«Quando mi sposerai, potrai sapere tutti i segreti che vuoi.»
Era davvero fedele ai suoi uomini.
«Quindi sei insicuro sul nostro matrimonio?»
Se Dimitri fosse stato così convinto che mi avrebbe sposata, parlare prima o dopo non avrebbe fatto la differenza su quel segreto familiare.
«Quella sei tu.»
Sapeva sempre come ribattere.
In risposta mi arresi delusa sbuffando e abbassando lo sguardo a destra, con le braccia incrociate al petto. Un buon metodo per abbindolare il suo debole per me.
«Hadeon era il direttore della banca centrale.»
"Getta le armi e Dimitri parlerà".
Ecco il mio nuovo motto.
«Conosceva i conti bancari dei più ricchi contabili e imprenditori dello stato.»
Durante il suo racconto alcune immagini presero forma nella mia mente, focalizzando al meglio la storia del ragazzo. Non lo avevo mai visualizzato in uniforme da amministratore delegato.
«Ma aveva anche una sorellina. Hyerin. Trucidata a quattro anni.»
Il mio cuore si fermò.
Hade aveva perso l'amore di una sorella. Il suo essere così amorevole e a volte protettivo nei miei confronti, magari era dovuto a questo.
«Il 20 Dicembre ci fu una delle più grandi rapine mai riuscite prima. Chi aveva depositato le somme più alte, perse la ragione. E Hadeon fu il primo a pagarne l'ingiusto.»
La voglia di piangere mi trasalì in gola. Strinsi gli occhi e ingoiai per reprimerla. Forse non volevo davvero più ascoltare.
«Per qualcuno la vita di Hyerin era il nulla in confronto alla cifra insormontabile di denaro andato perduto, ma non per Hadeon. Non per un sano di mente.»
A questo punto domandai a me stessa se la vita di uomo fosse sul serio convertibile in denaro.
«La massacrarono, la fecero a pezzi. E torturarono Hadeon per quasi un anno. Ogni mese, una parte di Hyerin sbucava fuori.»
Non ero mai stata così immobile prima. Gocce d'acqua salate e indipendenti, abbandonarono gli occhi senza fermarsi. Dimitri aveva acconsentito a parlarmene solo quando accennai di andare direttamente dal protagonista della storia. Ma lui parlò e gli risparmiò un dolore immenso. Non riuscii a capire però con quale forza Hade fosse ancora in piedi.
«Ma chi doveva pagare, ha pagato. Uno per uno. Hadeon ha cercato il peggio per vendicarsi, e mi ha trovato! È stato il primo ad allearsi a me.»
Dimitri piegò in avanti la schiena poggiando entrambi i palmi sul tavolo.
La trama si faceva più intrigante e allo stesso tempo... conturbante.
«Loro non esistono più. Prima di far sparire loro, dovettero patire le sofferenze delle loro famiglie allo stesso modo in cui torturarono Hadeon. Quando poi è venuto il loro turno, quello che hanno subito è stato mille volte peggio di come ha sofferto la piccola Hyerin.»
Sapere se fosse giusto o sbagliato era importante benché facesse parte del passato? Dentro di me nacque un senso vendicativo, ma al contempo contraddicevo il mio pensiero che niente era punibile con la morte. Ma nessuno di loro aveva il diritto di spegnere la luce di Hyerin.
Occhi grandi e curiosi guardarono l'uomo che avevo davanti chiedendogli di continuare.
«No, non sei abbastanza stabile per saperlo.»
E anche questa volta non si sbagliava. A volte la curiosità finiva per recarmi dei traumi a cui non smettevo di pensare per giorni. Come quando sei curiosa di una scena di un film horror e poi te la sogni la notte. Ma quello che seppi fu abbastanza sconvolgente da farmi provare una tristezza eterna per quella creatura tutta da scoprire piena di risorse che era Hadeon.
«Da qui viene "Dio della distruzione". Perché da allora, qualunque cosa passa per le sue mani che non gli stia bene, lui la distrugge. La disintegra. Senza pensarci due volte.»
Avevo creduto che all'inizio i ragazzi avessero fatto dell'ironia su quel nome, ma in realtà erano più che seri e la prendevano sul ridere. Hadeon aveva smesso di dare possibilità al mondo.
«Niente ha più valore per lui. Ha sempre la testa sui libri per distrarsi dalla rabbia che prova ancora oggi, dopo anni.»
Per un attimo li vidi come due fratelli. Insieme dall'inizio. La lealtà di Hade verso Dimitri era un ringraziamento per averlo aiutato a vendicare l'innocente Hyerin. Ma qualcosa mi diceva che lo scorrere del tempo aveva portato con sé anche la crescita di un affetto da ambe le parti.
«E Julius?»
Mi tremarono le labbra. Sapevo di non essere pronta ad altro ancora.
«Julius e Hadeon hanno qualcosa in comune: non conoscono l'esitazione!»
Intuii bene. Quei due avevano cose grosse con Dimitri.
«Julius allora era troppo piccolo per capire il valore di una vita umana. Abbandonato dai genitori troppo presto, non faceva differenza tra il bene e il male. Ha dovuto imparare a difendersi da solo, e nel peggiore dei modi.»
Eppure a guardarlo quel ragazzo era sempre sorridente, non ti saresti mai aspettato che avesse dietro le spalle una storia così.
«Qualcosa non gli andava bene? Lo uccideva. Premeva quel grilletto abitualmente. Si sfamava da solo, sopravviveva da solo, e da solo è diventato uomo.»
Anche a lui come a Hade venne affibbiato un soprannome: era il Golden Maknae. Il più giovane, ma per loro era oro.
«È un gioco a cui è abituato a vincere. Come tu bevi un bicchiere d'acqua, Julius uccide. Ma adesso sa riconoscere cosa è giusto e cosa invece è sbagliato.»
Ero sicura che Dimitri lo avesse cresciuto un po', insegnandogli le basi della vita.
«Dovresti vedere la bellezza dei suoi occhi mentre uccide.»
Mi chiesi cosa potesse esserci di bello negli occhi di chi uccide, se non il riflesso di un'anima dannata.
«Cosa vedi?»
Non avrei mai voluto vederlo in azione, ma divenni curiosa.
«Niente. È proprio questo il punto. Julius lo fa senza sentimenti. È così... professionale! Per non parlare della sua mira.»
Si esprimeva con il volto illuminato dall'ammirazione e l'entusiasmo di chi stesse raccontando le glorie del proprio idolo.
«In una notte di Luglio, lo trovai in un vicolo stretto e scoprii il suo talento troppo prezioso per essere sprecato. E l'ho preso con me!»
Fiero del suo discorso si venne a sedere alla mia destra sopra il tavolo, con una mano in tasca, una gamba che penzolava e l'altra poggiata sul parket.
Non mi piaceva l'idea di lui che prese in custodia Julius, soltanto per usarlo a suo vantaggio. Anche se dall'altra parte, il boss e gli altri divennero la sua famiglia ed ebbe finalmente un tetto dove stare ed un letto su cui poter dormire, senza aver paura di essere divorato dai topi. Fui comunque soddisfatta dalle informazioni ricavate che cercavo. Mi alzai per andare a bere qualcosa, ma venni improvvisamente attratta da qualcosa poggiata sulla superficie del tavolo di cui non mi ero accorta prima.
Era una lunga scatola nera di uno strano materiale con dei caratteri giapponesi incisi sopra "打刀". Dava l'impressione di custodire qualcosa di altamente prezioso. Dimitri mi vide curiosa e non disse nulla quando mi approssimai ad aprirla. Due piccole levette in acciaio scattarono durante l'apertura.
Indietreggiai di colpo alzando istintivamente le mani su, pur di non sfiorarne il contenuto. Gli episodi vissuti più terrificanti tornarono tutti in fila insieme alla paura, come quando dicono che prima di morire si manifestano delle visioni sulla nostra vita trascorsa. Dimitri avrebbe dovuto fermarmi prima, ma non lo fece.
«Hai paura della Katana?»
Questo era il contenuto. Paura era dir poco. Con passo flemmatico camminò attorno al tavolo raggiungendomi e impugnando la spada asiatica.
«Avresti dovuto fermarmi!»
Lo rimproverai per la sua superficialità nei confronti della situazione delicata in cui mi ero cacciata. Chiusi gli occhi per respingere lontano i ricordi e quella tetra sensazione ogni volta che la guardavo.
«Non devi mai essere così vulnerabile di fronte ad un'arma.» 
Bastava solo che si trovasse nelle mani sbagliate, e mi sarei lasciata uccidere tenendo gli occhi serrati pronti al colpo.
Stavo iniziando a pagare le conseguenze del giorno in cui mi sporcai le mani.
«Guardala!»
Con i suoi modi poco garbati, mi invitò ad aprire gli occhi su quella visuale, ma io non volevo saperne.
Uno spessore gelido si poggiò sulla mia guancia conducendo la mia testa a voltarsi. Aveva usato la Katana stessa per muovermi. Aprii gli occhi lucidi colmi d'ira guardando però lui.
«Affrontala!!»
Mi stava guidando verso l'accettazione, l'unica via per liberarmi di quello scheletro nascosto dentro al mio armadio.
Esitai mille volte prima di avvicinare le dita alla lama affilata.
Ferirmi con essa avrebbe alleviato il peso alla mia coscienza.
Questo era ciò che la mia mente disperata era arrivata a pensare.
Ma Dimitri afferrò il mio polso in tempo, portandomi invece a stringere la sua mano avvolta nell'impugnatura.
«A questa Katana non appartiene il tuo sangue.»
L'oggetto del mio orrore era tra di noi puntata verso l'alto.
«Perché è qui?»
Liberai alcuni pensieri che cominciarono a crearsi sulla presenza improvvisa di quella spada samurai.
«Se devo farlo, voglio farlo bene!»
Un ghigno curvò le labbra di Dimitri . Fu una frase breve, ma mi aiutò a cogliere le sue intenzioni.
Lui non avrebbe soltanto ucciso Takuma. Lo avrebbe privato di ciò che di più prezioso possedeva oltre l'onore.
La Yakuza.
«Vuoi rompere l'equilibrio quindi?»
Dopo aver lottato tanto per fare resistenza a Takuma e mantenere l'ordine, avrebbe rischiato di perdere tutto.
«L'equilibrio è stato rotto da lui nel momento in cui ha invaso la mia proprietà. Finirò solo quello che lui ha iniziato!»
Quella proprietà di cui parlava, ero io.
Se avesse preso la Yakuza sedendo sulla sedia di Takuma, sarebbe diventato un Kumicho, ed il suo potere supremo. Avrebbe gestito entrambe le parti, dalla Geondal alla Yakuza.
E... un'illuminazione mi attraversò gli occhi guardando Dimitri come se stessi assistendo ad un'apparizione.
Non avrebbe avuto più il bisogno di sposarmi. Non lo aveva più già da un po'.
Da quando Takuma fece la sua prima mossa, Dimitri avrebbe potuto fare la sua anche senza la potestà del padre. Si trattava di una vendetta, non di un'iniziativa. Ma lui, continuava a tenermi prigioniera e all'oscuro di tutto.
Realizzai di come tutto quello che subii, divenne magicamente un pezzo essenziale di un puzzle servito a spianare la strada a Dimitri, ed io la vittima di un destino intrecciato maledetto.

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