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«Chiama l'Horishi!»
Una piccola donna appostata davanti l'ingresso, chinò la testa verso il basso ed unì le sue mani mostrando servilismo a chi gli aveva appena lanciato l'ordine.
«Chi dei tre?»
In tutta risposta potetti udire vacillare la sua voce. Non era per niente stabile, piuttosto era sottile, traballante e tendeva ad affogarsi da sola facendo percepire a chiunque nei paraggi la paura che nutriva nei confronti del suo signore, che era Takuma. Mi limitai ad osservare dettagli come questi, non riuscendo a capire su cosa fosse fondata la loro conversazione.
«Chiama Kaede.»
Il nome ammaliante di un qualcuno venne chiamato al rapporto. Non avevo mai sentito quel nome, probabilmente questo lo rese ancora più interessante alle mie orecchie e divenni curiosa di vedere il volto della persona che lo possedeva.
Capelli neri come la tenebra eccellevano la luce e la brillantezza della pelle chiara di quel ragazzo, che splendeva come le stelle immerse nella notte.
Occhi scuri da cerbiatto evidenziati da un neo sotto l'estremo dell'occhio destro. Labbra piene dal colore del proibito, lineamenti facciali sottili e dolci. Altezza slanciata, corporatura snella ma tonica. Un giovane ragazzo, con l'espressione innevata sul volto.
Kaede era particolare come il suo nome.
«Horikaede, ho trovato uno Ryū in grado di far tornare in vita anche le più antiche divinità.»
Le mani di Takuma batterono due volte sulle mie spalle, sotto lo sguardo attento e distaccato di Kaede. Non contento, prese a stringermi le spalle costringendomi ad alzarmi dalla sedia, e con una violenza non prevista mi gettò letteralmente tra le braccia del ragazzo.
«Fa ciò che devi!»
L'attenzione zelante di Kaede fu per mia fortuna in grado di afferrarmi, sottostando ai suoi riflessi.
Ormai cercavo la via di fuga ovunque e in chiunque. Ebbi la possibilità di guardare il ragazzo più da vicino e ciò fece scorgere alla mia abilità di leggere negli occhi della gente un particolare. Non sempre riuscivo a farlo, come nel caso di Dimitri. Ma questa volta di una cosa ero certa. Lo sguardo di Kaede era di gran lunga diverso da quello di Takuma. Ogni volta che navigavo dentro gli occhi di quest'ultimo, vedevo laghi di sangue e prati cosparsi di tutte le sue vittime. Vedevo le sue costellazioni di tutte le anime innocenti e non, che aveva collezionato.
Approdando invece dentro agli occhi di Kaede, ciò che ci viveva dentro non mi terrorizzava affatto. Il vuoto ed il disprezzo alloggiavano dentro di lui. E li percepii fortemente, come quando si va ad un museo a guardare dei quadri e la maggior parte di loro ti trasmettono le stesse emozioni che il pittore stava provando mentre creava la sua opera. Ciò che le emozioni di questo ragazzo stavano sperimentando in quel momento, erano una reazione a quello che gli era appena stato imposto di fare. Ero spaventata di scoprire cosa fosse.
«Dove mi stai portando?»
La mano di Kaede si allacciò stretta alla mia, trascinandomi con passo spedito e deciso da qualche parte.
Il suo sguardo divenne inquieto e smanioso dando sfogo ad una sorta di agitazione che capii aveva represso dentro di sé fino ad allora. Stava andando troppo veloce per le mie gambe scosse da ciò che mi era appena successo, quasi non gli reggevo il passo. Il respiro di entrambi si fece pesante rendendo udibile l'affanno.
«Ei, potresti rallentare?!»
Col fiato spezzato mi impegnai a formulare correttamente la mia esigenza più che domanda. Ma dalla risposta che ottenni, fu come chiedere ad un muro di spostarsi.
«È meglio per te se corri. Più tempo avrò a disposizione e meno soffrirai.»
Un comando di un ufficiale generale sarebbe suonato più pacato del modo in cui Kaede mi presentò la sua voce per la prima volta. Non capii se quella fosse una freddura o un consiglio.
«Grazie per l'incoraggiamento.»
Nemmeno questo fu in grado di far sostare quel ragazzo in balìa ad una maratona.
«Hai intenzione di trasformarmi in un dragone?»
La risata del ragazzo si fuse alla mia con mia sorpresa, dopo aver cacciato fuori quell'ipotesi assurda.
«No, penso che saresti più felice se così fosse.»
Il sorriso gli continuò a persistere sulle labbra, ma non sugli occhi. La sua vera voce prese una forma più tranquilla addicendosi perfettamente alla sua corporatura, anche se ciò che disse mi allarmò abbastanza da farmi dimenticare di star quasi correndo.
«Perché Takuma ti ha chiamato Horikaede?»
Mentre lui continuava a tenere gli occhi fissi sul cammino, io lo studiavo da dietro provando a trarre cosa avrebbe potuto farne di me.
Avevo capito che Kaede fosse il suo nome, ma non sapevo ancora cosa significasse "Horishi".
«Te lo spiegherò appena saremmo arrivati.»
Il suo passo si fece finalmente più gentile. Il luogo dove eravamo diretti si stava sicuramente avvicinando.
Durante quella mini gita mi accorsi di quanto la casa di Takuma dava l'impressione di essere più grande di quella di Dimitri. Anche se riflettendoci sopra più attentamente, non ne fui certa. I corridoi erano stretti e immensi, come i lunghi tappeti rossi che lì tracciavano. Mentre quelli di Dimitri erano molto più ampi.
«Hai l'aria di una che non sappia a cosa stia andando incontro, o sbaglio?»
Capii di essere arrivata a destinazione quando Kaede si fermò davanti ad una porta in acciaio, guardandomi negli occhi. Sembrava mi stesse preparando psicologicamente a qualcosa.
«Però, hai anche un bell'intuito! Visto che ci sei, non è che puoi aiutarmi ad andarmene da qui? Grazie.»
Se avessi dovuto trarre la parte positiva di tutto ciò che mi stava capitando, era di certo l'essere diventata la campionessa dei finti sorrisi.
«Lo farei, se non fosse che l'unica cosa ad andarsene non saresti solo tu, ma anche la mia testa.»
La sua mano creò un taglio immaginario sul suo collo. Ciò che voleva dirmi era che avrebbe pagato con la vita per la mia libertà, aggiungendo un pezzo alla collezione di Takuma. E non ne aveva l'intenzione.
«Credo di essere troppo giovane per morire. Ma sai, a volte la risposta è proprio davanti ai nostri occhi.»
Cinse la maniglia dorata di quella porta e mantenendo le sue iridi puntate sulle mie, la aprì.
La risposta alla mia domanda, sarebbe stata davanti ai miei occhi?
Il passaggio si aprì su una stanza che rispettava l'ordinario dell'arredamento classico giapponese di tutta la casa.
Di fronte a me vi era una panca nera da due postazioni, mentre a destra un letto matrimoniale dalle dimensioni esagerate. Le pareti erano rivestite da miriadi di quadri con caratteri cinesi, e due grandi finestre illuminavano la stanza, affacciandosi ad un laghetto con canne di Bambù immerse in esso, ed alcune carpe dal colore del melograno che si rincorrevano tra loro.
Le nostre mani non si erano ancora allontanate e questo aiutò Kaede nel condurmi verso la direzione della panca.
«Stai ferma qui.»
La sua cordialità riuscì ad ottenere qualsiasi cosa da me.
Con modo più delicato da come aveva fatto Takuma, fece pressione sulle mie spalle per farmi sedere sopra quel sedile, dando però la schiena a chi si sarebbe seduto al mio fianco.
Fu una gentilezza che durò ben poco. Le mani di Kaede afferrarono le mie gambe separandole, modellando la mia posizione a cavalcioni su quella panca. Due bracciali in acciaio affibbiarono le mie caviglie e subito dopo i miei polsi. La sua velocità d'azione mi fece rendere conto troppo tardi che non si trattava di gioielli, ma di manette. Le corte catene saldate su di esse erano collegate direttamente ai piedi della panca.
«Cosa stai facendo? Perché?!»
Il peso del corpo di Kaede si adagiò alle mie spalle sull'altra metà libera, anche lui a cavallo della panca.
«Hori: incidere. Kaede: il mio nome.
Sono un Horishi, un'artista tatuatore.»
Di conseguenza alle sue parole, un lampo di terrore attraversò il mio corpo scatenando in me un tentativo di fuga. Dimenticandomi di essere legata mi precipitai in avanti, ma l'unica cosa che ottenni fu un urlo di dolore procurato dalle manette che mi stingevano i polsi.
«Ti romperai i polsi!»
Qualcuno da dietro mi riportò a sedere in tempo, salvando così le mie ulne rivestite dalla pelle che iniziava a prendere il colore delle Ribes.
Guardandoli mi impressionai molto. Presi un respiro profondo con i lucciconi agli occhi e provai a calmarmi.
«Hai paura, non è così?»
Lo sguardo fisso di Kaede interrogò il mio, nonostante i due non si vedessero neanche.
Ciò che stavo provando il quel preciso istante, era qualcosa di indecifrabile.
«Dovrei?»
Con un filo di ironia sollevai le braccia mostrandogli le manette che mi bloccavano la circolazione sanguigna.
«Sto per farti un irezumi.»
Il suo busto si chinò verso terra estendendo i suoi arti superiori, in questo modo permise alle sue dita di prendere un arnese lungo e affilato che aveva tutta l'aria di una cannuccia di bambù, ma con degli aghi fissati all'estremità disposti in file. Nel suo silenzio Kaede iniziò ad armeggiare con esso.
«Ma io non ho chiesto un irezumi!»
Fissai sbigottita la pittura rossa che era appena stata scoperchiata da un vasetto nero di porcellana lucida. Avrei voluto affogarci dentro.
«E da quando a Takuma interessa ciò che la gente chiede?!»
L'essere assoluto di quel demone appena citato, mi confermò il bastardo di primo grado che era.
«E a te importa?»
C'era della fragile speranza nella mia voce. Pensai che avrei avuto la possibilità di patteggiare con Kaede. Di trovare un'altra soluzione che non appendesse la sua vita ad un filo. L'ordine era partito da Takuma, ma l'opera l'avrebbe compiuta lui. Un lupo alpha senza il suo branco non ha niente da dominare, pensai.
«A me importa, ma importa?»
Non rimasi delusa... ma era una situazione troppo triste da digerire. Così come la mia, l'opinione di Kaede aveva anche meno valore della polvere racimolata sugli infissi delle finestre. Occhi velati di afflizione meditarono le mie spalle.
«Mi dispiace essermi aggrappata a te facendoti pesare tutto il doppio, è solo che... ti ho guardato e, non sembri affamato. Ho visto della normalità in te, e per un insano istante ho sentito che qui dentro tu potessi essere l'unica persona di cui io potessi-»
Più andavo avanti con il mio discorso, più lo trovavo disperato, privo di logica e la mia voce si affievoliva.
«Fidarmi?»
Bastò sentirlo pronunciare una volta sola dalle labbra di Kaede, per realizzare di quanto incosciente ed inconsulta fossi stata.
«Che disperata!»
Fu più un sussurro colmo di compassione dedicato a me medesima.
«Hai commesso uno sbaglio! Perché io ti tradirò proprio adesso.»
Più fredda di un iceberg, la sua voce mi fece sgranare gli occhi.

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