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Il mini abito dal colore del mio umore che indossai dopo quel bagno caldo, fasciava perfettamente le mie curve, pronunciandole in un modo troppo evidente per il contesto in cui mi trovavo. Le sue graffette in miniatura rivestite d'argento si estendevano per tutta un'area lineare situata al centro del vestito, dando la detestabile sensazione che si sarebbero sganciate da un momento all'altro. Ma erano un'essenziale tassello del puzzle, in quanto serviva a ricongiungere il tessuto rendendolo un unico pezzo.
La capacità che aveva il nero di eclissare ogni imperfezione, era sbalorditiva. Come se non bastasse, risultò essere più provocatorio e procace di quanto mi aspettassi, ma in mezzo a tutti gli altri era di certo il più sobrio e la cosa mi impensierì assiduamente. Lo aveva fatto apposta. Qualcuno aveva voglia di rifarsi gli occhi. Per mia fortuna vi erano due spalline di largo spessore a reggere il tutto, ma la loro attaccatura terminava su un merletto semitrasparente che contornava la scollatura, tracciando la forma lunata del mio décolleté.
Dopo essermi resa "presentabile", uscii dalla camera aprendo con fatica la grande porta tarchiata che la custodiva.
L'ansia aveva deciso di tagliarmi il fiato.
Un lungo corridoio mi confuse le idee su quale fosse la giusta direzione da prendere. L'esito proclamato dal mio istinto mi consigliò di dirigermi a sinistra.
Vagavo alla cieca all'interno di quella vasta dimora. Alcune voci provenienti da un ingresso non troppo distante da me, mi misero in stato di allerta. Con il cuore che implorava pietà, mi avviai cautamente non sapendo a cosa stessi andando incontro.
Utilizzai il mio occhio felino soltanto per affacciare lo sguardo a quella visuale. Il mio fiuto percepii che lì dentro sarei stata un pulcino indifeso in mezzo a tanti dinosauri affamati. Uno in particolare.
La mia vista scansionò molteplici corporature maschili, la maggior parte dei quali avevo già visto in precedenza, partendo dai ragazzi che si divertivano al biliardo quella notte al Black Moon, a Levi, fino al tizio che avrebbe messo le mani addosso a Shiori. Vi era un volto che non ricordai però ed un altro che ero sicura di non aver mai visto prima di allora. Il primo apparteneva ad un ragazzo immerso in un libro, con lo sguardo latente, celato da due lenti cristalline incastonate nei suoi occhiali da lettura. Se ne stava lì sprofondato su una Collinet amaranto, con la mente raminga in chissà quale altra dimensione. L'altro invece era un uomo che dimostrava un'età più avanzata e compiuta rispetto agli altri individui che soggiornavano in quel vano della casa. A differenza degli altri, l'uomo indossava un attitudine più autorevole, che annunciava si trovasse in un orario lavorativo. Mi chiesi se le sue gambe adulte non fossero stanche di rimanere alzate dietro qualcuno che di stanchezza e scomodità sembrava non saperne proprio nulla. A pochi centimetri da lui vi era la persona che aveva messo a soqquadro la mia vita, segregandomi in quelle mura. Avrebbe fatto invidia persino a Madre Gothel con la sua mania di tener prigioniera la piccola Rapunzel, ossessionata dai suoi capelli dorati che le permettevano di preservare la sua giovinezza. Ma io non avevo nulla da poter dare ad una persona come lui, e questo non faceva altro che mandarmi in confusione tutte le volte che tornavo a pensarci. La mano dell'uomo si innalzò, permettendo ai polpastrelli delle sue dita di premersi contro un apparecchio elettronico che contornava il suo orecchio. Aveva tutta l'aria di qualcosa da cui riceveva rapporti in tempo reale. Chinandosi il busto, sussurrò qualcosa all'orecchio del suo superiore, che con un cenno di mano sembrò andare in totale disaccordo con quell'informazione, per poi concludere la conversazione senza proferir parola su quella poltrona lì dov'era.
Il resto dei ragazzi intrattenevano il loro tempo puntando patrimoni su un altro tavolo da biliardo posizionato lì dentro. Sembrava proprio essere il loro gioco preferito, tra una sorsata di vino rosso ed un'altra.
Conducendo il mio sguardo nel versante in cui era accomodato il leader della situazione, mi accorsi che la sua poltrona adesso non reggeva più nessuno. Andai istantaneamente in panico, terrorizzata dall'idea che magari avesse cambiato la sua postazione beccandomi durante la mia sessione di spionaggio. Ma per mia fortuna si era trattato solo di un'insignificante complesso mentale dettato dal mio istinto di sopravvivenza. Non fui mai così contenta di vedere la sua corporatura uscire dal retro di una colonna di marmo bianco circolare. Almeno, sapevo di essermi salvata.
«Come l'ha presa?»
Aspettando che arrivasse il suo turno per giocare, Levi permise alle sue curiosità di avanzare.
«Ha un carattere non indifferente, il che rende tutto più complicato.»
Questa risposta aumentò la mia convinzione sul soggetto dell'argomento in questione. Mi ero semplicemente opposta ad alcuni dei suoi ordini e se credeva che quello era il massimo che potessi fare, si sbagliava e anche di molto.
«Guardala da un'altra prospettiva, almeno non ti annoi!»
All'estremità opposta del biliardo, un ragazzo dai capelli del colore delle spighe di grano baciate da un sole lucente, impugnava una bacchetta da gioco con la quale colpì una biglia, enfatizzando il momento in cui pronunciò le ultime parole.
«Concordo con Gillean.»
Subito dopo aver recitato queste parole, il blu iniziò a posizionare le biglie colorate all'interno del triangolo.
«Cerca di comprenderla.»
Il ragazzo dal volto nuovo smise improvvisamente la sua lettura, levando la testa per guardare negli occhi la persona a cui si stava rivolgendo. Inizialmente sembrava essere così assorto in quel testo, che non fui in grado di comprendere con quale capacità innaturale riuscì a partecipare contemporaneamente anche alla conversazione corrente.
Sembrava che il loro compito fosse persuadere il loro superiore a non colpevolizzarmi troppo.
«Quel bastardo di Takuma smetterà di fare il grandioso molto presto.»
Con le mani in tasca e lo sguardo perso nel vuoto, qualcosa di oscuro sembrò scorrere per la mente di quel boss troppo preso dall'architettare qualcosa che sapeva di sporco.
«Cosa c'è Hadeon?»
Togliendosi le mani dalle tasche e posizionandole sul fondo della sua schiena, si dedicò sul terzo ragazzo che cercò di farlo ragionare. Hadeon dopo aver chiuso il suo libro, assunse un'espressione che esprimeva la sua insicurezza riguardo qualcosa. A quanto pare l'opinione di quel ragazzo saggio, era di particolare importanza per qualcuno.
«Credo solo che una ragazza come lei, non sia adatta ad una faccenda come questa.»
La confidenza con cui Hadeon si servì per esporre la sua opinione mi fece rabbrividire, considerando il fatto che aveva appena contraddetto il suo boss con una frase rischiosa come quella.
«E chi credi sia più indicato?»
Le mani iniziarono a sudare alla vista di una piccola luce di speranza in lontananza. Forse gli avrebbe fatto cambiare idea e mi avrebbe lasciata andare.
«Qualcuno che abbia dei peccati da farsi redimere.»
Le parole di Hadeon furono un colpo al cuore, e avevano appena messo una firma su quali fossero le reali intenzioni del mio sequestratore. Voleva introdurmi in qualcosa di realmente marcio o ingiusto, che solo una persona con l'anima non genuina come la mia avrebbe potuto farne fronte come sconto per estinguere le proprie colpe.
«Ehm boss...»
Un ragazzo dall'aspetto più fanciullesco si schiarì la voce, facendo capire al capo di dover terminare lì quella conversazione perché qualcun altro si era appena aggiunto senza essere stato invitato.
«Da quanto tempo sei lì?»
Cosa avrei dovuto fare? Sentivo come se da ogni lettera che usciva fuori dalle mie corde vocali, ne dipendesse la mia vita. Avrei rischiato in qualsiasi modo, mentendo o dicendo la verità. E lui doveva smetterla di trasformarmi in una bugiarda, per cui, optai per la seconda.
«Da un po'!»
Con tutta la sfacciataggine che avevo accumulato da quando lui mi ronzava attorno, mi avviai verso di lui fronteggiandolo corpo a corpo. Incrociai le braccia dando spazio al mio broncio di formarsi con tutto il suo kit di arrabbiatura ed impazienza. Il coraggio che venne fuori era qualcosa di nuovo per me, ma sapevo bene che mi sarebbe servito molto per sopravvivere lì dentro.
Non curandosi del mio stato attuale, si concentrò piuttosto su qualcos'altro.
«Mm, ho fatto un bell'acquisto.»
Occhi affamati di esplorazione si gettarono sopra le curve convesse che quel vestito mi donava, diventando troppo corto per essere esposto ai suoi radar famelici.
«Non abituartici troppo.»
Mi mancavano i miei vestiti e tutte quelle cose che non sapevo di amare così tanto, rendendomene conto solo dopo averle perse.
«Il nero e lo stile di quest'abito vanno spudoratamente in contrasto con la tua purezza incontaminata. È quasi un invito a guastarla, a guastarti.»
Mi sentii nuda. Svestita da tutte le maschere che avevo cercato disperatamente di indossare. Era a conoscenza di che pasta fossi fatta, ma questo non gli importò e decise comunque di rapirmi.
Dovevo rompere questa sua convinzione al più presto, altrimenti sarebbe diventato troppo facile per lui maneggiarmi come la sua marionetta nel suo circolo di burattini.
«Dimmi. Cosa. Ci. Faccio. Qui. Dentro!»
La reazione che scatenai dopo la mia sentenza me l'ero benissimo cercata da sola. I suoi occhi si restrinsero assumendo l'espressione di chi non riesce a credere a ciò che sta assistendo. La mia mandibola sentì quasi la stessa pressione di una morsa, quando la sua mano destra aprendosi si affrettò ad afferrarla.
«Non osare. Mai più. Rivolgerti a me. In questo modo.»
Serrandosi i denti, regalò un timbro più severo alla sua imposizione.
Non mi ero resa conto del fatto che l'aumento del mio tono con lui lo avrebbe mancato di rispetto il doppio, poiché lo avevo fatto in compagnia dei suoi sostenitori, mettendo in discussione il suo potere.
Ma lottai per non intimorirmi nemmeno di fronte alle sue provocazioni fisiche e di basso livello per i miei gusti.
Con la sua mano ancora avvinghiata alla mia mandibola, penetrai le mie iridi nelle sue reggendogli lo sguardo senza mai distoglierlo. Totalmente in disaccordo di come lo avevo avvezzato a causa del contratto al Black Moon.
«Dov'è finita tutta la sottomissione e devozione verso il tuo cliente?»
Finalmente decise di mollare la presa, sottolineando quel cambiamento che non era passato inosservato.
«Hai detto bene. Qui non sei un mio cliente ed il mio compito non è servirti.»
Non mi aspettavo di ottenere l'ultima parola con un fuoco da gestire come il suo.
«Staremo a vedere!»
Tagliò corto quella conversazione insana che si stava prolungando fin troppo oltre le mie aspettative.
«Julius, versami del Bombay.»
Il ragazzo che prima aveva annunciato la mia presenza in stanza si avvicinò per accontentarlo, eseguendo alla lettera le sue richieste esigenti.
Sconcertata dal modo in cui si faceva trattare come un pezzo da novanta, cercai di mettermi a mio agio abbandonando il mio peso su un'altra Collinet, situata frontalmente alla sua postazione. Continuai a sostenere le sue occhiate che non demordevano neanche durante la sua bevuta. Non avrei sventolato bandiera bianca di fronte al predatore. D'altra parte, la sua costanza iniziava ad irritarmi e ciò mi condusse inconsciamente a fulminarlo.
«Sei in una stanza circondata da otto uomini, tra cui me ed hai il coraggio di sfidarmi in questo modo? Hai idea di cosa sia l'istinto di sopravvivenza?»
La sua brutta abitudine di essere riverito ogni volta, non gli fece andar giù la mia continua disobbedienza e spavalderia.
«E a cosa dovrei sopravvivere?»
Fuori controllo. Ero completamente, stupidamente e consapevolmente andata fuori di me. Le parole sbocciarono dalla mia bocca, contraddicendo quell'ultima noisette di buon senso che mi restava. Tutto fu per causa della mia brutta inclinazione ad avere sempre la risposta pronta e tagliente. In molti casi mi era tornata utile, ma in questa situazione non faceva altro che infilarmi di più nei casini.
Una risata omerica riempì l'ambiente, accompagnata successivamente da quella più pacata degli altri ragazzi.
«È simpatica!»
Passandosi la mano tra i capelli blu, Levi fece spiccare la sua affermazione in mezzo a quel trastullo caustico. Muovendosi attorno al tavolo, impugnò nuovamente la sua bacchetta focalizzandosi sul suo turno che era finalmente arrivato.
«Non sai quanto!»
La mia ironia balzò fuori, al contempo mi domandai se un giorno quella vera simpatia che faceva parte di me l'avrebbero conosciuta.
Spazientito dalla mia impertinenza, il boss si scomodò dal suo trono avviandosi a passo spedito verso la mia collocazione.
Accostandosi per l'ennesima volta in quella giornata al mio viso, mi spiattellò con disinvoltura uno dei suoi ghigni più beffardi.
«Diccelo tu!»
Ogni cosa, si ostinava ad aggrapparsi su ogni mia sillaba pur di mettermi in difficoltà.
«Non è nei miei piani fartelo sapere.»
Adoperai l'uso del singolare per evidenziare di quanto non mi importasse in particolar modo di lui. Con le braccia conserte voltai la mia testa dalla parte opposta alla sua.
Quasi arreso alla mia indomabilità, prese le distanze voltandomi le spalle e tornandosene alla sua postazione principale.
Con il capo ancora orientato dal lato contrapposto, rilassai le mie braccia distendendole sulla superficie dei braccioli morbidi di quella poltrona accalorante.
Ma qualcosa di blandamente freddo decise di prendere la mia mano smaltata di rosso, unendola con la sua. La delicatezza di cui si avvalse per sfiorarmi mi sorprese, tramortendomi non appena misi a fuoco il soggetto in questione.
«Sei già impegnata?»
I miei occhi stavano per sanguinare. Il ragazzo che si trovava alle spalle di Shiori quella mattina pronto per nuocerla, stava stringendo il mio anello con le sue dita affusolate.
Era un anello che avevo appositamente introdotto nella mia falange nuziale per precauzione, così come mi aveva consigliato di fare l'ex proprietaria di quel diamante incastonato. La mia saggia e cara nonna mi aveva insegnato ad indossarlo sempre, in caso di importuni non graditi. Non avrei mai pensato che un giorno mi sarei dovuta mettere a confronto con quella che risultò essere una predizione.
"Pensa al male, se vuoi il bene", questo era il suo motto di vita che voleva tramandarmi. L'avrei ringraziata non appena avrei fatto ritorno in Italia... boss permettendo.
«Genos!»
Una voce ammonì il ragazzo vicino a me, che seduto su un divano più ampio attendeva una mia replica. Quella voce proveniva dall'unica persona di grado superiore che gli permetteva di dominare ogni mossa all'interno di quello spazio e oltre. Gli occhi del boss erano puntati ferreamente sulla mano dell'altro ancora intrecciata alla mia.
Senza ricevere alcun ordine verbale, il ragazzo di nome Genos si allontanò immediatamente da me come se avessi la peste.
«Fuori tutti.»
Questo fu l'ultimo comando prima che tutti vaporizzarono fuori da quel soggiorno. Con tre dita che facevano pressione sulla fronte, il boss sembrava accusare un fastidio, tanto da far volatilizzare tutti in un batter di ciglio. Non convinta di far parte di quell'ordine, pensai di restare cinque secondi in più prima di andare via. Furono cinque secondi che però permisero al boss di alzarsi e presentarsi al mio cospetto.
«Questo...»
Demolendo la delicatezza che aveva avuto il ragazzo precedente, mi prese il palmo facendo scivolare via l'anello.
«Lo prendo io. Non ti serve.»
Fiero della sua operazione, lo fece girare in aria tre volte, afferrandolo subito dopo e riponendolo nella sua tasca destra.
«Ma non puoi prenderlo, ho un legame affettivo!!»
Mi aveva rubato la mia libertà, le mie amicizie, il mio lavoro, la mia vita. Non gli avrei permesso di appropriarsi anche del regalo che mia nonna mi aveva accuratamente donato.
«Non temere Crystal. Ben presto verrà rimpiazzato da un altro ancora più brillante e prezioso.»
Blackout.

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