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«Mio padre è così impaziente di conoscerti! Dovresti esserlo anche tu.»
Come un fulmine a ciel sereno ricordai della notte in cui incontrai Dimitri per la prima volta al Black Moon. Attesi lì in disparte mimetizzata con l'angolo delle mura del reparto numero 27, mentre lui era vincolato dalla discussione con il padre, lo stesso uomo che mi passò accanto scavalcandomi come se fossi un mobile. Probabilmente riteneva che il mio grado sociale da cameriera non fosse degno della sua attenzione. O se volessi pensarla diversamente, era solo preso dalla rabbia e non fece caso a nulla. D'altronde nemmeno Dimitri si sarebbe accorto della mia presenza se non fosse stato per il mio verso. Chissà come l'avrebbe presa nel sapere che la donna di suo figlio, era proprio lì davanti a lui quella notte.
«Quando mai ho accettato di far parte della tua famiglia?»
La voglia di piangere aveva iniziato a percorrere la mia gola, non avrei resistito ancora per molto.
Alla parola "famiglia", mi accorsi di come Dimitri non aveva accennato a sua madre e non fui in grado di non notarlo.
«Dimentichi spesso. Una vita per una vita.»
Si stava palesemente riferendo a tutte le volte in cui scelsi di salvare Shiori, mettendo di conseguenza in pericolo la mia vita.
«Quella non è mai stata una vera scelta, Dimitri!»
Il tasto limit era stato attivato. Gocce amare iniziarono a fluire in maniera inarrestabile fuori dai miei occhi. Lo stomaco si contorceva dalla rabbia che circolava in me.
«Ho cercato di renderti le cose meno difficili, regalandoti il buon senso di salvare qualcuno ed accettare il tuo destino, piuttosto che accettarlo senza poter scegliere nulla. Hai fatto un'opera buona Crystal. Completala!»
Se si aspettava di essere ringraziato perché sentiva di essere stato caritatevole con me, era fuori strada. Un paio d'ali non avrebbero fatto di Lucifer un angelo per la seconda volta.
Accecato dalla rabbia, mi voltò le spalle lasciandomi in compagnia di quelle poche lacrime che mi restavano. Avevo perso il conto di tutte quelle volte passate a piangere in solitudine sul mio letto, con la speranza che qualcosa potesse cambiare.
Le mie gambe vacillarono, portandomi a prendere contatto con il pavimento. Me ne stavo lì, seduta a contemplare il nulla.
L'ombra di qualcuno passò davanti all'uscita, arrestandosi al suono del mio pianto. I miei occhi erano troppo colmi di lacrime per permettermi di visualizzare perfettamente chi si stesse avvicinando.
Due calde braccia avvolsero il mio corpo, facendomi sentire minuscola all'interno di esse. Non avevo la voglia, né la forza di alzare la testa che era nascosta nel petto di quella persona, per vedere di chi si trattasse. L'unica cosa che riuscii a fare, era piangere.
«Vedrai... non starai così male.»
Al suono di quella voce, alzai immediatamente il capo trovandomi di fronte al viso di Hadeon. I suoi occhi apparvero cupi e afflitti, incapaci di nascondere ciò che stava provando per quella visuale.
«Tu...»
Furono le uniche parole che riuscii a formulare con la mia voce flebile, ma venni zittita dalle dita di Hadeon che si affrettarono ad asciugare le mie gocce di pianto.
Io sapevo benissimo che lui non poteva fare nulla per salvarmi, ma cercava comunque di rendermi le cose più sopportabili. Avevo trovato un vero amico e la sua anima me lo stava dicendo limpidamente.
Più tardi dopo aver prosciugato quasi tutta l'acqua che il mio corpo conteneva, decisi di andare in sala giochi per svagare un po' il cervello. Il mio obiettivo del giorno doveva essere quello di portare un po' di luce alla mia giornata, ma invece qualcuno come sempre era riuscito gettargli sopra dell'inchiostro nero.
Le gambe incrociate di Levi erano sedute sopra un tappeto blu denim, tenendo un controller nero con ambo le mani. La sua concentrazione era rivolta totalmente al gioco proiettato sullo schermo piatto della TV. Il colore dei suoi capelli era cambiato e ciò mi rese difficile riconoscerlo se non fosse stato per il suo modo buffo di portare gli occhiali. Lì attaccava sul retro della testa facendoti sentire osservato, anche se ti dava le spalle.
«Se non ti conoscessi, crederei che lo spirito di Ken Kaneki si fosse impossessato di un uomo.»
Il silver tendente al bianco dei suoi capelli, metteva in risalto la sua somiglianza con il personaggio celebre di Tokyo Ghoul.
«Cosa? Lo conosci anche tu??»
Lo stupore che prese forma sul suo viso mi invitò a sedermici accanto, alla ricerca di un controller per me.
«Ti va se gioco anch'io? Sfidami in qualcosa!»
In realtà non mi importava se avessi perso a qualunque gioco contro di lui, l'unica cosa che mi importava di vincere, era la sua amicizia.
«Siamo pari! Facciamone un'altra.»
Eccitato dall'aver trovato un degno avversario, ci prese gusto proponendomi di giocare ancora. Il suo sorriso stampato in faccia era tenero e privo di ogni malevolenza. Per un attimo ostentai nel credere che anche lui fosse un mafioso seriale.
«Guarda lei, sei molto brava. Ci giochi spesso?»
Pausa. Il mio dito incredulo si affrettò a premere quel tasto facendo apparire quella scritta sullo schermo.
Ciò fece voltare Levi verso di me, che iniziò a mirarmi con occhi spalancati bisognosi di una spiegazione.
«Che c'è?»
Ma nulla usciva dalla mia bocca e ciò lo fece contestare. Piuttosto continuavo a fissarlo con gli occhi che parlavano da soli.
«Mi prendi in giro?»
Le mie sopracciglia si inarcarono facendo avanzare di un centimetro la mia testa in avanti.
Come avrei mai potuto giocare, se per tutto quel tempo ero stata rinchiusa in quella prigione, sotto il controllo di un boss mafioso che non ne voleva sapere di mollarmi?
«Ah-h, giusto. Mea Culpa.»
Visibilmente imbarazzato dalla gaffe che aveva appena fatto, il suo sguardo corse subito sullo schermo non prima di avermi liquidato con uno dei suoi sorrisi quadrati.
«A dir la verità non giocavo dall'età di otto anni.»
Ripresi il gioco, ammiccando ad una rivelazione che mi fece sentire dopo tanti anni la fragranza di quei momenti gioiosi che avevano composto l'età della mia innocente fanciullezza.
«Cosa!!»
Involontariamente causai un altro mini trauma a Levi, che rivolgendomi il suo sguardo più stravolto non si rese conto di avermi appena regalato la vittoria.
Game Over.
Ma per me il vero gioco, era appena iniziato.
Alle nostre spalle c'era posizionato un divano, e durante le mie sfide con Levi, Julius si ci era sdraiato sopra per assistere, cominciando a divertirsi e a ridere fragorosamente per la sconfitta del suo amico, senza riuscire a smettere.
«Crystal!»
Il mio nome suonò grazioso fuori dalle corde vocali di Julius, che mi stava chiamando per ricambiare il battimano sulla sua di mano sospesa per aria.
Ma l'entusiasmo mi morì in gola non appena vidi Dimitri accomodato al fianco di Julius, osservare tutta la scena con fiamme glaciali al posto degli occhi che riuscirono a gelarmi. Quasi come se gli stesse dando tremendamente fastidio il fatto che io mi stessi divertendo un po', o il fatto che io lo stessi facendo con i suoi ragazzi piuttosto che con lui.
E se ero brava a far qualcosa, quello era infastidire il boss. Senza perdere altro tempo accontentai la mano paziente di Julius battendola con la mia, mostrandogli uno dei miei migliori sorrisi. Tutto davanti alla cocente irritazione di Dimitri.
La luce frontale dello schermo brillava nelle sue iridi pigmentate di grigio che fecero fermare il tempo. Tirai un sospiro non essendo in grado di capire da dove fosse uscito fuori. La sua pelle levigata sembrava essere scolpita nell'avorio più pregiato. Quando guardavo i suoi occhi, mi sembrava di trovarmi dispersa ai confini del mondo, su un ghiacciaio siberiano frantumato dal sole. Erano istanti in cui mi ibernava il cuore. E con il tempo iniziai a dannare ancor di più di come stessero andando le cose, perché adesso anche se avessi voluto, non avrei mai potuto...
L'aria smise improvvisamente di circolare attorno a me. Presi in mano la situazione alzandomi da lì come se nulla fosse accaduto, lasciando i ragazzi con un sorriso gentile che mascherava il fatto che stessi andando via per un'ovvia ragione.
Il lungo corridoio non era mai stato così fresco prima d'ora.
«Allora, non vuoi dirlo neanche a me?»
Due stanze più avanti, l'andito si apriva nell'Home Bar. Un paio di bermuda rivestivano le gambe di Hadeon, che molto tranquillamente prese posto sull'alto sgabello facendo compagnia a Genos.
«È una cosa che non mi è mai successa prima. Non riesco a smettere di pensarci.»
Non avevo mai visto Genos fasciarsi così tanto la testa.
«Hyung, se hai bisogno di liberartene..»
La disponibilità di Hadeon si rivolse a lui con un appellativo che arguiva il suo rispetto fraterno per il più grande. Esemplare come fosse sempre ben disposto a farsi carico dei problemi di tutti, pur di aiutare.
«Perché mi sento in colpa! Voglio dire, le mie mani non saranno brillanti e lucenti come quelle di un santo. Ed è proprio per questo che non riesco a capire.»
Mentre si spiegava non poteva fare a meno di gesticolare scansionandosi le mani e mostrandole ad Hadeon.
«Hyung, cosa c'è che ti tormenta?» 
Ma il più giovane non riusciva ancora a comprendere i drammi del più grande, per via delle poche informazioni che gli aveva dato.
«Hadeon, non era la prima volta che avrei potuto fare del male a qualcuno, ma solitamente dimentico tutto già solo nel tragitto di ritorno verso casa.»
Il suo discorso stava lentamente prendendo forma, unendo tutte le coordinate.
«Ma..?»
Hadeon incitò l'altro a proseguire.
«Ma quella mattina, prima che il capo arrivasse, lei è stata così gentile con me. Mi ha per giunta offerto i suoi dolcissimi Yogashi senza chiedere niente in cambio. Eppure un minuto dopo, io le stavo dietro e avrei potuto ucciderla da un momento all'altro. Diamine se potevo farlo!!»
La mia mandibola stava per baciare il pavimento. Erano sensi di colpa quelli?
Quello era il potere di quella piccola grande donna. Aveva indebolito anche l'anima di un temibile mafioso.
«Quindi mi stai dicendo che il tuo inconscio, stava inevitabilmente cercando di avere un contatto con l'amica di Crystal per sistemare di un centimetro la tua coscienza?»
La testa di Hadeon si inclinò per osservare meglio l'espressione indecifrabile di Genos .
Forse era finalmente riuscito ad arrivare ad una conclusione.
«In qualche modo...»
Ecco svelata la vera natura di quel ragazzo.
Dentro di me fui più sollevata nello scoprire che lui non era la persona cattiva che dimostrava di essere. Aveva di certo un lato negativo, ma era una creatura così complessa che avresti dovuto investigare a fondo dieci volte, prima di scoprire a cosa veramente ambiva il suo cuore.
«Hyung, Crystal non si fida molto. Sarà difficile portare Shiori qui dentro e non possiamo darle torto.»
L'uomo riflessivo che era Hadeon continuava a stupirmi di volta in volta, sempre di più, mentre i sospiri di Genos superavano persino la musica soft di sottofondo dell'home bar.
«Hai origliato abbastanza, piccola spia?»
Il mio gomito spintonò via il corpo di Dimitri ancor prima che il mio cervello gli comandasse di farlo, per ringraziarlo del mini infarto che mi aveva appena causato. Si era silenziosamente mosso dietro di me, e sussurrandomi all'orecchio mi fece sussultare.
«Non è affar tuo!»
La mia smorfia diabolica fu impaziente di venir fuori, seguita da uno sbuffo.
«Giuro che un giorno ti farò togliere il vizio di essere così sgarbata con tuo marito.»
Quella sua dannata autorità dominante che esercitava su di me, non demordeva di un solo secondo ogni volta che mi imbattevo in lui. Quando l'ultima maledetta parola fu detta, scaturì in me un brivido inaspettato che attraversò la mia spina dorsale fino ad arrivare alle mie labbra, facendole schiudere. Mi tolse il fiato.
«Lasciami il mio libero arbitrio di fare ciò che mi pare ancora per un po' e non chiamarti marito!»
Cercai di non lasciarmi intimorire alla sua vista.
Due fredde mani strozzarono i miei polsi, inchiodandomi non nobilmente al marmo altrettanto gelido delle pareti. La mia affermazione determinante, aveva fatto invelenire qualcuno che non ebbe timore a debilitarmi con la sua forza.
«Hai ragione, non sono io a doverlo fare. Sei tu!»
Il suo respiro andò contro il mio, così come i suoi occhi che si incastrarono con i miei. Riuscivo a percepire anche il calore della sua corporatura accarezzare la mia. Il suo sguardo mi parlava della sua voglia di giocherellare con me. Pretendeva che fossi io a chiamarlo in quel modo ancor prima del matrimonio, non curandosi nemmeno di aver mandato un invito agli occhi di Genos e Hadeon ad assistere allo show.
«Ti sembra il caso?»
Spurai fuori il mio imbarazzo. Dimitri non mi era mai stato così vicino prima. Ma averlo così rasente a me con i ragazzi a pochi metri di distanza da noi, non mi piaceva per niente. Odiavo l'essere sottomessa, così come lui odiava quando mettevo in dubbio il suo potere davanti agli altri.
«Non mi pongo mai dei limiti in casa mia.»
L'unica intesa che si poteva percepire tra di noi in quel momento, era quella dell'attrazione fisica. Mentre per quanto riguardasse l'intesa mentale, eravamo come una bomba ad orologeria. Finivamo sempre per litigare. Non una sola conversazione era terminata con un lieto fine.
«Per quanto ancora hai intenzione di trattenermi?»
Con ancora le mie iridi affondate dentro le sue, affrontai boriosa il suo temperamento indisponente. In una frazione di secondi, la mandibola di Dimitri venne a contatto con la mia guancia destra e le sue labbra sfiorarono il lobo del mio orecchio.
Il suo pomo d'Adamo salì e riscese provocando un piccolo suono dopo aver deglutito. Ciò catturò la mia attenzione e la fece spostare fin giù la sua clavicola scoperta.
«Per tutto il tempo che voglio.»
L'accento lascivo che assunsero i suoi sussurri tentatori, influì sulla mia perseveranza nel mantenere la mia coerenza intatta, facendola vacillare... ed io mi ridussi a nulla.
Ma cedere, non era nei miei piani.
Le mie labbra oscillanti si mossero in fretta, azzannando qualcosa di morbido situato al di sopra del suo collo. La mano di Dimitri si precipitò in soccorso al lobo del suo orecchio, liberandomi di conseguenza entrambi i polsi. La sua gola bruciò per un attimo causato dal piccolo urlo di dolore che gli provocai. Volevo assicurarmi di riuscire a liberarmi di lui e di quella situazione in un solo colpo, ma non ero psicologicamente pronta a ciò che l'istinto selvaggio recondito dentro la mia anima aveva intenzione di mettere in atto. Con il suo sguardo ancora perplesso e confuso, sfrecciai via da lui sparendo dalla sua visuale come se mi fossi dissolta nell'aria. Ma ciò non mi impedì di udire le ilarità dei ragazzi piazzati all'Home Bar, ammutolirsi improvvisamente. Probabilmente qualcuno nei paraggi, li aveva appena inceneriti con un solo sguardo.
Conseguenze. Il mio cervello irrequieto sembrava in preda ad uno di quei disturbi psicopatologici come la nevrosi. Senza darsi tregua non aveva smesso un solo istante di cercare sul tetto bianco elaborato della mia camera, delle possibili conseguenze a ciò che avevo fatto.
Non avevo ancora subito delle punizioni da parte di Dimitri, non sapevo neanche se lui fosse quel tipo. Due dita indisciplinate si dissociarono dal mio attuale tormento lambendo il rossore delle mie labbra, quelle stesse labbra che avevano morso il peccato. Sconvolta e turbata dalle mie stesse azioni, riportai le mani alla testa scivolando nella curva dell'oblio.
Qualcosa di rigido si scontrò contro il mio dorso, dopo aver immerso i miei polsi sotto al cuscino rinfrescante. Con grande curiosità, estrassi un libro che non avevo mai visto prima. Aprendolo notai subito che l'inchiostro di una penna colorata, aveva decorato la prima pagina bianca.

"Prendi i tuoi demoni e rinchiudili in questo libro, affinché possano alleggerirti la testa e anche il cuore."
– Hade.

Ne era passato di tempo da quando qualcuno mi aveva fatta sentire così... importante. Specialmente in un'ambiente dove venivo annullata continuamente.
Hadeon si era preso il pensiero di recapitarmi un libro, dopo aver saputo che non c'era modo per me di averne uno. E quelle lettere d'inchiostro marchiate sul foglio che parlavano della mia sofferenza, dei demoni che durante quei giorni non avevano fatto altro che torturarmi...
Una cosa era certa: Hade sapeva come tirarmi su il morale in un lampo. Al contrario di Dimitri, che all'essere premuroso e alla delicatezza ci rigurgitava sopra. La differenza tra i due, era abissale.
Impaziente di avventurarmi nei portali segreti di quel nuovo libro, mi tuffai sul cuscino dimenticandomi di tutto ciò che mi circondava. L'odore appassionante delle pagine, invadeva le mie narici, era come una droga. Avrei potuto annusarle per ore ed ore.
Ma c'era qualcosa che mi sfuggiva.
Hadeon aveva riposto il libro nascondendolo per bene sul retro del mio cuscino, nonostante fosse posto nella mia stanza.
Forse il motivo era...
Il sorriso mi morì sulle labbra.
Il volto di Dimitri era inespressivo, mentre la sua postura sostava all'ingresso della mia stanza, silente, quasi come una creatura esanime. Dopo che il mio entusiasmo andò in vacanza, trassi un sospiro e recitai una preghiera mentale. Sorpresi me stessa seppellendo il libro nel posto in cui lo avevo trovato, con una velocità in grado di tener testa a quella di Flash.
L'aspetto taciturno di Dimitri stava iniziando a preoccuparmi più di quando era in stato di agitazione. Dopo essersi reso conto che mi ero accorta della sua presenza, il suo passo velato iniziò ad avanzare verso una meta che portava il mio nome sopra. Ad ogni centimetro in meno, l'ansia cresceva graffiandomi.
Il suo abbigliamento era cambiato. Il nero faceva da padrone al suo stile attuale. Il suo orecchio non era del tutto apposto, nessuna traccia di sangue, ma si intravedevano due piccoli segni violacei tracciati dalla pressione dei miei denti. Chiunque non sapesse cosa gli era accaduto veramente, avrebbe pensato che si trattasse di altro. Un po' mi si strinse il cuore al pensiero che ero stata io a causargli quei lividi. Essere così violenta, non era nella mia natura. Ciò mi fece avvertire un senso di colpa, che cercavo però di scacciare insistentemente via se ripensavo al motivo per cui lo avevo fatto. Se l'era cercata. Ma forse avevo esagerato, solo perché ero io ad averlo fatto. Quando esce il peggio di noi stessi, di chi è la colpa? Di noi o di chi ci circonda per averlo fatto uscire?
Caddi in guerra con me stessa, combattuta tra l'idea di dovergli chiedere scusa o lasciar scorrere il tutto come un torrente d'acqua.

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