22. Requiem

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Durante la mia permanenza nel Cubo ho pensato spesso alla morte, un tema che prima o poi ognuno di noi deve affrontare nel corso della propria vita. Nei romanzi che lessi in quel periodo il tema della fine si presentava spesso: alcuni autori vedevano questo evento come un trauma, altri come una liberazione, altri ancora speravano in una vita in un eventuale aldilà, e io? Beh, difficile rispondere a questa domanda: io sinceramente non avevo una risposta certa. E in quel momento avrei tanto voluto risvegliarmi nel mio letto, pronto per un nuovo giorno di scuola. Invece dalla parete a specchio entrò un signore anziano con una pergamena a dorso di un cammello. Il tizio aspettò che il quadrupede si abbassava e scese, srotolando il pezzo di carta che iniziò a leggere con tono solenne: - Effendi, la sua ora è giunta. In rispetto alle sue tradizioni, potrà scegliere in che modo essere sepolto alla fine della cerimonia. Ci scusiamo per questo disagio, firmato: la Morte!

Rimasi senza parole. Il vecchietto mi fece un inchino e, risalito sul ruminante, uscì dal Cubo. Dopo pochi secondi entrarono quattro persone, tutte vestite di nero, portando sulle spalle una cassa da morto. Poi entrò una sola persona con in mano un vaso nero. Credo non ci fossero dubbi al riguardo: dovevo scegliere se venire sepolto nella cassa oppure cremato e le mie ceneri poste dentro al vaso funebre. Fu a quel punto che la mia rabbia salì impetuosamente: - Uscite fuori, prima che vi cionco!

Ma i tizi non si mossero. Invece entrò un robot che indossava un frac e mi porse una custodia: la aprii e dentro vi erano due pulsanti; uno indicava la cassa e l'altro il vaso, evidentemente toccava a me sceglierne uno. Non ci pensavo neanche!

- Credo di averne abbastanza di te, chiunque tu sia che mi tieni prigioniero qua dentro da mesi o anni. Mi sono rotto, ti ammazzo tutti quanti se non sloggiano, e invece di pensare a come dovrei morire io, pensa a scappare perché sto venendo a mettere fine alla tua vita!

Sinceramente non sapevo neanche io da dove mi venne tutta quella energia, tanto è vero che tutto quello che successe da quel momento in poi, era come se lo vivessi fuori dal mio corpo. Per prima cosa staccai la testa al robot e, avendo una forma rettangolare, la utilizzai per distruggere la cassa da morto. I quattro personaggi rimasero in silenzio ma fuggirono via, mentre quello del vaso lo lasciò cadere per terra, frantumandolo in mille pezzi. Li rincorsi e uscii finalmente da quel maledetto Cubo e mi ritrovai in un lungo corridoio illuminato con luci al neon blu oltremare. Non vi erano porte o finestre, ma solo quel lungo corridoio infinito, e allora decisi di percorrerlo tutto, prima o poi doveva sbucare da qualche parte. E infatti una porta la trovai e mi ci fiondai immantinente: mi ritrovai in un bar. Ma non un bar normale, visto che era tutto di ghiaccio: le pareti, le sedie, i tavoli e il barista. No, il barista non era di ghiaccio, era un orso polare bianco col farfallino.

- Mi dia un rum invecchiato dodici mesi in botti di rovere! - ordinai, sorridente. L'orso mi preparò anche alcuni snack e tra una patatina e una nocciolina facemmo questo strano dialogo: - Pochi clienti da queste parti, vero?

- Signore, guardi che non è il primo che riesce ad evadere da qui.

- Ah, davvero?

- Già!

- Interessante. E lei che ci fa in questo buco?

- Ci campo la mia famiglia. Di questi tempi, è dura sopravvivere nell'Artico! Voi maledetti umani ci state sciogliendo tutti i ghiacciai, non fate che inquinare qualunque cosa tocchiate! Zozzoni!

- Mi spiace, se può consolarla ho messo la mia firma in una petizione del WWF per salvare gli orsi polari, che coincidenza!

- Ecco il suo rum, spero che ci si strozzi!

- Ehi, ma un vero barista non dovrebbe essere gentile coi suoi clienti?

- Ha ragione, mi scusi, mi sono lasciato prendere dalla rabbia. Desidera altro?

- Fate panini al prosciutto?

- Solo salame e provolone.

- Oh, va bene lo stesso, grazie. Me lo preparava sempre mia madre, come merenda per la scuola.

- Non la vede da molto tempo, sua madre?

- Guardi, non saprei risponderle, perché devo ancora comprendere se sto sognando oppure no!

- Si abbassi.

- Prego?

- Adesso, si abbassi!

Mi abbassai. Un sibilò sfiorò la mia testa. La traiettoria della pallottola fu evidente: finì dritta al cuore dell'orso. Non so come, ma non mi trovavo più al bar dell'Artico, bensì in un'osteria romana. Era romana perché il cameriere mi aveva appena sparato e teneva nell'altra mano una cacio e pepe fumante e invitante. Ma la vera domanda era una sola: perché mi aveva sparato? Mi rifugiai dietro a un tavolo dove stavano pranzando due persone forse francesi (si sentiva dall'accento che lo erano). Poi collegai il cervello e capii: fin dall'inizio di questa storia volevano farmi fuori, giusto? Quindi non dovevo fare altro che... scappare! Intanto il cameriere mi aveva raggiunto e, imbracciando una scopa, provò a buttarmi per terra, con scarso risultato, perché nel frattempo gli lanciai in faccia un piatto di ricotta calda e imboccai imboccato l'uscita. Ritornai nel corridoio blu dove fui accolto da una dozzina di soldatini di piombo che mi marciavano contro. Naturalmente avevano i fucili tutti puntati su di me: fu in quel momento che si aprì una botola e vi caddi dentro. Ero in un luogo buio e rimasi in silenzio: udivo il mio respiro e pian piano ripresi fiato. Ebbi l'istinto di tastarmi nelle tasche e vi trovai una scatola di fiammiferi che adoperai: accesi il primo e mi trovai faccia a faccia con l'alieno verde del video. Lanciai un urlo ma qualcuno mi prese per le braccia e mi legò in una sedia. Si accesero le luci e mi apparve un laboratorio pieno di macchinari strani e brocche di vetro e liquidi puzzolenti e poco rassicuranti. Al centro della stanza stava l'alieno che, senza guardarmi, continuava ad armeggiare tra i coltelli presenti sul tavolo operatorio. Scelse quello più lungo.

- Finalmente ci rivediamo, Brave. O dovrei chiamarti col tuo vero nome, Jack Carson.

- Ci conosciamo? - chiesi stupito.

L'alieno si avvicinò e si tolse la maschera di gommapiuma: mi apparve il suo vero volto: - Dottor Herbert! Maledetto, è tutta opera sua la mia prigionia?

Fece una risata un po' macabra, seguita da vari colpi di tosse. Forse aveva preso fresco.

- Ovviamente. Mi sono divertito un mondo a farti soffrire di solitudine, dopo tutto quello che mi avevi fatto. E bravo, ti sei unito al mio nemico storico, quel demente di Andersen!

Non appena offese il mio amico, mi risalì la rabbia e se non avessi avuto le mani e le gambe strette nelle cinghie di cuoio, lo avrei linciato seduta stante. Ma potei sputargli in faccia, con grande soddisfazione.

- Sfogati pure, cimice inutile. La tua vita insignificante sta per avere termine, se conosci qualche buona preghiera è questo il momento. Sai, inizialmente volevo torturarti con tanti piccoli tagli su tutto il corpo, e pian piano amputarti qualche arto, mentre lentamente ti saresti dissanguato e saresti spirato tra atroci sofferenze. Ma adesso sto cambiando idea: ho già pronta una bella siringa con un liquido letale!

Disse tutto ciò con un tono lugubre e sentii salire i brividi lungo la schiena.

- Addio, Brave! - furono le sue ultime parole. Sì, proprio così: le sue ultime parole: perché, nel frattempo, qualcuno dietro di me mi aveva sussurrato: - sei libero!

Mi girai e lo riconobbi subito: era proprio Lu, il mio guerriero immortale! Lo abbracciai e piansi di gioia. Nel frattempo lo scienziato era caduto a terra, infilzato dalla sua stessa siringa. Era stato Will, il mio nuovo amico!

- Ei fu il dottor Herbert, grande mascalzone! - recitò questo requiem Will, sorridendo e abbracciandomi. Fu in quel momento che capii tutto quanto: se erano presenti assieme, nello stesso momento davanti a me Lu e Will, allora non c'erano più dubbi di sorta: avevo sognato ancora una volta tutto quanto.

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